Metamorfosi
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Metamorfosi

Siamo un'unica, sola vita

Emanuele Coccia, Simona Mambrini

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Metamorfosi

Siamo un'unica, sola vita

Emanuele Coccia, Simona Mambrini

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«La vita non è che un'unità cosmica che stringe la materia della Terra in un'intimità carnale. Siamo tutti carne della stessa carne, indifferentemente dalla specie cui apparteniamo».
Un saggio dirompente, che ribalta in modo radicale la nostra idea di cambiamento.
Tutto è metamorfosi e di questo facciamo esperienza fin dalla nascita, perché nascere significa ereditare una vita che ha già vissuto - il suo Dna, il suo respiro, la sua carne, i suoi atomi - e sforzarsi di darle un altro volto. È ciò che accade a tutte le specie attraverso l'evoluzione: ciascuna è la metamorfosi di una forma che ha già vissuto e che si prolunga nella diversità dell'altra. Questa continuità lega tutti i viventi tra di loro e con la Terra, l'immenso bruco da cui si liberano, a ogni istante, le farfalle delle specie. Filosofo italiano tra i piú noti e stimati a livello internazionale, Emanuele Coccia ha fatto di questo libro brillante e originale, tradotto già in diverse lingue, la metamorfosi dei saperi piú diversi: dalla zoologia alla filosofia, dalla biologia alla linguistica, dalla botanica alla letteratura. Ne risulta una visione in cui l'essere umano stesso è uno zoo ambulante, frutto ed espressione di una forma di vita piú vasta e interconnessa.
«Il materiale che Emanuele Coccia usa viene da antropologi, psicologi, sociologi, teologi. E questa forma di arroganza intellettuale, io la ammiro» (Alessandro Baricco).
«Emanuele Coccia definisce una nuova relazione tra umanità e natura. Un'indagine affascinante e necessaria, che ci apre gli occhi sul mondo intorno a noi» (Peter Wohlleben).

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2022
ISBN
9788858439395
PARTE SECONDA

