Lâho sognato spesso. Chiudermi in un bozzolo, uno qualsiasi: una stanza del mio appartamento, una casa di campagna in un paese lontano, un sottomarino in fondo al mare. Tagliarmi fuori dal mondo e abbandonarmi al lavoro della materia. Sentire la mia anima incidersi e saldarsi in una nuova forma. Avvertire una forza che la cesella, che la modifica da parte a parte. Svegliarmi e non trovare in me nulla di ciĂČ che credevo mi appartenesse. Svegliarmi e rendermi conto che persino il mondo che mi circonda Ăš irrimediabilmente diverso per consistenza, intensitĂ , luminositĂ .
Lâho sognato spesso. Avvolgermi nella seta e tagliarmi fuori dal mondo per giorni e giorni. Costruirmi un uovo tenero e candido, al cui interno lasciar lavorare il mio corpo. Attraversare un cambiamento cosĂ radicale che anche il mondo non sarĂ piĂș il medesimo. Non poter piĂș vedere allo stesso modo. Non poter piĂș sentire allo stesso modo. Non poter piĂș vivere allo stesso modo. Diventare irriconoscibile. Abitare un mondo divenuto a sua volta irriconoscibile.
Lâho sognato spesso. Avere la forza del bruco. Veder spuntare un paio di ali dal mio corpo di verme. Volare invece di strisciare. Posarmi sullâaria anzichĂ© sulla terra. Passare da unâesistenza allâaltra senza dover morire e rinascere, e cosĂ facendo stravolgere il mondo senza toccarlo. La forma piĂș pericolosa di magia. La vita piĂș simile alla morte. La metamorfosi.
Mi sono chiesto a lungo il motivo per cui non era che un sogno, il motivo per cui non posso vivere questa esperienza allo stato di veglia. Il fatto Ăš che il cambiamento mette a disagio.
Abbiamo innalzato a feticcio il movimento e la trasformazione. Eppure tutto contribuisce a rendere impossibili entrambi. Noi non aspiriamo ad altro che a muoverci, a cambiare posto nella societĂ , a traslocare in un altro luogo di abitazione, a passare da uno stato allâaltro. Ma tutti questi cambiamenti sono unâillusione: in realtĂ ci limitiamo a spostare la stessa vita in un nuovo ambiente, un gradevole trompe-lâoeil che nasconde le ragnatele sul vecchio arredamento, reale e intatto, della nostra anima. La globalizzazione ci aveva promesso una mobilitĂ inaudita nella storia dellâumanitĂ , ma si Ăš rivelata una variazione su scala mondiale del gioco dellâoca. Gli spostamenti sono febbrili, ma tutti i partecipanti restano quel che erano. I ricchi restano ricchi; i poveri, allâarrivo, hanno le stesse opportunitĂ che avevano alla partenza. Gli occidentali restano ovunque occidentali; in Occidente gli africani continuano a essere esclusi e penalizzati. Se questi movimenti riescono ad alterare la societĂ o la geografia del mondo, Ăš solo perchĂ© si tratta di due facce dello stesso cubo di Rubik: si limitano semplicemente a cambiare posizione, ma i colori e il loro numero restano invariati.
Professiamo un amore senza riserve per la trasformazione del mondo, per il suo progresso e il suo sviluppo, ma siamo terrorizzati da ogni reale cambiamento. Auspichiamo la sostituzione degli oggetti che ci circondano, ma segretamente speriamo che la nostra identitĂ rimanga inalterata: abbiamo il terrore di perdere ciĂČ a cui teniamo. Abbiamo trasformato il mondo fino al midollo, eppure questo cambiamento ci paralizza: ci rifiutiamo di accompagnarlo con una trasformazione di noi stessi.
Ogni volta la trasformazione Ăš solo simulata. Ogni volta il movimento si inceppa. CâĂš qualcosa che ci trattiene, qualcosa che ci allontana dalla metamorfosi.
Siamo abituati a pensare la trasformazione e il cambiamento in base a due modelli: la conversione e la rivoluzione. La metamorfosi non Ăš nĂ© lâuna nĂ© lâaltra.
