Le teorie delle comunicazioni di massa e la sfida digitale
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Le teorie delle comunicazioni di massa e la sfida digitale

Sara Bentivegna, Giovanni Boccia Artieri

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Le teorie delle comunicazioni di massa e la sfida digitale

Sara Bentivegna, Giovanni Boccia Artieri

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A distanza di quindici anni dalla pubblicazione del manuale Teorie delle comunicazioni di massa di Sara Bentivegna, che si è imposto come testo di riferimento per numerosissimi corsi universitari, un libro completamente nuovo rilegge le teorie classiche alla luce della rivoluzione digitale.

I mass media manipolano l'opinione pubblica? In quali modi? Con il passaggio al digitale stiamo assistendo alla costruzione di nuove forme di propaganda? Come leggere fenomeni come le fake news, le echo chambers o la polarizzazione dei pubblici online? Gli autori rispondono a queste domande esponendo le diverse teorie che hanno accompagnato lo sviluppo e l'affermazione delle comunicazioni di massa e rileggendone gli strumenti concettuali alla luce della rivoluzione digitale degli ultimi anni. Descrivono, inoltre, in modo puntuale le principali trasformazioni che riguardano il potere dei media nei processi di costruzione della realtà sociale e nei confronti dell'audience.

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Information

Year
2019
ISBN
9788858138571

Parte quarta.
Media, new media
e costruzione sociale della realtà

9.
La teoria dell’agenda-setting

9.1. Il contributo dei media alla costruzione sociale della realtà

In procinto di festeggiare il suo cinquantesimo compleanno, la teoria dell’agenda-setting continua a offrire interessanti elementi di riflessione e suggestioni utili a comprendere il ruolo dei media nella nostra società. In questi cinquant’anni, si sono accumulate numerose ricerche e revisioni critiche della formulazione iniziale della teoria: dal riconoscimento che i media ci indicano i temi intorno ai quali pensare si è giunti a una riflessione a tutto campo sui processi di costruzione di tali temi e sulle relazioni esistenti tra di essi e gli attori sociali. L’iniziale approccio «mediacentrico» (Marini, 2006) si è stemperato nel corso del tempo, riflettendo le trasformazioni avvenute nelle relazioni tra sistema dei media, sistema politico e cittadini.
Prima di ricostruire questa evoluzione, tuttavia, è necessario dedicare un po’ di attenzione al significato del riconoscimento del contributo dei media alla costruzione sociale della realtà, tratto comune tanto della teoria dell’agenda-setting che delle altre teorie che verranno presentate nei capitoli successivi. Per rendere l’idea della portata di tale riconoscimento, possiamo partire dalla seguente affermazione: «Ciò che sappiamo della nostra società, ed in generale del mondo in cui viviamo, lo sappiamo dai mass media» (Luhmann, 1996; trad. it., 2000). Queste parole, scritte sul finire del secolo scorso, sintetizzano brillantemente il «debito» che tutti quanti noi abbiamo nei confronti dei media nonché il loro ruolo giocato nei processi di costruzione sociale della realtà. Dello stesso tenore appaiono le parole di Robert Park che, in anni ancora più lontani, sosteneva che le news costituiscono una forma di conoscenza (1940), che permette l’orientamento tanto degli individui quanto della società. Certo, si tratta di una forma di conoscenza particolare, definita di «seconda mano», che si è andata affermando e diffondendo a seguito delle trasformazioni sociali, economiche e culturali che hanno interessato il mondo contemporaneo. D’altro canto, in un mondo nel quale le conseguenze della globalizzazione sono sempre più accentuate e pervasive, diviene inevitabile l’incremento di esperienze di seconda mano, rese possibili dalla mediazione simbolica dei mezzi di comunicazione.
L’inevitabilità della prevalenza di secondhand experiences discende direttamente dalle trasformazioni delle società e dall’opportunità offerta dai media di vivere esperienze altrimenti impossibili. Così come l’uomo della caverna di Platone aveva bisogno della parete per vedere riflesse le ombre, noi abbiamo bisogno del sistema dei media per accedere a esperienze, mondi e realtà che difficilmente potremmo conoscere personalmente. Senza dimenticare, poi, che agiamo in conseguenza di ciò che vediamo proiettato sulla parete (Bentivegna, 1994). La consapevolezza della centralità dei media si è andata diffondendo sin dai primi anni del secolo scorso – quando la stampa era l’unico mezzo di informazione – per poi modificarsi negli anni più recenti. Dalla necessità della mediazione della stampa nella rappresentazione della realtà sociale prende le mosse il libro Public Opinion di Walter Lippmann (1922; trad. it., 1964), il primo contributo di studio che si colloca in ambito massmediologico. Secondo Lippmann, la stampa, ma più in generale i mass media, attraverso la costruzione di «stereotipi» che contribuiscono a creare uno pseudo-environment, consentono ai cittadini di conoscere eventi e argomenti del tutto estranei alla loro realtà soggettiva. Illuminante al riguardo l’esempio dell’anziana Miss Shervin of Prairie che, solo mediante lo stereotipo della guerra costruito grazie alla mediazione della stampa, può comprendere la natura dello scontro tra il Kaiser e l’imperatore francese. L’opportunità di pervenire alla costruzione di stereotipi mediante il supporto della stampa non esaurisce, nella lettura di Lippmann, il ruolo giocato dai mass media nel processo di costruzione della realtà. Essi, infatti, offrono gli elementi conoscitivi in base ai quali i soggetti prendono decisioni e agiscono, reagendo allo pseudo-environment loro offerto.
