La sera seguente il pretoriano Caius Proculeius Rufus va a festeggiare con alcuni amici il suo nuovo, delicato lavoro. Quando arriva il conto, il pretoriano paga per tutti. E tra le varie monete che dĂ , câè anche il nostro sesterzio. CosĂŹ, allontanandosi dalle risate dei commensali, la moneta inizia una nuova avventura. Ma non va troppo lontano: al tavolo vicino è seduto un uomo, da solo, con lo sguardo assente e una barba a punta. Ed è proprio a lui che lâoste dĂ il sesterzio come resto. Dove ci porterĂ ora?
A passo spedito nel buio dei vicoli di Roma
Il braccio steso della statua di Augusto sembra indicare un punto lontanissimo nel buio della notte. Alcune gocce indugiano sotto lâarto in bronzo dorato. Fino a un paio di ore fa correvano e si univano in un rivolo prima di cadere al suolo. In effetti, questa notte ha piovuto a Roma. Lo si capisce dai tetti bagnati e dalle gocce che continuano a cadere dallâalto delle insulae, per morire con cadenza regolare sul bordo dei marciapiedi. Non è ancora lâalba, lâaria è fredda e umida; i pochi passanti, avvolti in cappe e mantelli, rasentano frettolosamente i muri quasi fossero ombre che scivolano via. Cercano di evitare le ampie pozzanghere dei vicoli passandoci di lato o saltandole.
GiĂ , in questa cittĂ il problema delle pozzanghere sembra non avere mai fine. Le strade principali, ben ricoperte di lastre di pietra e sagomate a âdorso dâasinoâ per far scorrere ai lati lâacqua piovana, spesso si âarrendonoâ a estemporanee dighe di rifiuti cittadini (ceste rotte, bucce, stracci), e si creano cosĂŹ lunghi laghetti che costeggiano i marciapiedi. I bottegai e gli abitanti protestano di continuo, ma lâamministrazione ha troppi problemi da risolvere; e poi basta un colpo di scopa per rimettere le cose a posto. Nei vicoli minori invece non câè soluzione: sono di terra battuta e quando piove sono da evitare perchĂŠ si trasformano in veri pantani.
La moneta ora è in mano allâuomo alto e magro con la barba a punta che ieri sera era seduto accanto al tavolo del pretoriano. Dalle vesti non sembra una persona agiata. Sulla sua cappa ci sono rammendi e toppe. E la sua tunica color crema è lisa in molti punti. Eppure non sembra neanche un povero o uno schiavo. Câè qualcosa di strano in questâuomo. Prosegue a ritmo sostenuto come se fosse in ritardo per un appuntamento. Finisce spesso in piccole pozze, lâacqua sporca penetra nei sandali e fuoriesce fangosa tra i lacci e le dita dei piedi. Ma non sembra curarsene. Câè qualcosa che occupa la sua mente, unâansia che brucia nel suo sguardo. Cosa sarĂ ? PerchĂŠ cammina cosĂŹ spedito?
Svoltato un angolo lâuomo si butta allâimprovviso nella rientranza di un portone. Giusto in tempo per non essere travolto da un pesante carro che passa velocemente e lo schiva per un pelo: è sbucato allâimprovviso dallâoscuritĂ .
Fa parte di quellâesercito di carri che ogni notte riforniscono le botteghe di Roma, visto che di giorno, come sappiamo, non possono circolare. Il traffico câè sempre, ma è di tipo âumanoâ. Passeggiare per le vie principali durante la giornata equivale ad attraversare ai nostri giorni una stazione della metropolitana allâora di punta⌠Si è continuamente urtati, impossibile camminare in linea retta, bisogna scartare schiavi, uomini corpulenti, donne del popolino che chiacchierano, lettighe⌠Di notte invece la strada è libera. Ma, come abbiamo visto, può essere assai pericolosa.
Lâuomo ha preso un bello spavento; era troppo assorto nei suoi pensieri e il carrettiere ha persino accelerato allâincrocio, urlandogli unâimprecazione. Inutile prendersela con questo âpirata della stradaâ: quelli come lui sono persone violente e attaccabrighe. Ora è sparito nel buio, attraversando un altro incrocio con un lungo urlo di sfida. Corre perchĂŠ, se non lascia la cittĂ prima dellâalba, rischia una grossa multa e forse anche il sequestro del veicolo.
