1. UN MONDO D’ACQUA
L’acqua comprende
bene la civiltà;
bagna il mio piede, ma graziosamente,
rilassa la mia vita, ma argutamente,
non è sconcertata,
non ha il cuore rotto:
ben usata, agghinda la gioia,
la adorna, raddoppia la gioia:
utilizzata male, lei distruggerà,
in tempo e misura perfetti
con un volto di piacere dorato
elegantemente, distruggerà.
Ralph Waldo Emerson
L’auto è ferma sulla strada. In lontananza le idrovore sono protette da un cordone di agenti di sicurezza privati. «Scusate, possiamo avvicinarci?». La domanda agli agenti è posta con cortesia. Duecento chili strizzati dentro un giaccone nero e pantaloni a tasconi, occhiali Oakley fuori misura, incutono pur sempre timore. «Niente giornalisti, non c’è niente da vedere. È solo acqua». Rimaniamo in disparte scattando qualche foto come possiamo. Quella non è solo acqua, ma un mix di agenti chimici, sabbia usata per l’estrazione di gas. È il 2009, Obama si è insediato da qualche mese alla Casa Bianca, nel paese c’è euforia. Il luogo è Dimock, Pennsylvania, e la scena che abbiamo sotto gli occhi è uno dei primi incidenti legati all’estrazione di gas da scisti argillosi, attraverso una tecnica chiamata fracking, ovvero fratturazione idraulica delle rocce, con l’uso di sabbia e agenti chimici, per liberare il gas intrappolato della roccia. S’inietta questo liquido a tutta potenza e si attende che il gas fuoriesca. All’epoca la tecnologia era sperimentale, e c’era d’attendersi che presto si sarebbe verificato qualche incidente.
Mi trovavo nella zona con la fotografa Giada Connestari per un lavoro – uno dei primissimi reportage –
su quel nuovo boom energetico, i cui echi non erano ancora arrivati in Europa. Ma per gli ambientalisti americani era già una nuova frontiera della lotta per preservare le acque e la natura. Marirosa l’avrei conosciuta solo nel 2015 alla Conferenza sul Clima di Parigi: dal nostro incontro sarebbe scaturita la prima opera di documentazione italiana sul tema dell’accaparramento delle risorse idriche a livello globale.
Dimock a secco
Nei pressi di Carter Road, una strada ombreggiata da ampli aceri argentei, la compagnia estrattiva Cabot Oil and Gas aveva commesso una serie di gravi errori durante le operazioni di fracking, riversando decine di ettolitri di fluidi contenenti agenti chimici, necessari per la fratturazione delle rocce, dentro la falda acquifera. Contaminandola, a insaputa degli abitanti. Sulle prime nessuno sembrava prestare troppa attenzione alle operazioni di fracking. Tutti rilasciavano interviste ed era possibile assistere, di soppiatto, alle operazioni di fratturazione. Ma lentamente la protesta nasceva. Inizialmente a livello locale, con la gente esasperata dal traffico dei camion sulle piccole strade di campagna e dall’invasione di centinaia di tecnici e operai con le loro trivelle in quella che un tempo era una tranquilla zona rurale, improvvisamente diventata uno dei principali reservoir di estrazione di gas naturale.
Di sicuro nessuna delle decine di persone intervistate in quei giorni pensava che il boom dello shale gas avrebbe sottratto loro l’acqua per sempre. Nei mesi successivi, la popolazione della zona iniziò a soffrire di attacchi di vomito, nausea e sanguinamento copioso: il fluido di fratturazione aveva contaminato la falda raggiungendo le tubature delle abitazioni di Dimock. Gli abitanti, che già usavano acqua dalle taniche per gli usi alimentari, si ritrovarono costretti a comprare ogni giorno centinaia di litri d’acqua per lavarsi, dopo che era divenuto chiaro che i malesseri erano causati dalla contaminazione, anche solo attraverso contatto. Nonostante la Pennsylvania sia uno degli stati più ricchi di risorse idriche, in una delle nazioni più tecnologicamente avanzate del pianeta, gli abitanti di Dimock erano rimasti a secco. La loro acqua era stata sottratta per scopi estrattivi, in uno schema finito male. Era il primo caso di accaparramento idrico che finiva in un nostro articolo.
