Impero
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Impero

Viaggio nell'Impero di Roma seguendo una moneta

Alberto Angela

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Viaggio nell'Impero di Roma seguendo una moneta

Alberto Angela

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Come si viveva nell'Impero romano? Che tipo di persone avremmo incontrato nelle sue città? Come sono riusciti i romani a creare un Impero così grande, unendo popolazioni e luoghi così diversi?
Il libro che avete in mano è, idealmente, la prosecuzione di Una giornata nell'antica Roma. Lì si raccontava la vita quotidiana nella capitale attraverso lo scandire delle ventiquattro ore. Ora immaginate di alzarvi la mattina seguente e di partire per un viaggio attraverso tutto l'Impero.
Per compiere questo viaggio straordinario basterà seguire un sesterzio. Soffermandoci sulle persone che via via entrano in possesso della moneta, scopriremo i loro volti, le loro sensazioni, il loro modo di vivere, le loro abitudini, le loro case. Passeremo così dalle mani di un mercante a quelle di uno schiavo, da una prostituta fino all'Imperatore. Vivremo in prima persona le atmosfere dei luoghi, gli odori dei vicoli di Alessandria d'Egitto, i rumori degli scalpellini in una bottega di Atene, il fragore dei combattimenti tra legionari e barbari ai confini della Germania, i profumi delle signore a passeggio per Milano, il clamore delle corse delle quadrighe nel Circo Massimo... Il viaggio ovviamente è ipotetico, ma del tutto verosimile. I personaggi che incontreremo sono realmente vissuti in quel periodo e in quei luoghi. I loro nomi sono veri e svolgevano effettivamente quel mestiere. Tutto è il frutto di un lungo lavoro di ricerca su stele tombali, iscrizioni e testi antichi. Allo stesso modo, pressoché tutte le battute che sentirete pronunciare da tali personaggi sono "originali": provengono infatti dalle opere di famosi autori latini come Marziale, Ovidio o Giovenale.
E tappa dopo tappa, scoprendo il "dietro le quinte" dell'Impero, ci accorgeremo di quanto il mondo dei romani, la prima grande globalizzazione della storia, fosse in fondo molto simile al nostro.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2011
ISBN
9788852017391

Circo Massimo

I segreti di Ben Hur
La sera seguente il pretoriano Caius Proculeius Rufus va a festeggiare con alcuni amici il suo nuovo, delicato lavoro. Quando arriva il conto, il pretoriano paga per tutti. E tra le varie monete che dà, c’è anche il nostro sesterzio. Così, allontanandosi dalle risate dei commensali, la moneta inizia una nuova avventura. Ma non va troppo lontano: al tavolo vicino è seduto un uomo, da solo, con lo sguardo assente e una barba a punta. Ed è proprio a lui che l’oste dà il sesterzio come resto. Dove ci porterà ora?