Lâuomo fa un sospiro e riprende il cammino. Se fosse stato travolto nessuno lo avrebbe soccorso. Nessuno avrebbe fermato il carro. Allâalba sarebbe stato un altro morto per le strade e i vicoli di Roma: chi per una rapina, chi in una lite tra ubriachi, chi in una rissa tra poveri e disperati, chi massacrato da bande di giovani âbeneâ, chi di fame, chi di freddo⌠La notte a Roma ricorda quella nella savana: sono tanti i âpredatoriâ in agguato.
Ora lâaurora rischiara il cielo e lâuomo è quasi arrivato a destinazione. Tra breve scopriremo tutti i motivi della sua ansia.
Ha rallentato il passo. PiĂš avanza nella via, piĂš aumentano le persone attorno a lui, quasi attraversasse una galassia di esseri umani. Sono tutti in movimento; è una folla che si sposta dirigendosi verso un unico punto, alla fine della via. Una scena insolita, quasi âbiblicaâ.
I lati della strada non sono bui come quelli che ha percorso per venire fino a qui. Tuttâaltro: non è ancora lâalba eppure tutte le botteghe della via sono aperte, come indicano le lucerne accese che dondolano sopra gli ingressi. Formano una lunga catena di punti luminosi che si perde nel fondo della via.
Tante popinae hanno giĂ aperto i battenti. Alla debole luce delle lucerne appese ai soffitti, lâuomo vede clienti appoggiati ai banconi che addentano salsicce arrostite. O focacce intinte nel miele. Una cameriera versa un liquido fumante in alcuni bicchieri in terracotta: a noi, vista lâora, viene subito in mente il caffè. Ma nessuno lo conosce in epoca romana.
In effetti, il caffè, che in etĂ moderna diventerĂ un simbolo mondiale dello stile di vita italiano, con lâespresso e il cappuccino, nel 117 d.C. cresce ancora, selvatico, sugli altopiani etiopici. Ci vorranno millecinquecento anni perchĂŠ giunga nelle vie di Roma: il 1615 è infatti la data âufficialeâ del suo arrivo in Europa grazie ai mercanti veneziani, sebbene nel mondo musulmano e nello Yemen giĂ lo si bevesse da quasi un paio di secoli. Una curiositĂ : la parola âcaffèâ riassume tutta la sua lunga storia. Deriva infatti dal turco quahvè, a sua volta proveniente dallâarabo qahwa, che indicava una bevanda amara ottenuta dai semi del caffè con un effetto cosĂŹ eccitante da essere addirittura considerata una medicina!
La donna ha finito di riempire i bicchieri di terracotta che ora vengono portati alle labbra da quattro uomini. Ă cosĂŹ ustionante che aggrottano le sopracciglia per il dolore e fanno piccoli sorsi in silenzio. Se non è caffè, che cosâè allora? Ci avviciniamo. Il suo aroma penetra nelle nostre narici portandoci la risposta: è vino⌠Viene servito allungato con acqua bollente e ricorda molto il nostro vin brulĂŠ. Nessuno di noi oggi berrebbe abitualmente del vino bollente prima dellâalba. Per non parlare delle spezie che ne hanno stravolto il saporeâŚ
In effetti il vino in epoca romana è davvero molto diverso dal nostro. Lo vediamo continuamente in questo lungo viaggio nellâImpero romano.
Ma non câè tempo per fermarsi. Il nostro uomo sta superando tutti quelli che incontra e sâinfila nella calca sempre piĂš fitta, sollevando qualche protesta. Gli odori in questa folla cosĂŹ pressata sono indescrivibili. I vestiti si sono intrisi dei profumi e degli olezzi degli ultimi ambienti nei quali ogni persona è stata prima di venire qui. E allora câè odore di olio di lucerna, di salsiccia arrosto, di cavallo, di legna bruciata, di cipolla non digerita, di tessuto bagnato dalla pioggia⌠E poi ci sono anche lâafrore della pelle non lavata e il sudore: nessuno si è ancora recato alle terme, oggiâŚ
Tutti premono per andare avanti⌠Già , ma dove si va? Alziamo lo sguardo, sopra la folla si vede la struttura imponente del Circo Massimo.