Bozzoli

Trasformazioni

L’ho sognato spesso. Chiudermi in un bozzolo, uno qualsiasi: una stanza del mio appartamento, una casa di campagna in un paese lontano, un sottomarino in fondo al mare. Tagliarmi fuori dal mondo e abbandonarmi al lavoro della materia. Sentire la mia anima incidersi e saldarsi in una nuova forma. Avvertire una forza che la cesella, che la modifica da parte a parte. Svegliarmi e non trovare in me nulla di ciò che credevo mi appartenesse. Svegliarmi e rendermi conto che persino il mondo che mi circonda è irrimediabilmente diverso per consistenza, intensità, luminosità.
L’ho sognato spesso. Avvolgermi nella seta e tagliarmi fuori dal mondo per giorni e giorni. Costruirmi un uovo tenero e candido, al cui interno lasciar lavorare il mio corpo. Attraversare un cambiamento cosí radicale che anche il mondo non sarà piú il medesimo. Non poter piú vedere allo stesso modo. Non poter piú sentire allo stesso modo. Non poter piú vivere allo stesso modo. Diventare irriconoscibile. Abitare un mondo divenuto a sua volta irriconoscibile.
L’ho sognato spesso. Avere la forza del bruco. Veder spuntare un paio di ali dal mio corpo di verme. Volare invece di strisciare. Posarmi sull’aria anziché sulla terra. Passare da un’esistenza all’altra senza dover morire e rinascere, e cosí facendo stravolgere il mondo senza toccarlo. La forma piú pericolosa di magia. La vita piú simile alla morte. La metamorfosi.
Mi sono chiesto a lungo il motivo per cui non era che un sogno, il motivo per cui non posso vivere questa esperienza allo stato di veglia. Il fatto è che il cambiamento mette a disagio.
Abbiamo innalzato a feticcio il movimento e la trasformazione. Eppure tutto contribuisce a rendere impossibili entrambi. Noi non aspiriamo ad altro che a muoverci, a cambiare posto nella società, a traslocare in un altro luogo di abitazione, a passare da uno stato all’altro. Ma tutti questi cambiamenti sono un’illusione: in realtà ci limitiamo a spostare la stessa vita in un nuovo ambiente, un gradevole trompe-l’oeil che nasconde le ragnatele sul vecchio arredamento, reale e intatto, della nostra anima. La globalizzazione ci aveva promesso una mobilità inaudita nella storia dell’umanità, ma si è rivelata una variazione su scala mondiale del gioco dell’oca. Gli spostamenti sono febbrili, ma tutti i partecipanti restano quel che erano. I ricchi restano ricchi; i poveri, all’arrivo, hanno le stesse opportunità che avevano alla partenza. Gli occidentali restano ovunque occidentali; in Occidente gli africani continuano a essere esclusi e penalizzati. Se questi movimenti riescono ad alterare la società o la geografia del mondo, è solo perché si tratta di due facce dello stesso cubo di Rubik: si limitano semplicemente a cambiare posizione, ma i colori e il loro numero restano invariati.
Professiamo un amore senza riserve per la trasformazione del mondo, per il suo progresso e il suo sviluppo, ma siamo terrorizzati da ogni reale cambiamento. Auspichiamo la sostituzione degli oggetti che ci circondano, ma segretamente speriamo che la nostra identità rimanga inalterata: abbiamo il terrore di perdere ciò a cui teniamo. Abbiamo trasformato il mondo fino al midollo, eppure questo cambiamento ci paralizza: ci rifiutiamo di accompagnarlo con una trasformazione di noi stessi.
Ogni volta la trasformazione è solo simulata. Ogni volta il movimento si inceppa. C’è qualcosa che ci trattiene, qualcosa che ci allontana dalla metamorfosi.
Siamo abituati a pensare la trasformazione e il cambiamento in base a due modelli: la conversione e la rivoluzione. La metamorfosi non è né l’una né l’altra.
Nella conversione, a cambiare è esclusivamente il soggetto: le sue opinioni, i suoi atteggiamenti, il suo modo di essere si trasformano, ma il mondo resta e deve restare identico. Solo un mondo che non è stato toccato dalla conversione può testimoniare l’avvenuto cambiamento del convertito. La conversione è spesso la conseguenza di un percorso interiore, fatto di una serie di prove e di rivelazioni, di lunghi esercizi di astinenza e di ascetismo. Tale cambiamento presuppone una padronanza assoluta e totale di sé.
La conversione è quanto vi è di piú lontano dalla metamorfosi.
La conversione seduce, mostra e testimonia l’onnipotenza del soggetto. Il convertito sarà costretto a dire a tutti i suoi amici ego non sum ego: «Non sono piú la persona che hai conosciuto»; sarà costretto a ripudiare tutti i ricordi, a rimuovere la propria vita o amputare una parte di sé; dovrà assumere un nuovo volto e una nuova identità, cambiare abito e abitudini, non ritrovare piú niente di quel passato immolato sull’altare della sua volontà di cambiamento. Il convertito potrà sempre convincersi che il cambiamento viene da lui e soltanto da lui. La nuova identità fittizia, interamente prodotta da questo io senza volto che in esso si nasconde, non è altro che la celebrazione quotidiana della potenza totalmente addomesticata in cui ci piace immedesimarci per proteggerci da tutto quel che succede nel mondo.
In una metamorfosi, la forza che ci attraversa e ci trasforma non è affatto un atto di volontà cosciente e personale, ma viene da altrove, è una forza piú antica del corpo che essa plasma, e opera in completa autonomia. E soprattutto non c’è nessun moto di repressione o di negazione di un passato o di un’identità. Un essere metamorfico, al contrario, è un essere che ha deposto qualsiasi pretesa di volersi riconoscere in un unico volto. La vita che attraversa il bruco e la farfalla non può ridursi né all’uno né all’altra. È una vita capace di abitare e accogliere diverse forme contemporaneamente e la sua forza sta precisamente in questo carattere anfibio.
Il secondo modello, quello della rivoluzione, è piú noto e diffuso. In questo caso è il mondo a cambiare; il soggetto, causa e garante del passaggio da un mondo all’altro, non può trasformarsi, essendo l’unico testimone della trasformazione in corso. La rivoluzione è la forma di cambiamento prediletta dalla tecnica e dalla politica moderne: entrambe sembrano rapportarsi al mondo esclusivamente sotto il segno della sua trasformazione radicale. La tecnica è il paradigma stesso del cambiamento che non può e non deve interessare il soggetto. Uno strumento tecnico non deve assolutamente modificarsi allorché trasforma l’oggetto coinvolto; viceversa, è proprio la sua estraneità al cambiamento a misurarne l’efficacia. Ragion per cui, piú che autentico processo di miglioramento dell’oggetto al quale si applica, ogni tecnica è sempre una pratica di esaltazione del soggetto che la mette in opera. Lo stesso vale a proposito di ogni politica che assume la rivoluzione come orizzonte e principale obiettivo, perché nel sogno di un mondo interamente costituito a partire da uno specifico atto di volontà c’è ben poco amore per la materia e per il mondo, ben poco interesse per il cambiamento e molto narcisismo nel tentativo di trasformare la realtà nel proprio specchio. In questo senso, ogni rivoluzione è molto piú affine alla conversione di quanto si potrebbe immaginare: in un caso come nell’altro, il soggetto contempla la propria potenza.
La rivoluzione è lontana dalla metamorfosi quanto la conversione. Da oltre due secoli abbiamo considerato la tecnica come la proiezione di un organo anatomico, e in un duplice senso. In primo luogo, l’oggetto tecnico sarebbe la riproduzione extracorporea della forma di uno degli organi del nostro organismo: il martello sarebbe l’imitazione dell’avambraccio e del pugno, gli occhiali del cristallino, il computer del sistema nervoso. In secondo luogo, ogni oggetto tecnico non farebbe che proiettare il soggetto e la sua volontà all’esterno del corpo: il mondo diventa dunque un’estensione dell’io. Esattamente il contrario di ciò che avviene nella metamorfosi. Il bozzolo non è uno strumento di proiezione del sé oltre i limiti del corpo anatomico. Al contrario, corrisponde alla costruzione di una soglia in cui ogni frontiera e ogni identità sono temporaneamente sospese. Il bozzolo è il chiasmo che fa del mondo il laboratorio di genesi dell’io e dell’io la materia piú preziosa del mondo, quella che lo trasforma incessantemente.