Nella conversione, a cambiare Ăš esclusivamente il soggetto: le sue opinioni, i suoi atteggiamenti, il suo modo di essere si trasformano, ma il mondo resta e deve restare identico. Solo un mondo che non Ăš stato toccato dalla conversione puĂČ testimoniare lâavvenuto cambiamento del convertito. La conversione Ăš spesso la conseguenza di un percorso interiore, fatto di una serie di prove e di rivelazioni, di lunghi esercizi di astinenza e di ascetismo. Tale cambiamento presuppone una padronanza assoluta e totale di sĂ©.
La conversione Ăš quanto vi Ăš di piĂș lontano dalla metamorfosi.
La conversione seduce, mostra e testimonia lâonnipotenza del soggetto. Il convertito sarĂ costretto a dire a tutti i suoi amici ego non sum ego: «Non sono piĂș la persona che hai conosciuto»; sarĂ costretto a ripudiare tutti i ricordi, a rimuovere la propria vita o amputare una parte di sĂ©; dovrĂ assumere un nuovo volto e una nuova identitĂ , cambiare abito e abitudini, non ritrovare piĂș niente di quel passato immolato sullâaltare della sua volontĂ di cambiamento. Il convertito potrĂ sempre convincersi che il cambiamento viene da lui e soltanto da lui. La nuova identitĂ fittizia, interamente prodotta da questo io senza volto che in esso si nasconde, non Ăš altro che la celebrazione quotidiana della potenza totalmente addomesticata in cui ci piace immedesimarci per proteggerci da tutto quel che succede nel mondo.
In una metamorfosi, la forza che ci attraversa e ci trasforma non Ăš affatto un atto di volontĂ cosciente e personale, ma viene da altrove, Ăš una forza piĂș antica del corpo che essa plasma, e opera in completa autonomia. E soprattutto non câĂš nessun moto di repressione o di negazione di un passato o di unâidentitĂ . Un essere metamorfico, al contrario, Ăš un essere che ha deposto qualsiasi pretesa di volersi riconoscere in un unico volto. La vita che attraversa il bruco e la farfalla non puĂČ ridursi nĂ© allâuno nĂ© allâaltra. Ă una vita capace di abitare e accogliere diverse forme contemporaneamente e la sua forza sta precisamente in questo carattere anfibio.
Il secondo modello, quello della rivoluzione, Ăš piĂș noto e diffuso. In questo caso Ăš il mondo a cambiare; il soggetto, causa e garante del passaggio da un mondo allâaltro, non puĂČ trasformarsi, essendo lâunico testimone della trasformazione in corso. La rivoluzione Ăš la forma di cambiamento prediletta dalla tecnica e dalla politica moderne: entrambe sembrano rapportarsi al mondo esclusivamente sotto il segno della sua trasformazione radicale. La tecnica Ăš il paradigma stesso del cambiamento che non puĂČ e non deve interessare il soggetto. Uno strumento tecnico non deve assolutamente modificarsi allorchĂ© trasforma lâoggetto coinvolto; viceversa, Ăš proprio la sua estraneitĂ al cambiamento a misurarne lâefficacia. Ragion per cui, piĂș che autentico processo di miglioramento dellâoggetto al quale si applica, ogni tecnica Ăš sempre una pratica di esaltazione del soggetto che la mette in opera. Lo stesso vale a proposito di ogni politica che assume la rivoluzione come orizzonte e principale obiettivo, perchĂ© nel sogno di un mondo interamente costituito a partire da uno specifico atto di volontĂ câĂš ben poco amore per la materia e per il mondo, ben poco interesse per il cambiamento e molto narcisismo nel tentativo di trasformare la realtĂ nel proprio specchio. In questo senso, ogni rivoluzione Ăš molto piĂș affine alla conversione di quanto si potrebbe immaginare: in un caso come nellâaltro, il soggetto contempla la propria potenza.
La rivoluzione Ăš lontana dalla metamorfosi quanto la conversione. Da oltre due secoli abbiamo considerato la tecnica come la proiezione di un organo anatomico, e in un duplice senso. In primo luogo, lâoggetto tecnico sarebbe la riproduzione extracorporea della forma di uno degli organi del nostro organismo: il martello sarebbe lâimitazione dellâavambraccio e del pugno, gli occhiali del cristallino, il computer del sistema nervoso. In secondo luogo, ogni oggetto tecnico non farebbe che proiettare il soggetto e la sua volontĂ allâesterno del corpo: il mondo diventa dunque unâestensione dellâio. Esattamente il contrario di ciĂČ che avviene nella metamorfosi. Il bozzolo non Ăš uno strumento di proiezione del sĂ© oltre i limiti del corpo anatomico. Al contrario, corrisponde alla costruzione di una soglia in cui ogni frontiera e ogni identitĂ sono temporaneamente sospese. Il bozzolo Ăš il chiasmo che fa del mondo il laboratorio di genesi dellâio e dellâio la materia piĂș preziosa del mondo, quella che lo trasforma incessantemente.
