Strumenti e metodi per l’apprendimento
Paolo Silvestri
Modelli linguistici e canone letterario nelle prime grammatiche italiane per spagnoli
Le grammatiche delle lingue straniere che, a partire dal Cinquecento, proliferano nel neonato mercato editoriale come corollario del processo di codificazione dei volgari, sono molto di più che contenitori asettici di regole. Offrono infatti la possibilità di letture trasversali che possono, tra l’altro, svelare i meccanismi e i canali di ricezione di una determinata tradizione linguistica e culturale al di là dei confini nazionali. Se poi allarghiamo la nostra visione in diacronia, possiamo ottenere informazioni, o anche solo conferme, sull’evoluzione dei rapporti letterari o artistici, ma anche politici, commerciali o di qualsiasi altra natura, intercorsi fra due paesi e due culture nel corso dei secoli. Uno dei molti fili rossi che in questo senso si possono seguire è proprio quello degli esempi proposti, apparentemente relegati al semplice ruolo subalterno di supporto delle regole grammaticali, ma la cui selezione può al contrario rispondere a ragioni di maggior peso.
Nel caso che ci riguarda, possiamo innanzitutto ricordare a mo’ di premessa alcuni capisaldi, a cominciare dalla sopravvalutata affinità fra Italia e Spagna, topos saldamente radicato nell’immaginario collettivo e frutto troppo spesso di una lettura superficiale ed oleografica della realtà. I due paesi hanno in realtà storie molto diverse, soprattutto per quanto riguarda il rispettivo percorso di unificazione, di molto anteriore in Spagna rispetto all’Italia, in cui per secoli si mantiene quella dicotomia già indicata nel De vulgari eloquentia, dove si allude a un’unità spirituale e culturale non sancita però, come sarebbe auspicabile già nel pensiero dantesco, a livello politico. Ne derivano, naturalmente, percorsi molto diversi anche per quanto riguarda il processo di definizione della norma linguistica. Da una parte abbiamo infatti una lingua viva e coincidente con un epicentro reale, quella codificata nel 1492 nella Gramática de la lengua castellana di Nebrija (tra l’altro la prima grammatica di una lingua volgare a stampa in Europa), ben presto oltretutto proiettata al di fuori dei confini del regno attraverso la politica imperialistica intrapresa dalla corona spagnola; dall’altra parte un modello di lingua arcaizzante e classicistico, quello definito nelle Prose di Bembo (1525), frutto di una ricerca razionale ed estetica, di un dibattito svincolato dalla realtà comunicativa degli abitanti della penisola e circoscritto fondamentalmente all’ambito letterario. Sono arcinote le dichiarazioni di Nebrija che, nella sua grammatica, definisce la lingua compañera del Imperio, sottolineandone il valore simbolico nel processo di espansione imperialistica. Se la frammentazione politica italiana impedisce di postulare un’espansione territoriale anche solo lontanamente simile a quella spagnola, le Prose, oltre a definire le fondamenta su cui si costruirà la norma linguistica, sono in qualche modo l’embrione di un “imperialismo letterario”, che si accompagna alla forte onda espansiva della cultura rinascimentale al di là della penisola. Mi riferisco in particolare al prestigio straordinario dei modelli metrici, retorici e stilistici definiti dalla lirica di Petrarca che, insieme alla prosa di Boccaccio, costituivano i pilastri della teoria bembiana, modelli di perfezione formale che, in consonanza con i principi dell’estetica umanistica, dovevano essere imitati.
La Spagna è stato uno dei paesi che ha assorbito più capillarmente questo modello, come dimostra la centralità del petrarchismo nella m...