Insetti

Sono dappertutto. Sono numerosi. Sono capaci di differenziarsi tra loro come nessun’altra classe di viventi. Una schiacciante maggioranza (90 per cento) della biodiversità animale sarebbe dovuta al loro dandismo anatomico: si calcola che tra gli insetti vi siano tra i sei e i dieci milioni di specie. La loro immaginazione somatica non si limita, tuttavia, all’invenzione di nuove identità specifiche. Gli insetti hanno anche la capacità di plasmarsi corpi cosí diversi nel corso di una stessa vita individuale che per molto tempo si è pensato che si trattasse di esseri magici capaci di passare da una specie all’altra. Come se nella pluralità formale di una sola e medesima esistenza individuale riuscissero a condensare lo slancio verso la moltiplicazione delle forme che esiste tra le specie: la biodiversità planetaria per gli insetti è una questione di virtuosismo personale.
Trasformandosi in farfalla, il bruco produce nella sua vita, e a partire da sé stesso, una diversità morfologica pari a quella che esiste tra specie diverse. Nel modo di vita che gli è proprio, gli insetti riescono ad addomesticare la differenza a cui soltanto la molteplicità delle specie ci dà accesso. Del resto, proprio per definire il loro modo di vita, il naturalista Thomas Muffet, per primo traslò in biologia il termine metamorphosis introdotto nella lingua latina da Ovidio. La sua opera Insectorum sive minimorum animalium theatrum – composta nel 1590 ma pubblicata a Londra nel 1634 – ebbe profonde ripercussioni che si sono estese fino alla filosofia politica moderna, dal momento che la vita sociale degli insetti assurgeva a modello per pensare la vita comune degli uomini. Se ogni politica è la scienza della diversità, per capire come vivere insieme bisogna rivolgersi ai maestri della diversificazione.
Gli insetti sono maestri della metamorfosi, ma non è sempre stato cosí. Non sono «nati» con questo talento, ma hanno saputo fabbricarselo nel corso di millenni, il che rende ancora piú incredibile la loro prodezza. I primi insetti erano privi di ali e non conoscevano nessuna trasformazione formale. Nella loro abilità non c’è quindi nulla di naturale, di originale e di spontaneo.
È tutta colpa della pelle. Immaginate di avere, al posto di una pelle morbida e vellutata, qualcosa di simile alla scocca di un’automobile o all’armatura di acciaio di Goldrake o Mazinga Zeta; immaginate di fare affidamento sulla vostra pelle come fosse uno scheletro; immaginate che sia la vostra pelle a proteggervi, a darvi una forma e una struttura. Cambiare pelle significherebbe letteralmente cambiare forma: con un corpo del genere ogni crescita è una metamorfosi. Cade cosí l’illusione che ci permette di pensare che la nostra vita si accontenti di un’unica forma e che i cambiamenti interessino solo le dimensioni di questa forma.
Dal punto di vista dell’insetto, tutto è forma e ogni cambiamento di dimensioni è produzione di una nuova forma. Non ci sono distinzioni tra fenomeni quantitativi e fenomeni qualitativi: ogni crescita è metamorfosi. La loro struttura anatomica rende visibile ciò che nel corpo degli altri esseri viventi resta a mala pena percettibile: la forma non è quella che ci viene data una volta per tutte alla nascita, ma quella che continuiamo a costruire e a disfare in ogni istante della nostra esistenza. E se la nascita è il processo di costituzione della forma, nella metamorfosi non si tratta piú di un evento puntuale, ma di una forma trascendentale della vita in quanto tale.
Per questo, a partire dal secolo XVI, gli insetti diventano il banco di prova per comprendere la natura del vivente e la sua relazione con il cambiamento morfologico. Da una parte, la metamorfosi degli insetti assurge a paradigma per pensare la piú radicale delle trasformazioni. Jan Goedaert vede infatti nella metamorfosi il simbolo o l’allegoria della resurrezione dei morti: una volta abbandonata l’esistenza terrestre, gli insetti sviluppano delle ali e volano in cielo. Come i resuscitati, prima di arrivare a questa «vita nuova e piú felice», devono restare e riposare per un certo tempo «come i morti, senza muoversi, senza mangiare, finché non assumono una nuova forma di vita» e un nuovo corpo.
La metamorfosi, però, è anche allegoria di purificazione: come gli insetti depongono il loro vecchio corpo e assumono un nuovo modo di vita, cosí gli uomini devono deporre il loro vecchio modo di vita per adottarne un altro.
