Pensa come uno scienziato
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Pensa come uno scienziato

Come coltivare l'arte del dubbio

Massimo Polidoro

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Pensa come uno scienziato

Come coltivare l'arte del dubbio

Massimo Polidoro

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PER DIFENDERCI DALLE FAKE NEWS E DALLA DISINFORMAZIONE, PER DIVENTARE DEI "LIBERI DUBITANTI" CONSAPEVOLI E RESPONSABILI. «Il problema dell'umanità» scriveva Bertrand Russell «è che gli stupidi sono sempre sicurissimi, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi.» Certo, non è facile coltivare i dubbi. La certezza è piacevole, ci rassicura. Il dubbio crea disagio e il nostro cervello non tollera l'ambiguità, vuole risposte chiare. Meglio, poi, se queste risposte combaciano con ciò a cui vogliamo credere.
Pensare come scienziati significa sì coltivare dubbi, ma anche andare alla ricerca di prove che possano dimostrare (o confutare) ciò che pensiamo.
Spesso si insegnano le scienze, la fisica, la chimica, la biologia, ma si dà poco spazio al metodo della scienza, alla sua etica, alla sua filosofia e alla sua cultura.
Le nozioni, le conoscenze, finiscono presto o tardi per essere dimenticate: se si impara come funziona il metodo scientifico, invece, si influenza stabilmente il modo di pensare e di affrontare la realtà. Un approccio utile nel corso di tutta la vita che contribuisce al radicarsi dello spirito democratico.
Massimo Polidoro, con uno stile sempre originale e accessibile, ci aiuta a decifrare il mondo di oggi, costellato da miriadi di informazioni, vere e false, svelando le trappole cognitive che spesso ci fanno credere cose infondate e fornendoci gli strumenti per "pensare bene". Per difenderci dalle fake news e dalla disinformazione, per continuare a crescere come cittadini e per diventare dei "liberi dubitanti" consapevoli e responsabili.

