1. Il trasporto degli affetti
L’incipit dell’Eneide risuona nei primi versi della Gerusalemme liberata, bisogna leggere entrambi a voce alta: «Canto l’arme pietose e ’l capitano / Arma virumque cano». L’eco delle parole di Virgilio in quelle di Tasso ha un ovvio valore di legittimazione ma dice anche, fin dalla sua soglia, che il poema è stato concepito al tempo stesso come una rinascita dell’epica antica e come il luogo della sua conversione cristiana.
Canto l’arme pietose e ’l capitano
che ’l gran sepolcro liberò di Cristo.
Molto egli oprò co ’l senno e con la mano,
molto soffrì nel glorioso acquisto;
e in van l’Inferno vi s’oppose, e in vano
s’armò d’Asia e di Libia il popol misto.
Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi
segni ridusse i suoi compagni erranti. (I, 1)
La materia del poema è riassunta in questa ottava che avanza con la lentezza grave dell’epopea antica. Il gran sepolcro di Cristo si erge all’orizzonte di un’avventura delle armi e delle anime, concepita come una conquista militare, ma anche come un mistico ritorno alle origini sacrificali della fondazione del cristianesimo. Solo il contatto con la pietra del sepolcro potrà sciogliere il voto, solo allora la fantasmatica immagine della tomba salvifica s’incarnerà in una materia tangibile e diverrà, infine, reale.
Strano desiderio, perché quando alla fine del poema Goffredo, coperto di sangue, deporrà le armi sul sepolcro, questo rimarrà un ricettacolo vuoto, come lo era il giorno dell’annuncio della Resurrezione alle donne. In quella scena primitiva della cristianità, il discorso dell’angelo inaugura una forma di rappresentazione verbale che trova la sua forma specifica e la sua forza nella «presentificazione dell’assente». La ritualità eucaristica fondativa del cristianesimo si basa, del resto, sulla transustanziazione, processo rituale di «presentificazione» del corpo di Cristo che può essere celebrato ovunque vi siano le condizioni prescritte. Nel poema, e senza dubbio anche nella crociata sanguinosa ch’esso descrive, il luogo del fondatore sacrificato ha invece un valore legato al territorio, è quindi dotato di una caratteristica «tribale», più primitiva rispetto all’indifferenza relativa del luogo di celebrazione della messa. Il sepolcro è una reliquia intrasportabile; deve essere conquistato a ogni costo perché possiede una concentrazione di potenza redentrice scaturita dal contatto con il corpo di Cristo, che la pietra tombale conserva e che nessun altro luogo offre.
Dopo aver indirizzato una vibrante richiesta di protezione a una musa cristiana e aver reso omaggio al suo committente Alfonso d’Este, il poeta affida l’inizio dell’azione allo sguardo di Dio.
E ’l fine omai di quel piovoso inverno,
che fea l’arme cessar, lunge non era,
quando da l’alto soglio il Padre eterno,
ch’è ne la parte più del ciel sincera,
e quanto è da le stelle al basso inferno
tanto è più in su de la stellata spera,
gli occhi in giù volse, e in un sol punto e in una
vista mirò ciò ch’in sé il mondo aduna. (I, 7)
Mirò tutte le cose, ed in Soria
s’affisò poi ne’ principi cristiani;
e con quel guardo suo ch’a dentro spia
nel più secreto lor gli affetti umani,
vide Goffredo che scacciar desia
de la santa città gli empi pagani,
e pien di fé, di zelo, ogni mortale
gloria, imperio, tesor mette in non cale. (I, 8)
Attraversando il cielo, lo sguardo del Padre penetra l’involucro corporeo del cavaliere cristiano per accedere direttamente al luogo segreto dei suoi affetti dove scopre lo zelo, la fede e il desiderio di agire, mentre i compagni si preoccupano del potere terreno e dei tesori. Il luogo degli affetti è un teatro interiore. Allievo dei gesuiti, il Tasso lo descrive secondo i principi post tridentini che fondano la soggettività moderna sulla possibilità di esteriorizzare tutti i segreti dell’anima (e del corpo) sottoponendoli al vaglio di un confessore, rappresentante di colui che dal cielo tutto vede e dentro spia senza bisogno di mediazioni. È necessario prendere tutta la misura di questa prima penetrazione dello sguardo divino nell’anima dell’uomo per non sottostimare la centralità del segreto nella dinamica degli affetti: questi ultimi possono essere dissimulati agli uomini, ma non all’occhio assoluto dal Padre eterno che si presenta quindi come un modello di potenza scopica eccezionale al quale corrisponde una possibilità altrettanto eccezionale di «far sentire e di far agire».