A passo spedito nel buio dei vicoli di Roma

Il braccio steso della statua di Augusto sembra indicare un punto lontanissimo nel buio della notte. Alcune gocce indugiano sotto l’arto in bronzo dorato. Fino a un paio di ore fa correvano e si univano in un rivolo prima di cadere al suolo. In effetti, questa notte ha piovuto a Roma. Lo si capisce dai tetti bagnati e dalle gocce che continuano a cadere dall’alto delle insulae, per morire con cadenza regolare sul bordo dei marciapiedi. Non è ancora l’alba, l’aria è fredda e umida; i pochi passanti, avvolti in cappe e mantelli, rasentano frettolosamente i muri quasi fossero ombre che scivolano via. Cercano di evitare le ampie pozzanghere dei vicoli passandoci di lato o saltandole.
Già, in questa città il problema delle pozzanghere sembra non avere mai fine. Le strade principali, ben ricoperte di lastre di pietra e sagomate a “dorso d’asino” per far scorrere ai lati l’acqua piovana, spesso si “arrendono” a estemporanee dighe di rifiuti cittadini (ceste rotte, bucce, stracci), e si creano così lunghi laghetti che costeggiano i marciapiedi. I bottegai e gli abitanti protestano di continuo, ma l’amministrazione ha troppi problemi da risolvere; e poi basta un colpo di scopa per rimettere le cose a posto. Nei vicoli minori invece non c’è soluzione: sono di terra battuta e quando piove sono da evitare perché si trasformano in veri pantani.
La moneta ora è in mano all’uomo alto e magro con la barba a punta che ieri sera era seduto accanto al tavolo del pretoriano. Dalle vesti non sembra una persona agiata. Sulla sua cappa ci sono rammendi e toppe. E la sua tunica color crema è lisa in molti punti. Eppure non sembra neanche un povero o uno schiavo. C’è qualcosa di strano in quest’uomo. Prosegue a ritmo sostenuto come se fosse in ritardo per un appuntamento. Finisce spesso in piccole pozze, l’acqua sporca penetra nei sandali e fuoriesce fangosa tra i lacci e le dita dei piedi. Ma non sembra curarsene. C’è qualcosa che occupa la sua mente, un’ansia che brucia nel suo sguardo. Cosa sarà? Perché cammina così spedito?
Svoltato un angolo l’uomo si butta all’improvviso nella rientranza di un portone. Giusto in tempo per non essere travolto da un pesante carro che passa velocemente e lo schiva per un pelo: è sbucato all’improvviso dall’oscurità.
Fa parte di quell’esercito di carri che ogni notte riforniscono le botteghe di Roma, visto che di giorno, come sappiamo, non possono circolare. Il traffico c’è sempre, ma è di tipo “umano”. Passeggiare per le vie principali durante la giornata equivale ad attraversare ai nostri giorni una stazione della metropolitana all’ora di punta… Si è continuamente urtati, impossibile camminare in linea retta, bisogna scartare schiavi, uomini corpulenti, donne del popolino che chiacchierano, lettighe… Di notte invece la strada è libera. Ma, come abbiamo visto, può essere assai pericolosa.
L’uomo ha preso un bello spavento; era troppo assorto nei suoi pensieri e il carrettiere ha persino accelerato all’incrocio, urlandogli un’imprecazione. Inutile prendersela con questo “pirata della strada”: quelli come lui sono persone violente e attaccabrighe. Ora è sparito nel buio, attraversando un altro incrocio con un lungo urlo di sfida. Corre perché, se non lascia la città prima dell’alba, rischia una grossa multa e forse anche il sequestro del veicolo.
L’uomo fa un sospiro e riprende il cammino. Se fosse stato travolto nessuno lo avrebbe soccorso. Nessuno avrebbe fermato il carro. All’alba sarebbe stato un altro morto per le strade e i vicoli di Roma: chi per una rapina, chi in una lite tra ubriachi, chi in una rissa tra poveri e disperati, chi massacrato da bande di giovani “bene”, chi di fame, chi di freddo… La notte a Roma ricorda quella nella savana: sono tanti i “predatori” in agguato.
Ora l’aurora rischiara il cielo e l’uomo è quasi arrivato a destinazione. Tra breve scopriremo tutti i motivi della sua ansia.
Ha rallentato il passo. Più avanza nella via, più aumentano le persone attorno a lui, quasi attraversasse una galassia di esseri umani. Sono tutti in movimento; è una folla che si sposta dirigendosi verso un unico punto, alla fine della via. Una scena insolita, quasi “biblica”.
I lati della strada non sono bui come quelli che ha percorso per venire fino a qui. Tutt’altro: non è ancora l’alba eppure tutte le botteghe della via sono aperte, come indicano le lucerne accese che dondolano sopra gli ingressi. Formano una lunga catena di punti luminosi che si perde nel fondo della via.
Tante popinae hanno già aperto i battenti. Alla debole luce delle lucerne appese ai soffitti, l’uomo vede clienti appoggiati ai banconi che addentano salsicce arrostite. O focacce intinte nel miele. Una cameriera versa un liquido fumante in alcuni bicchieri in terracotta: a noi, vista l’ora, viene subito in mente il caffè. Ma nessuno lo conosce in epoca romana.
In effetti, il caffè, che in età moderna diventerà un simbolo mondiale dello stile di vita italiano, con l’espresso e il cappuccino, nel 117 d.C. cresce ancora, selvatico, sugli altopiani etiopici. Ci vorranno millecinquecento anni perché giunga nelle vie di Roma: il 1615 è infatti la data “ufficiale” del suo arrivo in Europa grazie ai mercanti veneziani, sebbene nel mondo musulmano e nello Yemen già lo si bevesse da quasi un paio di secoli. Una curiosità: la parola “caffè” riassume tutta la sua lunga storia. Deriva infatti dal turco quahvè, a sua volta proveniente dall’arabo qahwa, che indicava una bevanda amara ottenuta dai semi del caffè con un effetto così eccitante da essere addirittura considerata una medicina!
La donna ha finito di riempire i bicchieri di terracotta che ora vengono portati alle labbra da quattro uomini. È così ustionante che aggrottano le sopracciglia per il dolore e fanno piccoli sorsi in silenzio. Se non è caffè, che cos’è allora? Ci avviciniamo. Il suo aroma penetra nelle nostre narici portandoci la risposta: è vino… Viene servito allungato con acqua bollente e ricorda molto il nostro vin brulé. Nessuno di noi oggi berrebbe abitualmente del vino bollente prima dell’alba. Per non parlare delle spezie che ne hanno stravolto il sapore…
In effetti il vino in epoca romana è davvero molto diverso dal nostro. Lo vediamo continuamente in questo lungo viaggio nell’Impero romano.
Ma non c’è tempo per fermarsi. Il nostro uomo sta superando tutti quelli che incontra e s’infila nella calca sempre più fitta, sollevando qualche protesta. Gli odori in questa folla così pressata sono indescrivibili. I vestiti si sono intrisi dei profumi e degli olezzi degli ultimi ambienti nei quali ogni persona è stata prima di venire qui. E allora c’è odore di olio di lucerna, di salsiccia arrosto, di cavallo, di legna bruciata, di cipolla non digerita, di tessuto bagnato dalla pioggia… E poi ci sono anche l’afrore della pelle non lavata e il sudore: nessuno si è ancora recato alle terme, oggi…
Tutti premono per andare avanti… Già, ma dove si va? Alziamo lo sguardo, sopra la folla si vede la struttura imponente del Circo Massimo.

