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La rivoluzione parte da te

Gloria Steinem

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La rivoluzione parte da te

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Diretto a tutti, sia donne che uomini, questo libro illuminante e fondamentale svela quanto il sistema sociale patriarcale in cui viviamo sia causa dell'erosione della stima di sè.In una prosa lucida, coraggiosa e nello stesso tempo ironica e tenera, Steinem analizza la struttura educativa e sociale sulla quale veniamo formati (modelli educativi, materie scolastiche, libert? di movimento, percezione del corpo, spiritualità, concezione della natura, relazioni) sulla base di ricerche, studi scientifici, letture di settore, così come di storie di vita vissuta, esperienze dirette proprie e di amici e conoscenti. È importante dimenticare l'educazione avuta se questa ci porta al rifiuto di noi stessi. Bisogna piuttosto rendersi conto che equilibrio e rispetto di sè (e quindi degli altri) derivano dalla pace e dall'accordo con il nostro essere fisico e spirituale.Allora criticare il sistema non basta, occorre una presa di coscienza del sè. La rivoluzione esterna è?strettamente connessa a quella interna: ritrovare o acquisire la propria forza interiore è la strada giusta, l'unica!Alla fine di questo lungo tunnel da percorrere con tutte le forze, c'è la libertà: un obiettivo per cui vale la pena combattere con ogni mezzo.

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Parte quinta
Corpi del sapere

Il campo unificato… vibrando a un’alta frequenza, crea la mente; vibrando a una frequenza più bassa, precipita nella materia.
Deepak Chopra, M.D.