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Information

Year
2021
ISBN
9788858527696
PARTE I

COME FUNZIONA LA SCIENZA

1

A tutti piace un bel mistero

Osservate queste carte da gioco, sceglietene una (senza dirla se qualcuno vi sta accanto) e ricordatela:
Fatto? Ve la ricordate? Bene.
Forse voi non lo sapete, ma in realtà io sono dotato di straordinarie facoltà paranormali… Non mi credete, ovviamente. Ma io ve lo posso dimostrare: conosco infatti certe tecniche mentali persuasive per indurre chiunque legga queste parole a pensare a una sola, specifica carta tra quelle che vi ho mostrato e, grazie a queste tecniche, ora io posso prevedere esattamente che carta avete in mente.
Ancora non mi credete? Fate bene a nutrire lo scetticismo, è un comportamento sano. Però, guardate ora che cosa succede: ho tolto dal gruppo la carta che state pensando e alla prossima pagina vedrete che la vostra carta è sparita… Voltate pagina e controllate: la vostra carta c’è ancora? No, è sparita! Come avrò fatto? Di sicuro poteri paranormali non ne ho, come avete giustamente immaginato, e non è nemmeno vero che esistano queste fantomatiche “tecniche di controllo mentale”. E allora, come ci sono riuscito? Forse, qualcuno di voi lo ha intuito; ma adesso non ci pensate, più tardi ci ritorneremo sopra.
Guardate qui sopra: c’è ancora la vostra carta?
Quello che mi interessa di più ora è il fatto che per alcuni tra voi questo gioco rappresenta o ha rappresentato per qualche istante un piccolo enigma, un piccolo mistero in cerca di soluzione. Ecco, il mistero! Sono belli i misteri, non è vero? Spesso lo sono: ad alcuni piace leggere romanzi gialli, ad altri guardare i thriller al cinema, altri ancora si appassionano ai misteri della cronaca, agli enigmi della storia… In generale, poi, ci incuriosisce quello che pensano gli altri di noi, oppure vogliamo sapere chi ha rubato le caramelle dalla dispensa o se Carlo e Lucia stanno ancora insieme. Oppure, nei casi più seri, il mistero può riguardare l’identità di un ladro, di un killer, di un gruppo di attentatori…
Il fatto è che il mistero ci chiama e noi siamo sempre pronti a rispondere, perché tutto quello che non sappiamo ci attrae profondamente.
Ma da dove nasce questo attaccamento al mistero? Nasce dal fatto che Homo Sapiens – cioè noi – è una creatura curiosa. La curiosità è infatti la molla che spinse i nostri antenati ad assumere una posizione eretta, a guardarsi intorno, prima per sopravvivere, poi per cercare di scoprire e, infine, per tentare di capire il mondo che li circondava.
La curiosità per ciò che è nuovo rappresenta un meccanismo vitale innato nella specie umana, riconducibile al piacere-bisogno di esplorare il territorio. Lo manifestano anche gli animali perché, per l’appunto, è utile alla sopravvivenza: se mettiamo un ratto da laboratorio in un labirinto dove si trova anche un pezzo di formaggio, il ratto trova presto il formaggio, attratto dall’odore, ma non lo mangia. Prima, infatti, vuole esplorare per intero l’ambiente, capire dove si trova, accertarsi che sia sicuro. Una scimmia in una scatola chiusa senza aperture impara che, premendo una leva, si apre una finestrella che le permette di guardare fuori. Solo che, ogni volta che la preme, riceve una leggera scossa. Ciò nonostante, la scimmia sopporta il piccolo dolore pur di poter guardare fuori e soddisfare la propria curiosità.
Gli animali, compresi dunque anche gli esseri umani, provano un piacere profondo nell’esplorazione, un piacere legato al desiderio di trovare rassicurazione, di non rimanere al buio, all’oscuro di quanto accade intorno.
Considerate questa frase: «La più bella esperienza che possiamo fare è di incontrare il mistero, emozione che è culla dell’arte e della vera scienza». Chi potrebbe avere pronunciato una frase simile: uno scrittore, un filosofo, un poeta…? No, è stato Albert Einstein, forse lo scienziato che più di altri rappresenta il simbolo della scienza moderna1. Alcuni si stupiscono nel sentir parlare un fisico di mistero e di emozioni, perché pensano che chi si occupa di scienza debba per definizione essere una persona fredda, distaccata, molto rigida, niente affatto propensa alla poesia o alla filosofia. Gente che vive lontana dalla vita reale, che si interessa solo di atomi o comete, di virus o telescopi. Persone con poca fantasia, che non lasciano spazio agli aspetti più romantici della vita… Insomma, individui che ai misteri di certo non credono e che, anzi, di certe cose non vogliono proprio sentire parlare! Invece, non è affatto così.
Compito fondamentale di ogni scienziato è proprio quello di inseguire il mistero, cercarlo, indagarlo e, alla fine, trovargli una spiegazione. Abbiamo citato prima Sherlock Holmes, il detective creato da Arthur Conan Doyle che, di fronte a un enigma che sembra inspiegabile, utilizza il ragionamento e l’indagine per cercare di venirne a capo. Ebbene, chi fa scienza lavora allo stesso modo, anche lui è una sorta di detective.