Gli elementi chiave che caratterizzano la posizione di Lippmann – la costruzione di stereotipi congiuntamente all’assunzione di condotte derivanti dall’immagine della realtà fornita dai media – permettono di stabilire le coordinate di base che caratterizzano l’approccio massmediologico. Un approccio che, pur con alcune varianti, si traduce in una focalizzazione dell’attenzione sull’impatto che le rappresentazioni offerte dai media hanno nella costruzione soggettiva della realtà sociale (Adoni, Mane, 1984). In questo ambito, i media assumono un ruolo rilevante non solo nel fornire informazioni su specifici eventi ma, soprattutto, nell’offrire i riferimenti contestuali all’interno dei quali – e mediante i quali – collocare e dare senso agli eventi stessi. Un’offerta che di certo non è venuta meno con l’affermazione dei media digitali ma che, per molti versi, è addirittura aumentata grazie all’ampliamento del ventaglio delle opportunità.
Il riconoscimento del ruolo giocato dai media nel processo di costruzione della realtà da parte degli individui costituisce l’elemento comune che caratterizza le teorie più recenti dei media. Nelle pagine seguenti, verranno illustrate la teoria dell’agenda-setting, la teoria della spirale del silenzio, la teoria della coltivazione e la teoria del knowledge gap. In tutte le teorie citate, i media consentono agli individui di accrescere il loro grado di conoscenza e informazione ovvero di cogliere le correnti di pensiero e gli atteggiamenti dominanti in un dato momento storico. Consentono, altresì, la realizzazione di molti processi di socializzazione che nel passato venivano garantiti da altri soggetti. È chiaro che sottolineare la presenza di processi di socializzazione e costruzione della realtà comporta riferirsi, implicitamente, a conseguenze di lungo periodo. Non è un caso che in questa fase, che secondo la Noelle-Neumann segna il ritorno ai powerful media, lo studio delle campagne si accompagna ad analisi dell’intero sistema dei media, si introducono metodologie alternative a quelle tradizionali, si presta attenzione non già al cambiamento di atteggiamento o opinione ma al processo attraverso il quale l’individuo costruisce la propria rappresentazione della realtà e i propri modelli di significato. Si afferma, in breve, un approccio che affonda le sue radici nella sociologia della conoscenza e che, contemporaneamente, abbandona definitivamente il modello informazionale della comunicazione (Shannon, Weaver, 1949). Al centro dell’attenzione vengono posti i processi di formazione dell’opinione pubblica, con la piena consapevolezza della complessità delle dinamiche esistenti tra i vari attori, ulteriormente accresciuta a seguito dell’affermazione del web e dei processi di convergenza da esso attivati. Al contempo, il contributo complessivo offerto dai mezzi di comunicazione all’elaborazione e condivisione di modelli di significato da parte degli individui viene attualizzato e analizzato in un’ottica crossmediale.
Prendendo le mosse dall’analisi della teoria dell’agenda-setting, essa può essere sintetizzata come la capacità da parte dei media di formare l’opinione pubblica grazie all’influenza esercitata in merito alla rilevanza dei temi nell’agenda pubblica o, per dirla con Lippmann (1922), di costruire un ponte tra «the world outside and the pictures in our heads». In questa breve descrizione, ancorché straordinariamente efficace, vi è il riferimento principale della teoria che è costituito dal passaggio di salienza dai media agli individui. Nel corso degli anni, la teoria ha fatto i conti con le trasformazioni del sistema mediale e si configura oggi come una complessa mappa in via di definizione tanto nelle sue parti quanto nelle relazioni tra di esse (McCombs, 2004), alla luce della nuova frontiera della ricerca rappresentata da internet (McCombs, 2005). Nelle pagine seguenti, verrà ricostruito questo complesso processo di ridefinizione partendo dalla formulazione iniziale della teoria e dei suoi assunti di base (primo livello dell’agenda-setting), mostrandone l’evoluzione attraverso il passaggio dell’assegnazione di rilevanza anche agli attributi oltre che ai temi (secondo livello dell’agenda-setting) fino ad arrivare a considerare l’agenda come un network di relazioni tra temi e attributi (terzo livello dell’agenda-setting).