È qui che vennero rapite le sabine

Le immense arcate del Circo Massimo sembrano le innumerevoli fauci spalancate di un mostro che divora la gente. Questo mostro ha degli “occhi” che rendono ancora più spaventosi suoi morsi: sono tanti finestroni quadrati che si aprono nei due piani superiori.
Nel chiarore bluastro che precede l’alba, i colori non si sono ancora svegliati. Tutto diventa così spettrale… Appare solo la rigida imponenza delle arcate del Circo Massimo che prosegue senza fermarsi con la sua alternanza di archi bui e pilastri chiari per oltre mezzo chilometro. Siamo evidentemente all’altezza del lato curvo della struttura e davanti ai nostri occhi si estende tutto un suo lato, dritto, simile a un enorme edificio amministrativo.
È da non credersi. Come ha fatto l’uomo a realizzare una costruzione così mastodontica? Siamo in piena antichità e questo è, e rimarrà, lo stadio o, se volete, l’edificio concepito per ospitare gare sportive più grande e capiente mai costruito dall’uomo. Neppure in epoca moderna si è realizzato qualcosa di così immenso.
Il Circo Massimo è anche legato intimamente alla storia di Roma. Volete sapere dov’è avvenuto il ratto delle sabine? Esattamente qui. Secondo la tradizione, Romolo, il primo re di Roma, organizzò delle corse di carri e invitò gli uomini sabini con l’unico scopo di distrarli, quindi rapì le loro donne… Si tratta ovviamente di una leggenda, ma l’amore per le corse dei carri invece è una realtà: ha appassionato Roma fin dall’inizio della sua storia. Agli occhi dei primi romani quest’ampia e lunga valle compresa tra il Palatino e l’Aventino (chiamata valle Murcia) sembrava un dono degli dèi, il palcoscenico ideale per le gare. Bastava semplicemente tracciare la pista. Ma c’era un problema: un piccolo corso d’acqua attraversava l’area. La soluzione fu trovata intorno al 600 a.C. da Tarquinio Prisco, il quinto re di Roma, che incanalò il corso d’acqua e costruì un primo circo per le corse dei carri e dei cavalli.
Una curiosità: da questo canale d’acqua era derivato quello che correva tutt’attorno alla pista, come il fossato di un castello medievale. Era largo tre metri e profondo altrettanto. A cosa serviva? A impedire alle belve di saltare sugli spettatori. In effetti, inizialmente il Circo Massimo venne usato un po’ per tutti gli spettacoli di Roma: non solo le corse dei cavalli, ma anche combattimenti tra gladiatori, lotte contro le belve, rappresentazioni teatrali ecc.
Quando ancora non c’erano il Colosseo e altre grandi strutture per l’intrattenimento, il Circo Massimo costituiva il grande spazio per gli spettacoli di massa di Roma. Un concetto in fondo molto “moderno”, che noi abbiamo ripreso facendo svolgere negli stadi delle nostre città gare di atletica, partite di calcio, concerti rock, spettacoli, comizi…
Non c’è da stupirsi, quindi, che questo luogo fosse per un romano ancora più importante ed entusiasmante del Colosseo. Accadeva sempre qualcosa: pochi giorni separavano un evento da quello successivo. Era il vero “divertimenticio” della capitale dell’Impero romano.
E forse proprio per questo motivo, per i sovrani e gli amministratori di Roma il Circo Massimo aveva anche un’altra utilità. Avrete certo sentito l’espressione panem et circenses. È una celebre frase del poeta Giovenale che esprimeva un concetto molto semplice: “Dai al popolo il pane e le corse nel Circo [Massimo] e non avrai problemi”. La politica delle elargizioni (pane, vino ecc.) e dello svago, in effetti, otteneva un forte consenso popolare e distraeva l’opinione pubblica dalla politica. E gli imperatori lo sapevano bene. Quindi quell’enorme edificio era anche un importante strumento per mantenere ben saldo il potere.
Per tutti questi motivi (passione popolare, uso “politico”, ma anche straordinaria macchina per far girare i soldi, come vedremo tra poco) il Circo Massimo venne usato ininterrottamente (anche se subì varie modifiche, abbellimenti, restauri) per secoli. Sapete quanto? Milleduecento anni!
In effetti, la prima corsa di carri avvenne all’incirca nel 600 a.C., l’ultima nel 549 d.C., sotto il re goto Totila.
Riuscite a immaginare uno stadio che viene usato ininterrottamente per milleduecento anni? È come se oggi andassimo a vedere una partita in uno stadio costruito da Carlo Magno e usato senza interruzioni da allora…
Già questi pochi dati vi fanno capire l’eccezionalità del Circo Massimo. Gli antichi romani, però, non lo chiamavano così. Per loro era semplicemente il Circus. E questo ci riporta alla folla che si accalca sotto le sue arcate in un’alba gelida. Quale ragione ha spinto tutta questa gente a venire qui a un’ora tanto strana?

