Le leggi naturali del bambino
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Le leggi naturali del bambino

La nuova rivoluzione dell'educazione

Céline Alvarez, Marianna Basile, Chiara Lusetti

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Le leggi naturali del bambino

La nuova rivoluzione dell'educazione

Céline Alvarez, Marianna Basile, Chiara Lusetti

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I bambini nascono programmati per apprendere e per amare, e ogni giorno la psicologia cognitiva e le neuroscienze ci rivelano il loro potenziale straordinario. Tuttavia, il sistema educativo tradizionale sembra ignorare tanto i meccanismi naturali dell'apprendimento umano quanto i principi fondamentali dello sviluppo. E la scuola, anziché essere un luogo di gioia e di emancipazione, spesso si rivela un ambiente inadeguato, se non addirittura un ostacolo al nutrimento dell'intelligenza dei bambini. Non a caso i dati e le statistiche internazionali registrano tutti in maniera inequivocabile gli alti tassi di insuccesso e di abbandono scolastici, nonché le gravi lacune nelle competenze di base che compromettono seriamente il proseguimento di una scolarità normale. Per non parlare poi dell'incapacità della scuola di garantire il successo dei meno privilegiati, di valorizzare la diversità, di promuovere l'altruismo.

Seguendo le «leggi naturali del bambino» è possibile però rivoluzionare l'educazione. Lo dimostrano i risultati ottenuti da Céline Alvarez nel corso di una sperimentazione condotta in una scuola dell'infanzia di Gennevilliers, un comune a nord di Parigi, in un quartiere periferico e «problematico». Dando piena attuazione ai principi pedagogici di Jean Itard, Édouard Séguin e in particolare di Maria Montessori, Alvarez è riuscita laddove il sistema tradizionale di solito fallisce: ha creato un ambiente confortevole, accogliente e ricco di stimoli; ha concesso ai bambini tempo, fiducia, libertà e attività coinvolgenti; soprattutto, ha dato loro la possibilità di imparare a interessarsi agli altri, ad ascoltare, a creare solidi legami sociali. In breve, ha messo i suoi alunni in «contatto col mondo» e con se stessi. E inevitabilmente le straordinarie performance in tutte le discipline, dalla scrittura alla matematica alla lettura, non hanno tardato ad arrivare, in modo spontaneo.

Le leggi naturali del bambino dimostra quindi che nella scuola, al di là delle innumerevoli riforme o della presunta panacea dell'innovazione tecnologica, un altro mondo è possibile. E infatti sono oltre un migliaio in Francia gli insegnanti che già si ispirano a Céline Alvarez, e sono quasi due milioni coloro che seguono il suo blog (www.celinealvarez.com), nel quale si possono trovare le testimonianze, i video e tutti i materiali relativi alle attività didattiche sperimentate con successo a Gennevilliers.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2017
ISBN
9788852082429
Parte seconda

L’AIUTO DIDATTICO

IV

Affinare le percezioni sensoriali

Il materiale sensoriale che ho scelto possiede l’enorme vantaggio di isolare, per ogni attività, una sola qualità da esplorare.
Prendiamo, per esempio, il materiale che permette di studiare e di distinguere la differenza di lunghezza: le aste rosse. Si tratta di dieci aste di legno di diversa lunghezza: la più corta misura dieci centimetri, la più lunga un metro. Tutte le aste sono dipinte di un solo colore, il rosso, e hanno tutte la stessa consistenza. L’unico parametro variabile è la lunghezza. L’attenzione del bambino è dunque attirata dalla diversità di lunghezza e si concentra su quest’ultima, non viene cioè distratta da nessun’altra variabile sensoriale.
Allo stesso modo, il materiale dedicato all’apprendimento dei colori attira l’attenzione del bambino unicamente sulla loro variazione: le tavolette colorate non presentano alcuna differenza di forma o di consistenza, varia solo il colore. Gli otto campanelli che formano la scala del do (e che emettono ciascuno una nota: do, re, mi, fa, sol, la, si, do) sono stati concepiti secondo lo stesso principio: tutti i campanelli in apparenza sono simili, varia solo il loro suono.
Una sola e unica qualità alla volta viene dunque messa in evidenza nella maggior parte di queste attività dedicate allo sviluppo sensoriale. Questa chiarezza cognitiva è fondamentale poiché oggi sappiamo che il cervello non può trattare due informazioni nello stesso momento. Se arrivano più informazioni, il cervello ne prende in considerazione una alla volta e il trattamento dei dati viene rallentato, se non addirittura compromesso. Questa chiarezza cognitiva del materiale, che evita distrazioni e doppio compito, è una delle condizioni che permettono un’esperienza ottimale di apprendimento.1 È dunque essenziale che sia essa a guidare le nostre scelte riguardo ai materiali e alle attività.
Le aste rosse focalizzano l’attenzione del bambino sulla diversità di lunghezza.
Le aste rosse focalizzano l’attenzione del bambino sulla diversità di lunghezza.
Un bambino di tre anni mette in scala le aste, dalla più lunga alla più corta. Il bambino esercita la sua capacità di riconoscere le dimensioni senza distrazioni né doppio compito.
Un bambino di tre anni mette in scala le aste, dalla più lunga alla più corta. Il bambino esercita la sua capacità di riconoscere le dimensioni senza distrazioni né doppio compito.