Ă qui che vennero rapite le sabine
Le immense arcate del Circo Massimo sembrano le innumerevoli fauci spalancate di un mostro che divora la gente. Questo mostro ha degli âocchiâ che rendono ancora piĂš spaventosi suoi morsi: sono tanti finestroni quadrati che si aprono nei due piani superiori.
Nel chiarore bluastro che precede lâalba, i colori non si sono ancora svegliati. Tutto diventa cosĂŹ spettrale⌠Appare solo la rigida imponenza delle arcate del Circo Massimo che prosegue senza fermarsi con la sua alternanza di archi bui e pilastri chiari per oltre mezzo chilometro. Siamo evidentemente allâaltezza del lato curvo della struttura e davanti ai nostri occhi si estende tutto un suo lato, dritto, simile a un enorme edificio amministrativo.
Ă da non credersi. Come ha fatto lâuomo a realizzare una costruzione cosĂŹ mastodontica? Siamo in piena antichitĂ e questo è, e rimarrĂ , lo stadio o, se volete, lâedificio concepito per ospitare gare sportive piĂš grande e capiente mai costruito dallâuomo. Neppure in epoca moderna si è realizzato qualcosa di cosĂŹ immenso.
Il Circo Massimo è anche legato intimamente alla storia di Roma. Volete sapere dovâè avvenuto il ratto delle sabine? Esattamente qui. Secondo la tradizione, Romolo, il primo re di Roma, organizzò delle corse di carri e invitò gli uomini sabini con lâunico scopo di distrarli, quindi rapĂŹ le loro donne⌠Si tratta ovviamente di una leggenda, ma lâamore per le corse dei carri invece è una realtĂ : ha appassionato Roma fin dallâinizio della sua storia. Agli occhi dei primi romani questâampia e lunga valle compresa tra il Palatino e lâAventino (chiamata valle Murcia) sembrava un dono degli dèi, il palcoscenico ideale per le gare. Bastava semplicemente tracciare la pista. Ma câera un problema: un piccolo corso dâacqua attraversava lâarea. La soluzione fu trovata intorno al 600 a.C. da Tarquinio Prisco, il quinto re di Roma, che incanalò il corso dâacqua e costruĂŹ un primo circo per le corse dei carri e dei cavalli.
Una curiositĂ : da questo canale dâacqua era derivato quello che correva tuttâattorno alla pista, come il fossato di un castello medievale. Era largo tre metri e profondo altrettanto. A cosa serviva? A impedire alle belve di saltare sugli spettatori. In effetti, inizialmente il Circo Massimo venne usato un poâ per tutti gli spettacoli di Roma: non solo le corse dei cavalli, ma anche combattimenti tra gladiatori, lotte contro le belve, rappresentazioni teatrali ecc.
Quando ancora non câerano il Colosseo e altre grandi strutture per lâintrattenimento, il Circo Massimo costituiva il grande spazio per gli spettacoli di massa di Roma. Un concetto in fondo molto âmodernoâ, che noi abbiamo ripreso facendo svolgere negli stadi delle nostre cittĂ gare di atletica, partite di calcio, concerti rock, spettacoli, comiziâŚ
Non câè da stupirsi, quindi, che questo luogo fosse per un romano ancora piĂš importante ed entusiasmante del Colosseo. Accadeva sempre qualcosa: pochi giorni separavano un evento da quello successivo. Era il vero âdivertimenticioâ della capitale dellâImpero romano.
E forse proprio per questo motivo, per i sovrani e gli amministratori di Roma il Circo Massimo aveva anche unâaltra utilitĂ . Avrete certo sentito lâespressione panem et circenses. Ă una celebre frase del poeta Giovenale che esprimeva un concetto molto semplice: âDai al popolo il pane e le corse nel Circo [Massimo] e non avrai problemiâ. La politica delle elargizioni (pane, vino ecc.) e dello svago, in effetti, otteneva un forte consenso popolare e distraeva lâopinione pubblica dalla politica. E gli imperatori lo sapevano bene. Quindi quellâenorme edificio era anche un importante strumento per mantenere ben saldo il potere.
Per tutti questi motivi (passione popolare, uso âpoliticoâ, ma anche straordinaria macchina per far girare i soldi, come vedremo tra poco) il Circo Massimo venne usato ininterrottamente (anche se subĂŹ varie modifiche, abbellimenti, restauri) per secoli. Sapete quanto? Milleduecento anni!