Per oltre otto anni alcune famiglie hanno tentato, inutilmente fino ad oggi, di ricevere una compensazione stimata intorno ai 4,24 milioni di dollari per i danni fisici ed economici dovuti alla contaminazione e all’importazione forzata dell’acqua in cisterna per continuare a vivere una vita quasi normale. Sono tornato più volte in Pennsylvania e in altre regioni dove il fracking si è diffuso come tecnica estrattiva, dal Texas al North Dakota, diventando in breve tempo uno dei principali nemici dell’ambientalismo Usa, insieme ai grandi oleodotti e gasdotti necessari a sostenere questo boom. Cabot Oil and Gas, che ha sempre rifiutato di rilasciare un’intervista all’autore, a eccezione di una breve dichiarazione per email nel 2009, ha sempre evitato di assumersi la piena responsabilità dell’accaduto. Tornando nel 2017 a Dimock per vedere cosa fosse cambiato, trovai le case ancora circondate da cartelli con la scritta «Fermate il fracking» e «Ridateci la nostra acqua».
Parlando con gli abitanti di Carter Road ho rivissuto una scena familiare, già vista in altri paesi del mondo, durante gli anni da inviato specializzato in ambiente e sviluppo: il senso di disperazione per la sottrazione della linfa vitale, l’acqua. Serva essa a lavarsi, a bere, per l’agricoltura, per il bestiame o anche solo per giocare, nella nostra quotidianità diamo per scontata la presenza dell’H2O, particella chimica fondamentale per la nostra esistenza. Quando esce dal rubinetto, quando scorre nel torrente vicino a casa, dalla fontana dei giardini o dallo scarico del water. È scontato trovarla al supermercato o nel pozzo artesiano in giardino. È sempre controllata, disponibile, pronta per noi. Chi ha meno di vent’anni ed è cresciuto in un paese industrializzato, molto probabilmente non ha mai esperito quella sensazione di privazione. L’acqua è un diritto e una necessità che precede qualsiasi altro diritto e necessità. Si dice che si possa rimanere nel deserto senza mangiare per due settimane. Eppure, con ventiquattro ore senz’acqua le speranze di vita si riducono al minimo. La bocca si secca, la ptialina si stampa sulle gengive, la gola diventa stretta, soffocando quasi il respiro. Il cervello perde lucidità. La sete acuta è un’esperienza terribile. Non importa che si tratti degli operai e dei pensionati di uno dei paesi più ricchi al mondo o di agricoltori del bacino dell’Omo, di pastori sudafricani o di pescatori vietnamiti. Il senso di disperazione e preoccupazione, la rabbia, l’impotenza nei loro occhi è la stessa. La sete di un uomo rimasto senz’acqua per sé, per l’agricoltura, per il suo bestiame, è un urlo silenzioso.
Le chiare, fresche e dolci acque cantate dal Petrarca sono l’elemento fondamentale, per noi e per tutti i regni naturali, elemento di purificazione e di prosperità. Per molti poeti è un elemento ultraterreno, vista la sua centralità nella produzione della vita. Essa è divinità, è bios, è ordine.
Crisi sistemica
Nel corso di dieci anni in giro per il mondo, entrambi gli autori di questo libro abbiamo accumulato decine di storie come quella della Pennsylvania, storie di ingiustizia, di spreco, di cattiva gestione, di sopraffazione e strapotere, di stupidità e avidità umana. Tutte storie riconducibili all’accaparramento idrico. Dalla guerra delle dighe sul Mekong alla privatizzazione in Bolivia, dalla crisi idrica californiana al depauperamento delle riserve idriche italiane, dalla contaminazione del Golfo del Messico durante l’incidente della Deepwater Horizon all’accaparramento dell’acqua da parte dell’industria del carbone in Sudafrica.
Reportage dopo reportage, si è palesato in maniera sempre più consistente un tema di geopolitica spesso troppo trascurato: il controllo delle risorse idriche. Le guerre del XXI secolo si stanno già combattendo per l’acqua, e la lotta per l’accaparramento del petrolio blu diventerà il leitmotiv di innumerevoli tensioni politiche, che si riproporranno ogni estate, ogni stagione secca, in tante aree geografiche del pianeta, spesso simultanea-
mente. Si trova poco tra le pagine dei giornali, e i libri in biblioteca scarseggiano. Eppure quella dell’acqua è ormai una crisi sistemica: il superamento di uno dei nove limiti del pianeta raccontati dall’ecologista Johan Rockstöm e dallo Stockholm Resilience Center. L’acqua è scarsa e tutti hanno iniziato la corsa per accaparrarsela. Questo libro vuole essere una testimonianza che mette insieme scienza e indagine giornalistica, storie di esseri umani e grandi scenari internazionali. Un tentativo di documentare una grande trasformazione politica, sociale e ambientale. Un allarme: siamo entrati nell’era del water gr...