Il paragone, estremamente radicale, si lascia facilmente invertire: la metamorfosi sarebbe una resurrezione intramondana che avviene ogni volta che il nostro corpo cambia forma. Per questa ragione Voltaire si riferiva alle «metamorfosi che abbondano sulla terra» come a una raffigurazione della metempsicosi e della reincarnazione: «le nostre anime passano da un corpo all’altro; un puntino quasi impercettibile diventa un verme e questo verme diventa farfalla; una ghianda si trasforma in quercia, un uovo in uccello, l’acqua diventa nube e tuono; il legno si muta in fuoco e cenere; insomma, tutto in natura sembra subire una metamorfosi». Nell’entomologia contemporanea, questa resurrezione o reincarnazione che avviene in una sola e medesima vita assumerà una piega completamente diversa. Nel 1958, per esempio, il celebre entomologo Carroll M. Williams descriveva la vita degli insetti come la giustapposizione di due forme opposte «da vivere come due vite successive»: un primo organismo dedicato alla «nutrizione e all’avvenire dell’individuo» che consiste in «enormi canali digerenti trasportati su zampe di bruco», e un secondo organismo volto «all’avvenire della specie» che consiste in «una macchina volante dedita al sesso». La metamorfosi sarebbe il meccanismo che permette a questi due corpi incompatibili di appartenere allo stesso individuo.
Altri, invece, cercarono di considerare la metamorfosi degli insetti come la piú banale delle trasformazioni. Allo scopo di trovare una continuità e un’unità di tutte le forme di trasformazione, Jan Swammerdam si sforzerà di dimostrare che tale «cambiamento non è piú straordinario di quello delle piante e dei fiori»: «l’animale è racchiuso nella crisalide come un fiore nel bocciolo». «Questo cambiamento – continua Swammerdam – che chiamiamo a sproposito ora una trasformazione ora una morte e una resurrezione non ha in sé niente di piú nascosto o sorprendente delle erbe piú infime e umili che crescono nei nostri campi, benché le disprezziamo al punto da calpestarle». Contro ogni posizione che vorrebbe segnare una forte discontinuità formale tra le differenti sembianze che l’insetto assume, Swammerdam ribadisce che tutte le forme successive sono «nascoste nel verme, o meglio, custodite sotto la sua pelle, allo stesso modo di un tenero fiore che prima di spuntare è racchiuso nella gemma, perché in effetti le zampe della ninfa crescono a poco a poco sotto la pelle che le ricopre, fino a estendersi al punto che la pelle è costretta a squarciarsi per lasciarle uscire; cosí un fiore, crescendo, lacera la gemma che lo racchiudeva; la vera essenza della ninfa consiste esattamente in questo stato in cui si trova l’animale quando le zampe che prima erano nascoste cominciano a spuntare». La metamorfosi sarebbe semplicemente un moto di rivelazione, di fioritura parossistica del vivente, alla stregua dello sbocciare di un fiore. Ma, come vedremo, in questo paragone si cela un modo ancora piú radicale di pensare la molteplicità delle forme all’interno del vivente.
In entrambi i casi, interessarsi agli insetti significa descrivere le diverse strategie volte a comprendere in una sola e unica vita le forme piú disparate. A quanto pare la vita degli insetti non si accontenta di esprimersi in una sola forma: piú che una forma di vita, l’insetto è la vita delle forme. La stessa cosa si potrebbe dire dei mondi. Che si tratti di una molteplicità di ère, di situazioni o di vere e proprie forme anatomiche, ogni insetto è una sfilata di mondi. La metamorfosi permette a una vita di collegare piú mondi incompatibili: l’io non è il riflesso o lo specchio di ciò che lo circonda, ma la sintesi di differenti universi. Allo stesso modo, la biologia contemporanea spiega spesso la coesistenza di due forme anatomicamente e fisiologicamente cosí distanti come la larva e l’adulto sulla base del vantaggio ecologico: adulto e bambino non vivono nello stesso mondo, non si incontrano, non entrano in competizione. Incarnano una vita che non si può ridurre a un mondo specifico, a un’ecologia, a un paesaggio. Il vivente compone sempre mondi incompatibili e distanti, migra da un paesaggio all’altro, è sempre l’elemento che si pone al di fuori dell’ecologia.