Appaiamenti e gradazioni

Allo scopo di precisare le loro capacità percettive, cioè allo scopo di vedere meglio, annusare meglio, ascoltare meglio e toccare meglio, i bambini erano invitati a esercitare i loro sensi in due modi:
1. Potevano realizzare gradazioni, come nel caso delle aste rosse. Con il materiale dedicato ai colori i bambini sceglievano un colore (per esempio il blu) e ne classificavano le diverse sfumature, dalla più scura alla più chiara. Le gradazioni permettevano ai bambini di perfezionare con molta accuratezza il loro senso visivo e di vedere meglio il mondo esterno.
2. Quando il materiale lo consentiva, il bambino era invitato a realizzare, prima ancora dell’esercizio delle gradazioni, gli appaiamenti: riunire due a due gli elementi che possiedono la stessa qualità. Questo esercizio è un primo modo per il bambino di precisare e affinare le proprie capacità percettive prima di mettere gli oggetti in scala, cosa che richiede una più sottile capacità di distinzione. L’appaiamento è possibile, per esempio, con le tavolette dei colori. Il bambino viene incoraggiato a mettere due a due le tavolette dei tre colori primari (blu, rosso, giallo), poi quelle degli altri colori (arancione, verde, viola, marrone, grigio, nero, bianco, rosa), e infine le tavolette delle sessantatré sfumature derivate da nove colori diversi. Il bambino possiede allora centoventisei tavolette e deve formare sessantatré coppie di sfumature.2
Un bambino di tre anni realizza un appaiamento con la seconda scatola dei colori.
Un bambino di tre anni realizza un appaiamento con la seconda scatola dei colori.