Dio proietta infatti il proprio volere su quello di Goffredo affinché il desiderio del cavaliere possa mutarsi in azione. Questa operazione necessita l’invio di un’immagine percepibile al «senso mortal»: un angelo. Disposta all’inizio del libro, la figura di Gabriele è la prima che associa intimamente l’immagine e l’affetto a un movimento di traslazione. Prototipo celeste delle immagini-affetto profane che incontreremo più avanti, Gabriele – «interprete fedel, nunzio giocondo» – è incaricato di intensificare l’affetto di Goffredo comunicandogli che Dio gli ordina di riprendere la guerra e lo nomina capitano dell’armata cristiana.
Si assiste allora a una singolare scena di vestizione: un desiderio immateriale indossa un abito d’aria per farsi immagine.
Così parlogli, e Gabriel s’accinse
veloce ad esseguir l’imposte cose:
la sua forma invisibil d’aria cinse
ed al senso mortal la sottopose.
Umane membra, aspetto uman si finse,
ma di celeste maestà il compose;
tra giovene e fanciullo età confine
prese, ed ornò di raggi il biondo crine. (I, 13)
Ali bianche vestì, c’han d’or le cime,
infaticabilmente agili e preste.
Fende i venti e le nubi, e va sublime
sovra la terra e sovra il mar con queste.
Così vestito, indirizzossi a l’ime
parti del mondo il messaggier celeste;
pria sul Libano monte ei si ritenne,
e si librò su l’adeguate penne; (I, 14)
e ver le piaggie di Tortosa poi
drizzò precipitando il volo in giuso.
Sorgeva il novo sol da i lidi eoi,
parte già fuor, ma ’l più ne l’onde chiuso;
e porgea matutini i preghi suoi
Goffredo a Dio, come egli avea per uso,
quando a paro co ’l sol, ma più lucente,
l’angelo gli apparì da l’oriente; (I, 15)
Poi:
[...] Tacque; e, sparito, rivolò
del cielo a le parti più eccelse e più serene.
Resta Goffredo a i detti, a lo splendore,
d’occhi abbagliato, attonito di core. (I, 17)
L’apparizione di Gabriele, immagine incandescente, traversata dal sole abbagliante dell’alba sul mare, è un composto di luce naturale e sovrannaturale. Tasso descrive questo fenomeno d’intensificazione luminosa secondo una dinamica estatica: il volere divino, sposata la forma della luce solare, ne spinge il bagliore fuori di sé.
La luce è la forma sensibile del desiderio, un’immagine accecante, eccedente i propri limiti d’immagine che ci rinvia a una delle figure dell’angelo forgiate dallo Pseudo Dionigi nelle Gerarchie celesti. Questa figura ha due facce, uno specchio e una finestra: lo specchio rinvia alla fonte divina tutta la luce che riceve, la finestra, opaca, lascia filtrare verso gli esseri inferiori una piccola parte della luce che abbaglia l’altra faccia.
All’estremo della ronda infinita dei cerchi angelici l’uomo riceve i resti della luce che ha traversato i corpi eterei dei serafini, dei cherubini e dei troni (prima gerarchia), delle signorie e delle potenze (gerarchia mediana), dei principati, degli arcangeli e degli angeli (ultima gerarchia).
Quest’architettura di luce, concepita secondo il modello della filosofia platonica, è un grande dispositivo di proiezione che fa partecipare anche l’uomo della divinità offrendogli la possibilità di riflettere la sua parte di bagliore divino, e di rendersi così simile agli angeli nella misura delle sua possibilità.
Tra tutte le figure degli angeli nelle Scritture, Dionigi preferisce quella del fuoco:
Poiché il fuoco materiale è sparso dappertutto e si mescola, senza confondersi, con tutti gli elementi, dai quali resta sempre eminentemente distinto; splendente per natura, e tuttavia nascosto, e la sua presenza non si manifesta che quando trova materia alla sua attività; violento e invisibile, doma tutto con la sua propria forza e si assimila energicamente ciò che ha afferrato; si comunica agli oggetti e li modifica in ragione diretta dalla loro vicinanza; rinnova ogni cosa col suo calore vivificante, e brilla d’una luce inestinguibile; sempre indomo, inalterabile, discerne la sua preda, non subisce mai nessun cambiamento, ma s’innalza verso il cielo e con la rapidità della sua fuga, sembra voler sottrarsi a ogni asservimento; dotato di una costante attività, comunica il moto alle...