Il Cinquecento - Letteratura e teatro
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Il Cinquecento - Letteratura e teatro

Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 49

Umberto Eco

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Il Cinquecento - Letteratura e teatro

Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 49

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L'epoca drammatica e convulsa delle guerre d'Italia, inaugurata nel 1494 dalla spedizione di Carlo VIII, coincide con un periodo di straordinaria fioritura culturale. È nel corso del Cinquecento infatti che prendono vigore le grandi illusioni cosmopolite e universalistiche dell'umanesimo e si avvia il processo di formazione delle letterature nazionali moderne, che si irradia, con tempi ed esiti diversi, dall'Italia verso il resto d'Europa, mentre la nuova trattatistica critica, legata alla riscoperta della Poetica di Aristotele e alla grande e ininterrotta tradizione della retorica, fornisce un'adeguata teoria entro la quale si ordinano le letterature nazionali sull'esempio del classicismo greco e latino. Questo ebook esplora gli sviluppi tutt'altro che omogenei che il Rinascimento ha avuto nella diversificata realtà europea, con un occhio di riguardo per l'Italia, che, anche dopo il drammatico sacco di Roma del 1527, rimarrà il centro vitale di elaborazione di una cultura che si pone a modello dell'Europa intera. Tra le urgenze avvertite in questo secolo, come risposta alle grandi lacerazioni del secolo, vi è l'unità linguistica che in Italia trova il suo campione in Bembo, che negli anni Venti fissa i due modelli di riferimento per poesia e prosa in Petrarca e Boccaccio. Ma il Cinquecento è anche il secolo in cui brillano le due diverse poetiche di Ariosto e di Tasso, mentre nel dibattito politico, nell'ampia riflessione sull'uomo di governo e il ruolo dell'intellettuale si distinguono Baldassarre Castiglione, Machiavelli e Guicciardini. E proprio con Machiavelli e Guicciardini si afferma insieme alla storiografia moderna una scienza politica nuova, legata alle leggi e ai conflitti della realtà, con due proposte di uomo ben diverse: al vitalismo del centauro machiavelliano contrasta l'uomo di Guicciardini, arroccato nella difesa del proprio "particolare" dagli assalti della fortuna, nell'orizzonte di un pessimismo senza riscatto.

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Information

Year
2014
ISBN
9788897514763

La cultura di corte: poesie e poemi

Il poema cavalleresco
Giovanni Baffetti

Mentre il poema cavalleresco di tradizione ariostesca continua a riscuotere un largo successo presso il pubblico di corte, si fa strada in modi diversi – dal Trissino a Bernardo Tasso –l’esigenza di regolamentare le istanze romanzesche di varietà e meraviglia sulla base dei canoni classicistici di unità e verosimiglianza, definendo i caratteri del poema eroico che viene infine teorizzato da Tasso.

Il poema cavalleresco

La tradizione della narrativa cavalleresca, che Boiardo e Ariosto trasformano in un autonomo genere letterario, trova nel corso del Cinquecento numerosi epigoni: mentre il Berni rielabora in una più accessibile veste linguistica toscana l’Orlando innamorato – assicurando così la fortuna del poema boiardesco nei secoli a venire –, altri letterati si dedicano a continuare le avventure degli eroi dell’Orlando furioso. Accanto ai molti cantori di Astolfo innamorato o di Rinaldo furioso, vanno ricordati Ludovico Dolce che nelle Prime imprese del conte Orlando, pubblicato postumo nel 1572, narra gli antefatti del poema di Ariosto e Vincenzo Brusantini che nell’Angelica innamorata (1550) completa il racconto, giungendo sino alla morte di Ruggiero. Anche Pietro Aretino, poligrafo avventuroso e infaticabile, si unisce alla schiera dei continuatori dell’Orlando furioso con una serie di esperimenti in chiave parodica e caricaturale, dalla Marfisa alle Lagrime d’Angelica e l’Orlandino, destinati però a restare incompiuti.
Alla sterminata produzione di poemi cavallereschi che risponde alle richieste di diletto e divertimento espresse dal pubblico variegato della raffinata corte estense, si affianca un’attenta riflessione teorica volta a legittimare e codificare il nuovo genere del romanzo inventato da Ariosto. Tanto Giraldi Cinzio quanto il suo allievo e poi rivale Pigna, rispettivamente nel Discorso intorno al comporre dei romanzi e nel trattato I romanzi (ambedue pubblicati nel 1554) difendono la letteratura cavalleresca dagli attacchi dei classicisti: Giraldi in particolare sottolinea che non si possono applicare i precetti aristotelici o oraziani a una maniera di comporre che si sviluppa entro il codice espressivo della lingua volgare e che quindi necessita di proprie regole retoriche. Tuttavia il rispetto per la tradizione classica si fa sentire in Giraldi stesso allorché questi, per il suo Ercole (1557), si rivolge a un soggetto mitologico tentando di contemperare unità e varietà in un poema che narri più azioni di un solo eroe.