Ogni essere vivente è una chimera

La vita degli insetti è un polittico: è impossibile rappresentarla in un ritratto unico. Per comprenderla tutta occorre accostare piú pannelli. È per questo che il mezzo visivo o pittorico si presta meglio di una categorizzazione puramente verbale per definire con maggiore esattezza la fenomenologia della vita degli insetti. La classificazione canonica della molteplicità di queste forme (nonché il nome) è stata fornita nel secolo XVIII da Linneo, nel suo Systema Naturae. Linneo distingue una triplice forma oltre a quella dell’uovo: la larva, la pupa (sinonimo di ninfa e crisalide) e l’imago.
Le tre fasi definiscono già una forma di teologia: l’aspetto reale dell’insetto si rivelerà solo nell’ultima fase. La moderna entomologia distinguerà tre casi. Si parla di ametabolia quando il cambiamento sembra riguardare esclusivamente le dimensioni, come nel caso degli Archeognati e gli Zigentomi; si parla di emimetabolia, o metamorfosi incompleta, quando – come succede agli Ortotteri, agli Isotteri e agli Emitteri – le larve assomigliano moltissimo agli adulti, nonostante la dimensione differente: non hanno né ali né parti genitali, ma possiedono certe caratteristiche che la forma adulta non manifesta; si parla infine di olometabolia, o metamorfosi completa, quando, come avviene, tra gli altri, nel caso dei Coleotteri o dei Lepidotteri (le farfalle), le larve sono somaticamente molto diverse dall’adulto ed è presente uno stadio intermedio (quello della pupa).
Tuttavia non è facile orientarsi in questo catalogo di fasi, di diversi instar e di momenti di giunzione tra una forma e l’altra. Non a caso, il progresso della conoscenza intorno alla metamorfosi è passato soprattutto attraverso la ricerca visiva di una delle piú grandi illustratrici europee, Maria Sibylla Merian. Nata a Francoforte nel 1647, figlia del famoso incisore ed editore Matthäus Merian, Maria Sibylla si interessa sin dall’infanzia all’osservazione della vita degli insetti e, a trentun anni, pubblica la sua prima opera dedicata a questi animali: Der Raupen wunderbare Verwandelung und sonderbare Blumen-nahrung (La metamorfosi meravigliosa dei bruchi e il loro curioso nutrimento floreale). In seguito racconterà che l’osservazione degli insetti la affascinava sin dalla piú tenera età: «Ho cominciato dal baco da seta, che ho scoperto nella mia città natale di Francoforte sul Meno. Poi, la scoperta che bellissime farfalle, sia diurne sia notturne, sono prodotte dai bruchi, mi ha spinto a raccogliere tutti i bruchi che riuscivo a trovare e a osservare la loro metamorfosi». Non a caso, la prima tavola del suo libro rappresenta un baco da seta.
Ventun anni dopo nel giugno 1699, accompagnata dalla figlia piú piccola, Maria Sibylla parte per un viaggio di due mesi in Suriname. In realtà si tratterrà per ventuno mesi a studiare la flora e la fauna locale. I risultati di queste ricerche si materializzeranno nel suo capolavoro, Metamorphosis insectorum Surinamensium. Nelle tavole dei due volumi si produce una rivoluzione grafica e concettuale. Per rappresentare la metamorfosi, la pittrice disegna una specie di album di...

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