Nominare la propria percezione con la lezione in tre tempi

Quando alcune attività comportavano un lessico nuovo, come nel caso dei colori, lo presentavamo in modo abbastanza informale ricorrendo alla lezione in tre tempi di Édouard Séguin. I tre tempi dovrebbero essere noti a tutti gli insegnanti poiché permettono al bambino di memorizzare due o tre parole nuove in un modo straordinariamente efficace. Prendiamo l’esempio dei colori:
1. Il primo tempo consiste nel nominare. Si tratta di nominare i colori indicandoli con il dito, poi di farli ripetere al bambino. Noi dicevamo «rosso» puntando il colore con il dito, e il bambino ripeteva «rosso». Poi dicevamo «blu» indicando il colore con il dito, e aspettavamo che il bambino ripetesse «blu». Procedevamo allo stesso modo con «giallo». Ricominciavamo così varie volte con i tre colori, in tempi brevi per non stancare il bambino.
2. Il secondo tempo consiste nel mostrare. Chiedevamo al bambino: «Mostrami il giallo». E lui indicava il giallo con il dito. «Sì, è giallo», dicevamo noi confermando il nome del colore. Poi gli chiedevamo di mostrarci altri colori che nominavamo, sempre in tempi brevi e in modo giocoso. In questa fase, il bambino era già in grado di associare un nome all’oggetto o al concetto, senza ancora riuscire a nominarlo. Questa seconda fase doveva essere più lunga delle altre al fine di permettere ai bambini di memorizzare bene le parole nuove.
3. Infine, l’ultimo tempo consiste nel riconoscere. Chiedevamo al bambino, indicando con il dito la tavoletta color rosso: «Che cos’è?». Se i due tempi precedenti lo avevano appassionato avrebbe risposto con slancio (e a volte fragorosamente): «È rosso!». Continuavamo poi con gli altri due colori e facevamo durare questo terzo tempo finché il nuovo lessico ci sembrava acquisito, badando sempre a cambiare il posto delle tavolette sul tavolo (cosa che divertiva molto i bambini).
Come prolungamento di questi tre tempi facevamo un giochino che i bambini adoravano. Chiedevamo a uno di loro di chiudere gli occhi e nascondevamo una delle tre tavolette dietro la schiena. Quando il bambino riapriva gli occhi gli chiedevamo: «Qual è il colore che ho nascosto?». Dopo un attimo di concentrazione, anche intensa, il bambino con aria vittoriosa rispondeva: «Rosso! Hai nascosto il rosso!». Più tardi mostravamo al bambino altri tre colori assicurandoci che prima nominasse quelli che conosceva. A volte ne ricordava solo due su tre della lezione in tre tempi del giorno prima; bisognava allora ripresentargli il colore dimenticato insieme a due nuovi. Spesso i bambini ripetevano spontaneamente fra di loro il giochetto del «nascondiglio», di conseguenza capitava spesso che imparassero i colori giocando, senza che dovessimo insegnarli noi in modo così formale.
Ricordo di aver visto alcuni bambini, che non conoscevano i nomi dei colori, giocare così: chiudevano gli occhi, un compagno prendeva un colore che stava sul tavolo e lo nascondeva dietro la schiena. Il bambino riapriva gli occhi e «sapeva» quale colore mancasse, provava in tutti i modi a dirne il nome, ma non ne era capace. Frustrato, chiedeva allora al compagno: «Qual è il nome del colore che hai dietro la schiena?». Non appena il compagno rispondeva, si appropriava della parola e diceva: «Verde! Hai preso il verde!».
A volte, nei momenti in cui ci radunavamo, prendevo le tavolette dei colori fondamentali,3 le presentavo una a una e invitavo i bambini a dirne il nome. Questo scambio avveniva sempre in tempi brevi, ma volevo farlo regolarmente, e dicevo in maniera chiara: «Bambini, ci tengo che voi conosciate i nomi di tutti i colori, è importante». E loro prendevano la faccenda con molta serietà. Il mio modo di sottolineare l’importanza di questo elemento faceva sì che imparassero più velocemente. Infatti, il mio tono di voce, incoraggiante ma molto serio, era un segnale sociale manifesto che orientava l’attenzione dei bambini verso un elemento preciso e li rendeva consapevoli della sua importanza, permettendogli di ricordarlo. Abbiamo visto nella prima parte del libro che senza questo genere di segnali sociali manifesti (voce, sguardo, indicazione) i bambini potrebbero lasciarsi sfuggire alcuni elementi importanti ed evidenti dell’ambiente che li circonda.4 Invece, con questo tipo di indicazioni esplicite che avevo cura di fornire, i bambini riuscivano a ricordare bene le cose rilevanti. Ovviamente non davo queste indicazioni a ogni raggruppamento, perché non volevo rischiare di smorzare l’effetto del mio supporto e perdere l’attenzione dei bambini: sceglievo gli elementi realmente importanti che andavano prioritariamente messi in evidenza per quei bambini, e a volte aspettavo anche per settimane che fossero ben acquisiti prima di dirigere la loro attenzione verso nuovi elementi.