9.2. Dall’agenda dei media all’agenda del pubblico: il primo livello dell’agenda-setting

In un volume pubblicato nel 2004, Maxwell McCombs ricostruisce la storia della nascita della teoria dell’agenda-setting, facendo riferimento alla sua esperienza di studioso sul finire degli anni Sessanta. In quella sede, ricorda che utilizzò per la prima volta la definizione di agenda-setting in una conversazione con Steve Chaffee nel 1968, nel corso dei lavori di un convegno. Pur essendo un termine nuovo e non familiare alla comunità degli studiosi, la comprensione del suo significato da parte del collega fu immediata e tale da confermarne l’uso qualche anno più tardi, ovvero quando vennero presentati i risultati del lavoro di ricerca condotto dallo stesso McCombs e Shaw (1972; trad. it., 1994) nella cittadina di Chapel Hill. Vi è da dire, comunque, che un’anticipazione della natura del rapporto tra media e individui era già stata offerta da Bernard C. Cohen (1963) alcuni anni prima, sostenendo che «la stampa può nella maggior parte dei casi non essere capace di suggerire alle persone cosa pensare, ma essa ha un potere sorprendente nel suggerire ai propri lettori intorno a cosa pensare» (ivi, p. 13). Nella stessa direzione si colloca l’efficace illustrazione degli assunti dell’agenda-setting offerta da Eugene F. Shaw (1979), che possono essere sintetizzati nel riconoscimento che i media non cercano di persuadere gli individui ma offrono loro una lista di temi intorno ai quali pensare.
I soggetti, quindi, sono esposti all’influenza dei media per ciò che riguarda l’individuazione dei temi, non già per quello che attiene alla valutazione e soluzione degli stessi. Gli elementi chiave della teoria dell’agenda-setting possono essere ravvisati, in prima battuta, a) nel potere che i media hanno di determinare e di ordinare gerarchicamente la presenza dei temi nell’agenda; b) nella costruzione dell’agenda degli individui come conseguenza di ciò che è presente nell’agenda dei media.
La prima ricerca, condotta con l’obiettivo di testare l’esistenza di tale nesso, venne realizzata nel 1968 da McCombs e Shaw nel centro di Chapel Hill in occasione della campagna per le elezioni presidenziali di quell’anno, e i risultati principali vennero pubblicati nel 1972 all’interno dell’articolo The Agenda-Setting Function of Mass Media. I due ricercatori focalizzarono la loro attenzione sul contributo offerto dai media nella determinazione dei temi dibattuti nel corso della campagna, ipotizzando che i mass media «determinino l’agenda di ogni campagna elettorale, influenzando l’importanza attribuita dal pubblico ai vari temi politici» (1972; trad. it., 1994, p. 62). Il disegno della ricerca venne articolato in due fasi: una dedicata alle interviste dei cento soggetti prescelti, un’altra tesa a registrare gli argomenti presenti nei media che servivano l’area di Chapel Hill4.
Si tratta di un tipico disegno di ricerca ispirato alla teoria dell’agenda-setting, che si caratterizza per il confronto tra i temi segnalati dai soggetti – rilevati mediante lo strumento dell’intervista – e quelli presentati dai media – individuati mediante lo strumento dell’analisi del contenuto. È importante sottolineare che i soggetti intervistati appartenevano a quella fascia di elettorato che ancora non aveva preso una decisione di voto e che, quindi, era mossa da un bisogno di orientamento. Si tornerà più avanti su questo concetto, al centro dell’attenzione della ricerca più recente (McCombs, Shaw, Weaver, 2014) in virtù della sua natura a cavallo tra dimensione personale e mediale. Ora, è preferibile proseguire nella descrizione dei risultati della ricerca di Chapel Hill e delle suggestioni che ne sono derivate. Dal confronto tra i temi segnalati dagli intervistati e quelli registrati nei media, i ricercatori ottennero dati utili a sostenere l’esistenza di un’influenza dei media nella determinazione dei problemi e della loro rilevanza. Consapevoli dei limiti insiti in un disegno di ricerca basato su dati aggregati e ancora in via sperimentale, McCombs e Shaw conclusero il loro lavoro dichiarando: «Ovviamente, le correlazioni riportate in questa sede non costituiscono una prova della funzione di agenda-setting dei media, ma i risultati da noi ottenuti sono coerenti con le condizioni che dovrebbero sussistere qualora tale fenomeno avvenisse realmente» (ivi, p. 71).
Negli anni successivi sono state condotte numerose ricerche, dando vita a quello che McCombs e Valenzuela (2017) hanno individuato come un «trend centrifugo» – nel senso che vi è stato un ampliamento del tradizionale campo di ricerca oltre i public affairs – e un «trend centripeto» – teso a esplicitare alcuni elementi centrali della teoria. Tra questi, figurano quelli relativi alla natura dei temi, alle caratteristiche dei media e del pubblico, e alla natura dell’agenda.
Sul fronte della riflessione intorno alla natura dei temi, essa può essere evocata tramite la formulazione del seguente interrogativo: tutti i temi sono uguali o ci sono differenze tra di essi? Detto altrimenti, l’effetto di agenda può essere maggiore o minore a seconda delle caratteristiche dei temi? Secondo Harold Gene Zucker (1978), uno dei primi studiosi a occuparsi della questione, prevale, sia pure a livello implicito, una sostanziale disattenzione verso la natura dei temi tale da ignorare quella che lui definisce la loro caratterizzazione in termini di «obtrusiveness». Ciò che viene dimenticato in molti disegni di ricerca è la variazione dell’influenza dei media sui livelli di conoscenza del pubblico in relazione ai...

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