1.
Iniziare dal corpo

Le grandi idee iniziano dai muscoli.
Thomas Edison
Quando tengo delle conferenze, a volte chiedo alle persone del pubblico di alzarsi in piedi per un momento – senza spiegarne il motivo. (Se volete fare anche voi questo esperimento, alzatevi, adesso). Poi le sollecito a prestare attenzione al modo in cui i loro corpi sono disposti nello spazio.
Molte persone, in particolare le donne, si rendono conto di stare con i piedi uniti, la testa leggermente inclinata in avanti, le braccia conserte o le mani giunte, in modo da coprire il corpo e occupare il minore spazio possibile. Altre persone, in particolare gli uomini, tengono i piedi allargati, la testa alta, le braccia lungo i fianchi o magari una mano appoggiata al corpo in modo da avere il gomito sporgente e occupano il maggior spazio possibile.
Dopodiché chiedo ai due gruppi di assumere uno le pose dell’altro e di descrivere quello che provano. Quando le persone del gruppo incline a occupare poco spazio modificano la propria postura, spesso dicono di sentirsi in un primo momento strane ed esposte, salvo poi acquisire un senso di forza e sicurezza crescente. Quando le persone del gruppo incline a occupare molto spazio ritraggono i propri corpi, spesso riferiscono di sentirsi inizialmente vulnerabili come bambini, poi più deboli e perfino meno visibili.
Questo esperimento all’inizio era un modo per dimostrare con quanta rapidità le posture «femminili» e «maschili» possono influenzare i nostri stati mentali. Le donne, in particolare, devono capire in che modo una cosa tanto semplice come la postura fisica possa compromettere, o accrescere, l’autostima. Nel campo del sé, in cui corpo e mente fanno tutt’uno, il movimento di ogni molecola modifica le altre. Ma presto mi sono accorta del fatto che le donne – e, probabilmente, anche molti uomini – si trovavano a disagio nell’occupare troppo spazio; certamente, non era quello lo scopo dell’esperimento. Dato che avevamo posto la tesi e l’antitesi, ma nessuna sintesi, aggiunsi una terza fase, consistente nel chiedere alle persone di chiudere gli occhi e lasciare che i corpi assumessero la posizione più comoda, senza curarsi di piacere o dispiacere agli altri, o di farli spostare. Nel giro di pochi secondi entrambi i gruppi riferirono di provare un maggiore senso di agio e di benessere, come se i loro corpi seguissero una propria logica indipendente dall’intervento della mente. Il punto è che la nostra postura non solo rivela qualcosa su di noi, ma anche a noi.
Essendo sempre stata molto cerebrale, non mi ero resa conto di quanto il senso di noi stessi sia potentemente radicato nel corpo fino a quando non mi recai Giappone. Camminando per le strade affollate di Tokyo, improvvisamente mi accorsi di provare un senso di sicurezza e di agio notevole e in qualche modo inspiegabile, trovandomi in un paese così diverso dal mio. Presto mi resi conto del motivo: per la prima volta nella mia vita ero più alta della maggior parte degli uomini che passavano per strada. La mia mente aveva registrato con riluttanza l’importanza di questa differenza, perché questo avrebbe significato ammettere la circospezione a cui ero costretta nelle strade del mio paese e il senso di pericolo che io e molte altre donne a volte avvertiamo nei luoghi «pubblici».
L’idea che i muscoli e i tendini abbiano qualcosa da insegnare alla nostra mente spesso è ritenuta anti-intellettuale o puerile. Dal momento che il dualismo occidentale privilegia la mente rispetto al corpo, il pensiero rispetto al sentimento, la maggior parte di noi ignora, o considera con scetticismo, l’idea che soma e psyche costituiscano un campo energetico unificato. Anche quando ammettiamo l’esistenza di legami tra il corpo e la mente, quelli che catturano la nostra attenzione di solito sono quelli in cui è la mente a parlare al corpo: per esempio, le tecniche di riduzione dello stress come la meditazione e la visualizzazione per invertire gli effetti dei disturbi cardiaci;1 o lo stupefacente «effetto placebo», grazie al quale un’innocua compressa di zucchero ha lo stesso effetto del farmaco che tanto il medico quanto il paziente credono che sia.2
Ciò che viene trascurato o ignorato, a ogni buon conto, sono tutti quei fenomeni che permettono di vedere come la comunicazione tra mente e corpo sia uno scambio bidirezionale e come un cambiamento mentale possa iniziare da un cambiamento del corpo.
Qui di seguito alcuni esempi che procedono dal più semplice al più complesso, dal transitorio al più durevole.
RESPIRO. Il modo in cui respiriamo può influenzare il nostro stato mentale. Benché in molte culture la parola stessa che indica il respiro implichi tale concetto – chi in cinese, prana e pranayama (tecniche respiratorie) in hindi – nella cultura occidentale moderna raramente ci spingiamo oltre l’ammissione dell’importanza della respirazione nello sport (dove la regola E-E ci prescrive di espirare quando siamo sotto sforzo) e durante il parto (dove tecniche speciali alleviano i dolori del travaglio); come se l’atto fisico della respirazione potesse soltanto aiutare un processo fisico. In effetti si tratta della singola funzione che influenza maggiormente tutte le altre – incluse quelle mentali ed emotive – e, poiché è l’unico processo autonomo che può essere facilmente regolato, può e deve essere un ponte per esplorare molte delle potenzialità