I bassifondi del Circo Massimo

L’uomo che stiamo seguendo s’infila sotto uno degli archi del Circo Massimo. Ci accorgiamo così che comunicano uno con l’altro e tutti assieme formano un lunghissimo porticato, identico a quelli che si vedono nei centri storici di tante nostre città. La cosa più sorprendente è che in questo porticato si aprono tante botteghe con la merce esposta. Sembra un lungo centro commerciale, una città nella città.
Si vendono cibi da portare sulle gradinate (olive, pane, formaggio, pesci in salamoia), ma anche cuscini, ripari contro il sole, mantelle contro il freddo e la pioggia ecc. Altri negozi, invece, espongono merce che non ha nulla a che vedere con le corse: vestiti, olio, spezie, vasellame di terracotta, c’è persino chi ribatte oggetti di rame e chi vende statuette votive. Siamo nel centro di Roma e il porticato si apre su una delle vie più frequentate della capitale; è quindi normale che sia anche il posto migliore per vendere merci e fare affari. Di ogni tipo.
Appoggiate a un’arcata alcune ragazze aspettano i clienti. Hanno un aspetto orientale. Sono more, capelli ricci, carnagione scura, i fianchi abbondanti e gli occhi allungati che un trucco pesante accentua all’inverosimile. I veli coprono a malapena la merce che espongono e vendono. Alcuni uomini, molti dei quali maturi, si sono fermati a parlare con loro e a contrattare il prezzo. Sono i primi clienti della giornata…
Ai maschi della capitale piacciono molto queste donne mediterranee. Contrariamente a oggi, nell’immaginario erotico dell’uomo romano non c’è posto per le ragazze nordiche, con i capelli biondi e gli occhi chiari; il modello di donna sensuale è rappresentato dalle more del Mediterraneo orientale: quelle che provengono dalla Grecia, dalla Turchia, dalla Siria, dal Libano…
Un uomo sulla cinquantina, vestito in modo sobrio ma elegante, osserva la scena dalla strada. I suoi occhi si riempiono di disprezzo, fa una smorfia di disgusto e scarabocchia qualcosa su fogli già fitti di appunti. Poi fa cenno al suo servo di proseguire e di aprirgli la strada nella folla. Il suo sguardo è ritornato quello di prima, un po’ assente, venato di tristezza. Sparisce nella folla. Quest’uomo dall’aspetto così semplice e anonimo passerà invece alla storia come uno dei poeti più famosi e pungenti dell’antichità. È Giovenale.
La sua acidità è proverbiale, al pari del suo pessimismo e dei continui riferimenti alle epoche passate, a suo dire più felici. A farne le spese sono le donne, soprattutto quelle emancipate e libere. Sono i bersagli preferiti delle sue Satire. Così come gli omosessuali. Tra pochi anni attaccherà persino il prossimo imperatore, Adriano, per la relazione omosessuale con il bell’Antinoo. E rischierà grosso: forse verrà persino esiliato in Egitto, scomparendo dalla scena, ma lasciandoci tutte le sue pungenti critiche alla società romana.
La scena cui ha appena assistito assieme a noi, sotto i portici del Circo Massimo, entrerà a far parte della letteratura. In effetti quello sguardo di disgusto ha partorito delle frasi, appena accennate sul suo “notes” improvvisato, che in seguito leggeremo in questo modo:
Io non posso, o Quiriti, sopportare un...

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