In effetti, la prima corsa di carri avvenne allâincirca nel 600 a.C., lâultima nel 549 d.C., sotto il re goto Totila.
Riuscite a immaginare uno stadio che viene usato ininterrottamente per milleduecento anni? Ă come se oggi andassimo a vedere una partita in uno stadio costruito da Carlo Magno e usato senza interruzioni da alloraâŚ
GiĂ questi pochi dati vi fanno capire lâeccezionalitĂ del Circo Massimo. Gli antichi romani, però, non lo chiamavano cosĂŹ. Per loro era semplicemente il Circus. E questo ci riporta alla folla che si accalca sotto le sue arcate in unâalba gelida. Quale ragione ha spinto tutta questa gente a venire qui a unâora tanto strana?
I bassifondi del Circo Massimo
Lâuomo che stiamo seguendo sâinfila sotto uno degli archi del Circo Massimo. Ci accorgiamo cosĂŹ che comunicano uno con lâaltro e tutti assieme formano un lunghissimo porticato, identico a quelli che si vedono nei centri storici di tante nostre cittĂ . La cosa piĂš sorprendente è che in questo porticato si aprono tante botteghe con la merce esposta. Sembra un lungo centro commerciale, una cittĂ nella cittĂ .
Si vendono cibi da portare sulle gradinate (olive, pane, formaggio, pesci in salamoia), ma anche cuscini, ripari contro il sole, mantelle contro il freddo e la pioggia ecc. Altri negozi, invece, espongono merce che non ha nulla a che vedere con le corse: vestiti, olio, spezie, vasellame di terracotta, câè persino chi ribatte oggetti di rame e chi vende statuette votive. Siamo nel centro di Roma e il porticato si apre su una delle vie piĂš frequentate della capitale; è quindi normale che sia anche il posto migliore per vendere merci e fare affari. Di ogni tipo.
Appoggiate a unâarcata alcune ragazze aspettano i clienti. Hanno un aspetto orientale. Sono more, capelli ricci, carnagione scura, i fianchi abbondanti e gli occhi allungati che un trucco pesante accentua allâinverosimile. I veli coprono a malapena la merce che espongono e vendono. Alcuni uomini, molti dei quali maturi, si sono fermati a parlare con loro e a contrattare il prezzo. Sono i primi clienti della giornataâŚ
Ai maschi della capitale piacciono molto queste donne mediterranee. Contrariamente a oggi, nellâimmaginario erotico dellâuomo romano non câè posto per le ragazze nordiche, con i capelli biondi e gli occhi chiari; il modello di donna sensuale è rappresentato dalle more del Mediterraneo orientale: quelle che provengono dalla Grecia, dalla Turchia, dalla Siria, dal LibanoâŚ
Un uomo sulla cinquantina, vestito in modo sobrio ma elegante, osserva la scena dalla strada. I suoi occhi si riempiono di disprezzo, fa una smorfia di disgusto e scarabocchia qualcosa su fogli giĂ fitti di appunti. Poi fa cenno al suo servo di proseguire e di aprirgli la strada nella folla. Il suo sguardo è ritornato quello di prima, un poâ assente, venato di tristezza. Sparisce nella folla. Questâuomo dallâaspetto cosĂŹ semplice e anonimo passerĂ invece alla storia come uno dei poeti piĂš famosi e pungenti dellâantichitĂ . Ă Giovenale.
La sua acidità è proverbiale, al pari del suo pessimismo e dei continui riferimenti alle epoche passate, a suo dire piĂš felici. A farne le spese sono le donne, soprattutto quelle emancipate e libere. Sono i bersagli preferiti delle sue Satire. CosĂŹ come gli omosessuali. Tra pochi anni attaccherĂ persino il prossimo imperatore, Adriano, per la relazione omosessuale con il bellâAntinoo. E rischierĂ grosso: forse verrĂ persino esiliato in Egitto, scomparendo dalla scena, ma lasciandoci tutte le sue pungenti critiche alla societĂ romana.
La scena cui ha appena assistito assieme a noi, sotto i portici del Circo Massimo, entrerĂ a far parte della letteratura. In effetti quello sguardo di disgusto ha partorito delle frasi, appena accennate sul suo ânotesâ improvvisato, che in seguito leggeremo in questo modo:
Io non posso, o Quiriti, sopportare un...