che non sfruttiamo. Per esempio: espirare più lentamente di quanto inspiriamo calma la mente; inspirare più lentamente di quanto espiriamo le infonde energia; e bilanciare espirazione e inspirazione ha un effetto equilibrante sull’emisfero destro e sull’emisfero sinistro del cervello. Una semplice respirazione profonda – concentrandosi sul respiro – è un ponte verso gli stati di meditazione descritti nella parte quarta. L’antica pratica yoga della respirazione a narici alternate riuscirà a «centrare» tanto la mente quanto il corpo: tenete premuta una narice mentre inspirate profondamente con l’altra per un secondo, premete entrambe le narici trattenendo il respiro per quattro secondi e premete l’altra narice mentre espirate per due secondi – o per qualsiasi lasso di tempo che segua la proporzione 1-4-2. Ripetete l’esercizio almeno una dozzina di volta finché il ritmo non diventa naturale e poi fate caso a quei momenti di totale immobilità nel mezzo del ciclo. Secondo la dottrina yoga questo momento di respirazione completa, infuso di spiritualità, è un momento di contatto con il sé autentico: l’anima.
CONTATTO FISICO. Essere toccati e abbracciati è la nostra fonte primaria di auto-scoperta – ed è un bisogno permanente. Sappiamo che bambini privati di contatto fisico quotidiano hanno difficoltà nella crescita, anche quando i loro bisogni nutritivi e altre esigenze basilari ottengono soddisfazione. Senza un contatto diretto e frequente con altri esseri viventi le terminazioni nervose inviano meno segnali al cervello e lo sviluppo si rallenta – può addirittura interrompersi. Questo è stato dimostrato più volte in orfanotrofi in cui i bambini erano puliti e ben nutriti, ma raramente cullati, così come nell’efficientissimo Lebensborn, la «fattoria di bambini» ariani della Germania di Hitler, dove i tassi di arresto della crescita, ritardo e persino morte erano molto alti. Queste prove empiriche dell’importanza del contatto fisico contraddicono Freud e altri teorici convinti che il nutrimento fosse il bisogno cruciale del neonato e l’origine primaria del legame. Negli anni Cinquanta, comunque, l’etologo Henry Harlow si propose di dimostrare l’importanza del contatto fisico per gli animali. In un famoso e crudele esperimento ancora oggi insegnato in diversi corsi di introduzione alla psicologia, separò dei macachi dalle loro madri poche ore dopo la nascita, quindi lasciò ai cuccioli la scelta tra una «madre» artificiale fatta di fil di ferro e un’altra fatta di spugna. Il bisogno dei cuccioli di calore e protezione era talmente grande che, sebbene il fantoccio di fil di ferro contenesse l’unico poppatoio disponibile, essi preferirono quello fatto di spugna: la sua morbidezza offriva almeno un sentore del contatto fisico e delle coccole che desideravano (benché non fosse sufficiente a rendere le scimmie utili animali da riproduzione, come Harlow aveva sperato).
Soltanto di recente la scienza ha iniziato a dimostrare l’importanza del contatto fisico con esperimenti che puntano sull’arricchimento, anziché sulla deprivazione. Quando Tiffany Field, psicologa presso la facoltà di medicina dell’Università di Miami, modificò la consueta regola del «contatto minimo» prevista per i neonati prematuri affidati alle incubatrici e iniziò a massaggiarli con dolcezza tre volte al giorno, i neonati acquistarono peso più velocemente e furono dimessi prima. In questo modo fu di aiuto ai piccoli e contribuì alla riduzione delle spese ospedaliere. Quando i bambini normali erano sottoposti a un contatto epidermico più intenso nei primi sei mesi di vita, avevano un miglior sviluppo mentale.3 E quando alcuni conigli vennero nutriti con una dieta ad alto tasso di colesterolo, ma ciò nonostante svilupparono il 60 per cento in meno di sintomi rispetto ad altri conigli della stessa nidiata, i ricercatori rimasero disorientati fino a quando non scoprirono la risposta: i conigli sani erano quelli collocati nelle gabbie più basse, quindi gli unici raggiungibili dai tecnici di laboratorio, che li avevano accarezzati e coccolati ogni notte. Successivamente esperimenti controllati produssero gli stessi risultati.4
Le nuove tecniche per monitorare lo sviluppo del cervello indicano che il contatto fisico è la fonte primaria di modificazioni neurochimiche nell’infanzia. Prove aneddotiche dimostrano anche l’efficacia del massaggio contro la depressione e l’ipertensione, oltre al fatto che le coccole e il sonno a stretto contatto epidermico possono contribuire ad abbassare la pressione sanguigna, ad allungare le onde cerebrali e a rafforzare il sistema immunitario.
SESSUALITÀ. L’orgasmo e altre forme di espressione sessuale sono una fonte di autoaffermazione di importanza primaria: due terzi degli psichiatri sono convinti che le persone «quasi sempre o spesso» perdano l’autostima se private di uno «sbocco regolare per la gratificazione sessuale».5 In effetti la sessualità riveste un’importanza tale per il nostro benessere che, come hanno dimostrato innumerevoli studi, la masturbazione è istintiva fin dalla più tenera età. In seguito la sessualità e la sensualità sono anche modi attraverso i quali esprimiamo noi stessi e «parliamo» l’uno con l’altro: a differenza degli altri animali, per i quali l’attività sessuale sembra concentrarsi in periodi di «calore» e di estro che aumentano la probabilità del concepimento, il piacere sessuale umano esiste indipendentemente dalla riproduzione e pertanto è un modo di comunicazione tanto quanto una funzione procreativa. Tuttavia, data la politica di genere, gli uomini possono avere una fissazione genitale tale da perdere di vista la sensualità dell’intero corpo, mentre molte donne possono fissarsi sul versante della carezza sensuale al punto da sottovalutare il senso di forza interiore trasmesso dall’orgasmo.6 Ancora una volta il progresso risiede nel compimento del circolo, nell’esplorazione delle direzioni che non abbiamo imboccato.