Vedere meglio

Allo scopo di aiutare i bambini a percepire in maniera più sottile l’ambiente circostante attraverso il senso della vista proponevamo varie attività. Il materiale dei colori, come quello delle aste rosse, rientrava in questa categoria. Tuttavia, per affinare il senso visivo, la prima attività che presentavamo ai bambini dai due anni e mezzo ai tre era quella degli incastri cilindrici. È un’attività che presuppone un controllo dell’errore meccanico che aiuta i bambini a sviluppare un’attenzione più forte e un senso visivo più preciso. Preferivamo questa ad altre attività (come le aste rosse, che non comportano un controllo dell’errore in modo altrettanto netto).
Gli incastri sono formati da quattro blocchi di legno, ognuno dei quali contiene una serie di dieci cilindri, la cui altezza e spessore variano in maniera costante. Il bambino, dopo aver tolto i cilindri dai loro fori, deve far rientrare ogni cilindro nel foro giusto. Questa attività permette ai bambini piccoli di sviluppare in modo molto preciso la percezione delle dimensioni (altezza, larghezza) e quindi di vedere meglio il mondo che li circonda. L’occhio, così, si affina. Presentavamo al bambino una sola serie di cilindri, estraendoli delicatamente dalla loro base davanti a lui. Poi li mescolavamo sul tavolo e in seguito chiedevamo al bambino di rimetterli al loro posto. In un secondo tempo, dopo essere riuscito a realizzare da solo una prima serie, poco importava quale, invitavamo il bambino a lavorare con due serie di cilindri per volta. Doveva far combaciare venti cilindri con venti fori diversi. Per un bambino di tre anni si tratta di un’attività molto difficile. Più tardi avrebbe utilizzato tre serie di cilindri per volta e realizzato l’attività con trenta cilindri e trenta fori; infine, verso i quattro anni, i bambini realizzano spontaneamente questa attività con le quattro serie di incastri, lavorando con quaranta cilindri diversi e altrettanti fori.
Alcuni bambini di quattro anni si scoraggiavano di fronte alla difficoltà del compito, poi, con un po’ di aiuto e di incoraggiamento, prendevano confidenza e alla fine, quando riuscivano a inserire l’ultimo cilindro, erano felicissimi. Questa attività richiede un’osservazione molto fine perché a volte la differenza tra un cilindro e l’altro è minima. Quando rimettevo a posto il materiale mi succedeva regolarmente di sbagliare e di far corrispondere molti cilindri al foro sbagliato. Dovevo concentrarmi almeno un po’, non era possibile sistemare automaticamente i cilindri. La difficoltà rappresentava quindi una sfida anche per bambini di cinque anni.
Un bambino di quattro anni utilizza i quattro incastri cilindrici.
Un bambino di quattro anni utilizza i quattro incastri cilindrici.
Ricordo, tra l’altro, un bambino di tre anni che si era prefissato l’obiettivo molto ambizioso di realizzare da subito questa attività con tre o quattro serie per volta ma non era capace di farne nemmeno una. Disponeva sul suo tappetino tutti i cilindri delle tre o quattro serie... Gli dicevo regolarmente: «Sai, penso che dovresti iniziare da una sola serie, e quando riuscirai a farla potrai prenderne un’altra». Poi, sotto lo sguardo impotente del bambino, riponevo due dei tre incastri sul ripiano affinché gliene rimanesse uno solo. Non appena giravo la schiena, ecco che andava a riprendersi gli incastri che avevo appena messo via. Lo lasciavo fare per un po’, poi, quando i cilindri che non riusciva a inserire nei fori iniziavano a rotolare intorno a lui, rischiando di far scivolare i compagni, ricominciavo a sistemarli.
Anna, che da un po’ di giorni osservava il nostro balletto, mi suggerì di non intervenire. Ero veramente convinta che per il bambino la sfida fosse troppo ambiziosa, e che lasciarlo così in difficoltà non lo avrebbe aiutato. Mi sbagliavo completamente.
Poiché non volevo entrare in competizione con lui, confortata dall’idea di Anna decisi di lasciarlo fare, chiedendogli soltanto di stare attento al fatto che tutti i cilindri rimanessero sul tappetino. Il piccolo continuò a occuparsi dei suoi cilindri per tutte le mattine delle tre settimane seguenti. E in effetti faceva progressi. Un mattino, finalmente, lo vidi prendere le quattro serie di cilindri, estrarre questi ultimi dai fori, mescolarli e rimetterli nel loro posto uno dopo l’altro con molta sicurezza e poca esitazione. Non avevo mai visto un bambino così piccolo riuscire in quell’impresa! Lo ripeto, si tratta di un esercizio difficile e che richiede molta abilità.
Questo aneddoto mi ha insegn...

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