Sono dappertutto. Sono numerosi. Sono capaci di differenziarsi tra loro come nessunâaltra classe di viventi. Una schiacciante maggioranza (90 per cento) della biodiversitĂ animale sarebbe dovuta al loro dandismo anatomico: si calcola che tra gli insetti vi siano tra i sei e i dieci milioni di specie. La loro immaginazione somatica non si limita, tuttavia, allâinvenzione di nuove identitĂ specifiche. Gli insetti hanno anche la capacitĂ di plasmarsi corpi cosĂ diversi nel corso di una stessa vita individuale che per molto tempo si Ăš pensato che si trattasse di esseri magici capaci di passare da una specie allâaltra. Come se nella pluralitĂ formale di una sola e medesima esistenza individuale riuscissero a condensare lo slancio verso la moltiplicazione delle forme che esiste tra le specie: la biodiversitĂ planetaria per gli insetti Ăš una questione di virtuosismo personale.
Trasformandosi in farfalla, il bruco produce nella sua vita, e a partire da sĂ© stesso, una diversitĂ morfologica pari a quella che esiste tra specie diverse. Nel modo di vita che gli Ăš proprio, gli insetti riescono ad addomesticare la differenza a cui soltanto la molteplicitĂ delle specie ci dĂ accesso. Del resto, proprio per definire il loro modo di vita, il naturalista Thomas Muffet, per primo traslĂČ in biologia il termine metamorphosis introdotto nella lingua latina da Ovidio. La sua opera Insectorum sive minimorum animalium theatrum â composta nel 1590 ma pubblicata a Londra nel 1634 â ebbe profonde ripercussioni che si sono estese fino alla filosofia politica moderna, dal momento che la vita sociale degli insetti assurgeva a modello per pensare la vita comune degli uomini. Se ogni politica Ăš la scienza della diversitĂ , per capire come vivere insieme bisogna rivolgersi ai maestri della diversificazione.
Gli insetti sono maestri della metamorfosi, ma non Ăš sempre stato cosĂ. Non sono «nati» con questo talento, ma hanno saputo fabbricarselo nel corso di millenni, il che rende ancora piĂș incredibile la loro prodezza. I primi insetti erano privi di ali e non conoscevano nessuna trasformazione formale. Nella loro abilitĂ non câĂš quindi nulla di naturale, di originale e di spontaneo.
Ă tutta colpa della pelle. Immaginate di avere, al posto di una pelle morbida e vellutata, qualcosa di simile alla scocca di unâautomobile o allâarmatura di acciaio di Goldrake o Mazinga Zeta; immaginate di fare affidamento sulla vostra pelle come fosse uno scheletro; immaginate che sia la vostra pelle a proteggervi, a darvi una forma e una struttura. Cambiare pelle significherebbe letteralmente cambiare forma: con un corpo del genere ogni crescita Ăš una metamorfosi. Cade cosĂ lâillusione che ci permette di pensare che la nostra vita si accontenti di unâunica forma e che i cambiamenti interessino solo le dimensioni di questa forma.
Dal punto di vista dellâinsetto, tutto Ăš forma e ogni cambiamento di dimensioni Ăš produzione di una nuova forma. Non ci sono distinzioni tra fenomeni quantitativi e fenomeni qualitativi: ogni crescita Ăš metamorfosi. La loro struttura anatomica rende visibile ciĂČ che nel corpo degli altri esseri viventi resta a mala pena percettibile: la forma non Ăš quella che ci viene data una volta per tutte alla nascita, ma quella che continuiamo a costruire e a disfare in ogni istante della nostra esistenza. E se la nascita Ăš il processo di costituzione della forma, nella metamorfosi non si tratta piĂș di un evento puntuale, ma di una forma trascendentale della vita in quanto tale.