Il fatto è che il piacere sessuale e sensuale spesso è un segnale spontaneo inviatoci dal sé più profondo. Le donne con una bassa autostima possono non recepirlo perché «ascoltano» più il corpo del loro partner che il loro. Gli uomini con una bassa autostima possono «ascoltare» criteri esterni di prestazione sessuale a spese del piacere della loro partner e spesso anche del loro. In effetti, come l’amore e il riso, il piacere reale non è un’emozione che possa essere suscitata a comando – e pertanto è un’espressione del sé autentico. Se confidiamo in esso, se lo seguiamo, se lo ascoltiamo, il corpo ci porterà in luoghi che la mente conscia non avrebbe mai potuto immaginare. «Quando parlo dell’erotismo» ha spiegato la poeta Audre Lorde «ne parlo come di un’affermazione della forza vitale delle donne; di quell’energia creativa, la cui conoscenza e il cui uso ora stiamo rivendicando nel nostro linguaggio, nella nostra storia, nelle nostre danze, nei nostri amori, nel nostro lavoro, nelle nostre vite». E come ha scritto il romanziere Christopher Isherwood, «la sensualità è come… una miniera. Si scende sempre più in fondo. Ci sono cunicoli, grotte, intere stratificazioni. Si scoprono intere ere geologiche».
IMMAGINARIO FISICO. Il corpo sembra dotato di particolari antenne capaci di discernere il grado di stima – o di disprezzo – attribuito a corpi simili. Indipendentemente da quanto possa essere distorta e autodenigratoria l’immagine che abbiamo del nostro corpo, i nostri corpi sembrano sensibili alla sorte dei loro consimili. Pensate all’impatto esercitato da slogan come «Nero è bello» o da qualsiasi altro messaggio analogo su un gruppo la cui apparenza fisica – che si tratti di sesso, razza, etnia, età o abilità corporea – ha avuto un ruolo cruciale nella sua discriminazione. Provate a osservare, all’uscita dal cinema, l’espressione delle donne che hanno visto uno dei rari fil con una protagonista femminile forte e intraprendente: le vedrete camminare a testa alta, con un passo più deciso e maggiore fiducia in se stesse. Considerate l’importanza di un campione sportivo proveniente da un gruppo abituato a credersi incapace di qualsiasi vittoria, di un film popolare in cui i nativi americani sono finalmente «i buoni», di un violinista la cui musica si leva in alto mentre siede sul palco con delle protesi alle gambe, di un’attrice sorda che introduce milioni di spettatori all’espressività del linguaggio dei segni e magari di una donna che resta gioiosa, libera, sensuale e brava nel suo lavoro anche dopo aver superato i sessanta o settant’anni. Le immagini di forza, grazia e competenza che queste persone trasmettono esercitano un influsso vitale – esattamente come le immagini banalizzate, stereotipate, degradanti, sottomesse e pornografiche di corpi simili ai nostri fanno l’esatto opposto, come se assorbissimo la denigrazione o il rispetto attraverso i nostri terminali nervosi.7 Ovunque un immaginario fisico improntato alla negatività sia stato causa di una bassa autostima, è possibile richiamare per contrasto un immaginario positivo in grado di elevarla.
MUOVERSI NELLO SPAZIO. La libertà di esplorare l’ambiente circostante e di sviluppare le nostre capacità corporee è una condizione dello sviluppo intellettuale. Oggi sappiamo che la libertà fisica nei primi anni di vita concorre allo sviluppo di competenze spaziali e visive che sono importanti per la matematica, per molte forme di problem-solving e per quella che gli psicologi definiscono «indipendenza di campo» (la capacità di pensare autonomamente). Queste competenze sono identiche nei bambini e nelle bambine grosso modo fino all’ottavo anno di vita, l’età in cui di solito le bambine cominciano a essere sottoposte a maggiori restrizioni fisiche. A quel punto le competenze cominciano a divergere leggermente; il divario tende ad approfondirsi durante l’adolescenza, quando i limiti imposti alla libertà delle ragazze di esplorare e controllare l’ambiente circostante diventano più stringenti. Che questo divario dipenda dalla socializzazione, e non da capacità intrinseche, sembra comprovato dal fatto che i ragazzi a cui è stato concesso un minor controllo dello spazio tenderanno, al pari delle ragazze, a mostrare i segni di una ridotta competenza spaziale e visiva e di una minore indipendenza di campo. Per esempio, uno studio basato sul confronto tra adolescenti di entrambi i sessi allevati in un kibbutz in Israele e i loro coetanei cresciuti in paesi occidentali o in altri paesi mediorientali metteva in evidenza il vantaggio di cui beneficiavano ragazzi e ragazze dei kibbutz, presumibilmente per via della maggiore libertà fisica di cui godevano. Da un altro studio sulle capacità visive e spaziali dei bambini è risultato che i ragazzi e l...

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