E perché va all’inseguimento dei misteri? Perché scopo della scienza è proprio quello di aiutarci a comprendere meglio il mondo che ci circonda, capire come funziona la natura intorno a noi e dentro di noi: e, dunque, è ovvio che chi fa scienza non rivolga la sua attenzione alle cose che già sa. Che senso avrebbe scoprire di nuovo la ruota, scoprire come si scalda l’acqua, scoprire un’altra volta l’elettricità? Sono tutte cose che già conosciamo!
Chi fa scienza deve invece studiare e capire tutto ciò che ancora non sappiamo. Tutto quello che, per l’appunto, è ancora misterioso.
La parola “scienza”, infatti, viene dal latino scientia, che significa “conoscenza”. Ma come hanno fatto gli esseri umani a raccogliere conoscenze prima che la scienza nascesse? Osservavano il mondo, facevano scoperte casuali, inventavano qualcosa che si rivelava utile e poi trasmettevano queste conoscenze di generazione in generazione.
A volte, le osservazioni fatte portavano a invenzioni capaci di rivoluzionare il corso della storia. Nel Neolitico, oltre 5.000 anni prima di Cristo, i nostri antenati osservarono che oggetti circolari, come i tronchi d’albero, rotolavano bene.Una scoperta curiosa che, però, divenne realmente utile solo quando qualcuno pensò di inserire un palo tra due rotelle ricavate da un tronco. La prima immagine che ci è stata tramandata di ruote applicate per facilitare il trasporto di qualcosa è opera dei Sumeri, vissuti nel 3500 a.C.
Quella singola invenzione ha messo le basi non solo per l’evoluzione dei trasporti, ma della tecnologia in generale. Un’invenzione nata dall’osservazione e dal desiderio di provare e sperimentare quelle idee così insolite.
Altre volte, invece, osservando gli eventi naturali gli esseri umani si davano spiegazioni che non si basavano sulla prova e sull’esperimento, bensì sulle credenze e sui racconti che si facevano intorno al fuoco. E così, un lampo che attraversava il cielo diventava una saetta scagliata da Zeus, il re degli dei dell’Olimpo greco, o da Giove, nel caso dei Romani. Era un modo per spiegarsi qualcosa di insolito, ma era solo una credenza che non era confermata da prove e non poteva essere dimostrata. Altri, poi, si convincevano che per indurre gli dei a fare piovere sulla terra arida fosse necessario sacrificare animali, bruciandoli nel fuoco, o addirittura uccidere uomini e donne su appositi altari, come facevano per esempio gli Aztechi.
Ma quelle erano tutte credenze che oggi sappiamo essere sbagliate. Credenze che non erano state raggiunte attraverso quel metodo che oggi definiremmo scientifico.
La scienza moderna nasce infatti solo nel XVII secolo, nel Seicento, con le scoperte di Galileo Galilei: ma come ci siamo arrivati? E quali sono le caratteristiche della scienza rispetto ad altri modi che abbiamo di conoscere il mondo?
Di questo parleremo nel prossimo capitolo. Prima di voltare pagina, però, vorrei proporvi un piccolo compito: provate a fare un elenco dei diversi modi che abbiamo a disposizione per conoscere il mondo. Provate a rispondere a questa domanda: come fate a sapere le cose che sapete? Le avete lette in un libro? Oppure le avete trovate in un video su YouTube? Ve le ha dette l’insegnante, la tv, i genitori, il prete, qualche influencer, TikTok? Oppure è un’idea che vi siete fatti da soli? Provate a redigere un elenco che comprenda tutte le modalità di conoscenza che vi vengono in mente: nel prossimo capitolo vedremo quali sono i pregi e i limiti di ciascuna e cercheremo di capire che somiglianze e differenze ci sono tra questi metodi per conoscere il mondo e la scienza.
Come dite? Ah, forse non vi è ancora chiaro il trucco del gioco che vi ho proposto all’inizio di questo capitolo? D’accordo. Come forse diversi tra i lettori avranno intuito, il gioco non ha nulla a che vedere con la magia o con la persuasione. Funziona per via di un semplice principio psicologico, quello secondo cui tendiamo a notare solo i dettagli che ci interessano. Se non avete ancora capito il trucco, guardate ancora le carte nella prima foto e mettetele a confronto con quelle della pagina successiva. Notate qualcosa? Proprio così: sono tutte diverse.
Che cosa ci aiuta a capire questo semplice gioco? Tanto per cominciare, ci dimostra che non è così facile osservare in maniera corretta ciò che accade davanti ai nostri occhi. A volte crediamo di vedere tutto quello che riteniamo essere importante e, invece, magari la spiegazione del mistero ce l’abbiamo letteralmente sotto il naso e non ce ne accorgiamo.
Perché non ce ne accorgiamo? Perché il nostro cervello funziona così e lo vedremo meglio più avanti. Ma se noi avessimo usato il metodo della scienza per indagare questo piccolo enigma, potete stare certi che saremmo giunti immediatamente alla soluzione.
Perché la scienza funziona così bene? E come può aiutarci a distinguere tra i fatti e le fantasie? E può tornarci utile anche per navigare più tranquilli sul web, riconoscendo ed evitando le bufale? Tante ottime domande, partite davvero con il piede giusto! Iniziamo dalla prima…
1. A. EINSTEIN, Il mondo come io lo vedo, Newton Compton Editori 2016.
2