Per questo, a partire dal secolo XVI, gli insetti diventano il banco di prova per comprendere la natura del vivente e la sua relazione con il cambiamento morfologico. Da una parte, la metamorfosi degli insetti assurge a paradigma per pensare la piĂș radicale delle trasformazioni. Jan Goedaert vede infatti nella metamorfosi il simbolo o lâallegoria della resurrezione dei morti: una volta abbandonata lâesistenza terrestre, gli insetti sviluppano delle ali e volano in cielo. Come i resuscitati, prima di arrivare a questa «vita nuova e piĂș felice», devono restare e riposare per un certo tempo «come i morti, senza muoversi, senza mangiare, finchĂ© non assumono una nuova forma di vita» e un nuovo corpo.
La metamorfosi, perĂČ, Ăš anche allegoria di purificazione: come gli insetti depongono il loro vecchio corpo e assumono un nuovo modo di vita, cosĂ gli uomini devono deporre il loro vecchio modo di vita per adottarne un altro.
Il paragone, estremamente radicale, si lascia facilmente invertire: la metamorfosi sarebbe una resurrezione intramondana che avviene ogni volta che il nostro corpo cambia forma. Per questa ragione Voltaire si riferiva alle «metamorfosi che abbondano sulla terra» come a una raffigurazione della metempsicosi e della reincarnazione: «le nostre anime passano da un corpo allâaltro; un puntino quasi impercettibile diventa un verme e questo verme diventa farfalla; una ghianda si trasforma in quercia, un uovo in uccello, lâacqua diventa nube e tuono; il legno si muta in fuoco e cenere; insomma, tutto in natura sembra subire una metamorfosi». Nellâentomologia contemporanea, questa resurrezione o reincarnazione che avviene in una sola e medesima vita assumerĂ una piega completamente diversa. Nel 1958, per esempio, il celebre entomologo Carroll M. Williams descriveva la vita degli insetti come la giustapposizione di due forme opposte «da vivere come due vite successive»: un primo organismo dedicato alla «nutrizione e allâavvenire dellâindividuo» che consiste in «enormi canali digerenti trasportati su zampe di bruco», e un secondo organismo volto «allâavvenire della specie» che consiste in «una macchina volante dedita al sesso». La metamorfosi sarebbe il meccanismo che permette a questi due corpi incompatibili di appartenere allo stesso individuo.
Altri, invece, cercarono di considerare la metamorfosi degli insetti come la piĂș banale delle trasformazioni. Allo scopo di trovare una continuitĂ e unâunitĂ di tutte le forme di trasformazione, Jan Swammerdam si sforzerĂ di dimostrare che tale «cambiamento non Ăš piĂș straordinario di quello delle piante e dei fiori»: «lâanimale Ăš racchiuso nella crisalide come un fiore nel bocciolo». «Questo cambiamento â continua Swammerdam â che chiamiamo a sproposito ora una trasformazione ora una morte e una resurrezione non ha in sĂ© niente di piĂș nascosto o sorprendente delle erbe piĂș infime e umili che crescono nei nostri campi, benchĂ© le disprezziamo al punto da calpestarle». Contro ogni posizione che vorrebbe segnare una forte discontinuitĂ formale tra le differenti sembianze che lâinsetto assume, Swammerdam ribadisce che tutte le forme successive sono «nascoste nel verme, o meglio, custodite sotto la sua pelle, allo stesso modo di un tenero fiore che prima di spuntare Ăš racchiuso nella gemma, perchĂ© in effetti le zampe della ninfa crescono a poco a poco sotto la pelle che le ricopre, fino a estendersi al punto che la pelle Ăš costretta a squarciarsi per lasciarle uscire; cosĂ un fiore, crescendo, lacera la gemma che lo racchiudeva; la vera essenza della ninfa consiste esattamente in questo stato in cui si trova lâanimale quando le zampe che prima erano nascoste cominciano a spuntare». La metamorfosi sarebbe semplicemente un moto di rivelazione, di fioritura parossistica del vivente, alla stregua dello sbocciare di un fiore. Ma, come vedremo, in questo paragone si cela un modo ancora piĂș radicale di pensare la molteplicitĂ delle forme allâinterno del vivente.