Il modello classicistico

La proposta teorica più radicale nel corso del dibattito tra i sostenitori delle regole classicistiche e i fautori della varietà romanzesca è quella elaborata da Gian Giorgio Trissino, autore di un poema epico – L’Italia liberata dai goti – composto a partire dal 1527, ma pubblicato solo tra il 1547 e il 1548. Già nella dedica a Carlo V premessa al poema, Trissino chiarisce i presupposti fondamentali che ispirano la sua opera: la fedeltà assoluta ai precetti aristotelici e al modello omerico, e di conseguenza la rigorosa applicazione dei criteri dell’unità e della verosimiglianza dell’azione storica, la guerra di Giustiniano contro i Goti che occupavano l’Italia, scelta come oggetto della narrazione.
Gian Giorgio Trissino

Pilade
L’Italia liberata dai Goti

Levossi il cameriero, e tolse prima
la camicia di lin sottile e bianca,
e la vestì su l’onorate membra;
poi, sopra quella, ancor vestì il giuppone,
ch’era di drappo d’oro; indi calzogli
le calze di rosato e poi le scarpe
di velluto rosin gli cinse a i piedi.
E fatto ch’ebbe questo, appresentogli
l’acqua a le man con un mirabil vaso
di bel cristallo; e sotto a quel tenea
un vaso largo di finissim’oro;
ond’ei se ne lavò le mani e ’l volto,
ed asciugolle ad un bel drappo bianco,
di ricamo gentil fregiato intorno,
che Filocardio suo scudier gli porse.
D’inde gli pettinò la bionda chioma,
ondosa e vaga, et adattò sovr’essa
l’imperial beretta e la corona,
di ricche gemme variata e d’oro.
Da poi sopa il giuppon messe una vesta
di raso cremesin, che intorno al collo
e intorno al lembo avea ricami eletti,
e quella cinse d’onorevol cinta.
Al fin vestigli il sontuoso manto
di drappo d’oro, altissimo e superbo,
di cui tre palmi si traea per terra;
questo affibbiò sopra la destra spalla
con una perla sua rotonda e grossa
più ch’una grossa noce e tanto vaga
e di sì bianco e splendido colore,
ch’una provincia non potria pagarla,
perch’era unico fior de la natura.
G.G. Trissino, L’Italia liberata dai Goti, Roma, Dorici, 1547
Secondo Trissino la solennità e la dignità della poesia epica devono essere conseguite attraverso l’energia, l’evidenza efficace della rappresentazione, esemplificata nell’austera e maestosa semplicità del modello omerico: da questo punto di vista il verso italiano più adeguato a riprodurre il ritmo narrativo dell’esametro greco si rivela essere l’endecasillabo sciolto. Nella versione trissiniana le cadenze grandiose e scandite dello stile omerico tendono però a trasformarsi il più delle volte in indugio prosaico, len...

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