Come conosciamo il mondo?

Nel 1633 Galileo Galilei, fisico, astronomo, filosofo e matematico di origini pisane, finisce sotto accusa a Roma: la Santa Inquisizione lo vuole processare perché egli sostiene con entusiasmo l’idea dell’astronomo polacco Mikołai Kopernik (Niccolò Copernico), secondo cui la Terra non sarebbe immobile al centro dell’Universo, come ritenuto vero da almeno duemila anni, ma ruoterebbe attorno al Sole.
Galileo cerca di spiegare che quella non è solo un’idea, ma è un dato di fatto: lui ha potuto rendersene conto osservando il movimento degli astri attraverso il suo cannocchiale. Egli mette così il cannocchiale a disposizione di chiunque voglia provare e accertarsi di persona di come stanno le cose. Ma l’Inquisizione non vuole provare: l’Inquisizione sa già di avere ragione per l’autorità che le compete e per quanto affermato nelle Scritture, dove si chiarisce tra l’altro che «la Terra sta in eterno» e «il Sole nasce e tramonta». Dunque, Galileo deve per forza sbagliarsi. Così viene accusato di eresia e costretto a rimangiarsi le sue affermazioni se non vuole ritrovarsi in prigione o, peggio, bruciato sul rogo. Solo trentatré anni prima, il filosofo Giordano Bruno era stato arso vivo, accusato di eresia, per avere sostenuto, tra altre cose, la stessa idea di Galileo.
Ma qual era la colpa dell’astronomo pisano? Quella di avere impiegato un nuovo modo per conoscere il mondo e la natura che ci circonda: un modo a cui nessuno era abituato fino a quel momento. Un modo che si chiama scienza.
In effetti, ogni giorno, ciascuno di noi raccoglie informazioni sulla realtà e sul mondo utilizzando strumenti diversi dalla scienza. Strumenti che, in parte, sono disponibili oggi così come lo erano nell’antichità. Nel capitolo precedente, vi chiedevo di provare a elencare tutti i modi che abbiamo a disposizione per conoscere ciò che ci circonda. Proviamo a individuare almeno i principali.

L’autorità

Possiamo credere che qualcosa sia vero perché ce lo dice qualcuno che rispettiamo o che riteniamo un’autorità. Crediamo al governo che ci dice di guidare l’auto con la cintura allacciata perché così si riducono i danni in caso di incidente. Crediamo ai genitori che ci dicono che uscire di casa, in inverno, con i capelli bagnati probabilmente ci farà ammalare. Crediamo agli insegnanti che ci dicono che se non studiamo quasi certamente finiremo per essere bocciati…
Oppure crediamo che Ottaviano Augusto fu un imperatore di Roma perché lo leggiamo sui libri di storia; crediamo che Mosè aprì il Mar Rosso per fare fuggire gli ebrei perché è scritto nella Bibbia, crediamo che l’Inter o la Juve abbiano vinto il campionato perché lo dice la tv, oppure crediamo che l’influencer di turno sia innamorato perché lo abbiamo visto su TikTok.
Tutte queste fonti di informazioni e notizie, i genitori, il governo, gli insegnanti, i libri, i testi sacri, i giornali, la televisione o il web, sono considerate abitualmente autorità riconosciute.
E, spesso, bisogna riconoscere che le informazioni che raccogliamo attraverso le autorità sono effettivamente corrette. Ma, tante volte, le autorità sono in disaccordo tra loro e, non di rado, si sbagliano completamente.
Pensiamo al povero Galileo. Le autorità ecclesiastiche dicevano che la Terra era al centro dell’Universo perché così diceva la Bibbia. Ma non solo, lo diceva anche la filosofia. Così, infatti, aveva dichiarato il grande filosofo greco Aristotele duemila anni prima e, poiché tutti al tempo consideravano Aristotele uno dei più grandi pensatori dell’umanità, se non il più grande, sarebbe stato assurdo mettere in dubbio le sue parole.
Fu Averroè, filosofo, medico e astronomo arabo di Spagna, a usare la locuzione latina ipse dixit, cioè “lui stesso l’ha detto”, per indicare che ciò che Aristotele affermava in forma scientifica (anche se allora questo termine non era ancora in uso e, dunque, si sarebbe detto: in forma filosofica), e che secondo Averroè corrispondeva a quanto esposto nel Corano, andava accettato alla lettera.
Ma Aristotele, per quanto fosse saggio e intelligente, era solo un uomo del IV secolo a.C. e, soprattutto, ragionava unicamente in via teorica, non aveva mai cioè accertato che quanto affermava fosse proprio vero nella realtà. Fare esperimenti a quel tempo, infatti, era considerato… una perdita di tempo inutile.
Galileo, oltre che Copernico, disponevano invece di prove empiriche e strumenti teorici più avanzati di quelli dell’astronomia del IV secolo a.C. Lo stesso Aristotele, a dirla tutta, era a suo modo un cultore d...

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