In entrambi i casi, interessarsi agli insetti significa descrivere le diverse strategie volte a comprendere in una sola e unica vita le forme piĂș disparate. A quanto pare la vita degli insetti non si accontenta di esprimersi in una sola forma: piĂș che una forma di vita, lâinsetto Ăš la vita delle forme. La stessa cosa si potrebbe dire dei mondi. Che si tratti di una molteplicitĂ di Ăšre, di situazioni o di vere e proprie forme anatomiche, ogni insetto Ăš una sfilata di mondi. La metamorfosi permette a una vita di collegare piĂș mondi incompatibili: lâio non Ăš il riflesso o lo specchio di ciĂČ che lo circonda, ma la sintesi di differenti universi. Allo stesso modo, la biologia contemporanea spiega spesso la coesistenza di due forme anatomicamente e fisiologicamente cosĂ distanti come la larva e lâadulto sulla base del vantaggio ecologico: adulto e bambino non vivono nello stesso mondo, non si incontrano, non entrano in competizione. Incarnano una vita che non si puĂČ ridurre a un mondo specifico, a unâecologia, a un paesaggio. Il vivente compone sempre mondi incompatibili e distanti, migra da un paesaggio allâaltro, Ăš sempre lâelemento che si pone al di fuori dellâecologia.
La vita degli insetti Ăš un polittico: Ăš impossibile rappresentarla in un ritratto unico. Per comprenderla tutta occorre accostare piĂș pannelli. Ă per questo che il mezzo visivo o pittorico si presta meglio di una categorizzazione puramente verbale per definire con maggiore esattezza la fenomenologia della vita degli insetti. La classificazione canonica della molteplicitĂ di queste forme (nonchĂ© il nome) Ăš stata fornita nel secolo XVIII da Linneo, nel suo Systema Naturae. Linneo distingue una triplice forma oltre a quella dellâuovo: la larva, la pupa (sinonimo di ninfa e crisalide) e lâimago.
Le tre fasi definiscono giĂ una forma di teologia: lâaspetto reale dellâinsetto si rivelerĂ solo nellâultima fase. La moderna entomologia distinguerĂ tre casi. Si parla di ametabolia quando il cambiamento sembra riguardare esclusivamente le dimensioni, come nel caso degli Archeognati e gli Zigentomi; si parla di emimetabolia, o metamorfosi incompleta, quando â come succede agli Ortotteri, agli Isotteri e agli Emitteri â le larve assomigliano moltissimo agli adulti, nonostante la dimensione differente: non hanno nĂ© ali nĂ© parti genitali, ma possiedono certe caratteristiche che la forma adulta non manifesta; si parla infine di olometabolia, o metamorfosi completa, quando, come avviene, tra gli altri, nel caso dei Coleotteri o dei Lepidotteri (le farfalle), le larve sono somaticamente molto diverse dallâadulto ed Ăš presente uno stadio intermedio (quello della pupa).
Tuttavia non Ăš facile orientarsi in questo catalogo di fasi, di diversi instar e di momenti di giunzione tra una forma e lâaltra. Non a caso, il progresso della conoscenza intorno alla metamorfosi Ăš passato soprattutto attraverso la ricerca visiva di una delle piĂș grandi illustratrici europee, Maria Sibylla Merian. Nata a Francoforte nel 1647, figlia del famoso incisore ed editore MatthĂ€us Merian, Maria Sibylla si interessa sin dallâinfanzia allâosservazione della vita degli insetti e, a trentun anni, pubblica la sua prima opera dedicata a questi animali: Der Raupen wunderbare Verwandelung und sonderbare Blumen-nahrung (La metamorfosi meravigliosa dei bruchi e il loro curioso nutrimento floreale). In seguito racconterĂ che lâosservazione degli insetti la affascinava sin dalla piĂș tenera etĂ : «Ho cominciato dal baco da seta, che ho scoperto nella mia cittĂ natale di Francoforte sul Meno. Poi, la scoperta che bellissime farfalle, sia diurne sia notturne, sono prodotte dai bruchi, mi ha spinto a raccogliere tutti i bruchi che riuscivo a trovare e a osservare la loro metamorfosi». Non a caso, la prima tavola del suo libro rappresenta un baco da seta.
Ventun anni dopo nel giugno 1699, accompagnata dalla figlia piĂș piccola, Maria Sibylla parte per un viaggio di due mesi in Suriname. In realtĂ si tratterrĂ per ventuno mesi a studiare la flora e la fauna locale. I risultati di queste ricerche si materializzeranno nel suo capolavoro, Metamorphosis insectorum Surinamensium. Nelle tavole dei due volumi si produce una rivoluzione grafica e concettuale. Per rappresentare la metamorfosi, la pittrice disegna una specie di album di...