La vita quotidiana a Versailles nei secoli XVII e XVIII
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La vita quotidiana a Versailles nei secoli XVII e XVIII

Rituali, intrighi, feste nella grande reggia

Jacques Levron

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La vita quotidiana a Versailles nei secoli XVII e XVIII

Rituali, intrighi, feste nella grande reggia

Jacques Levron

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La reggia di Versailles nasce da una grandiosa visione di Luigi XIV, deciso a raggruppare intorno a sé i potenti della nobiltà francese. E per realizzare il desiderio del Re Sole, dopo anni di ampliamenti e ristrutturazioni, il vecchio maniero di campagna fu trasformato in un enorme carro trionfale. Nel 1682 l'intera corte sì trasferì a Versailles: un palazzo composto da 299 alloggi, 1.252 stanze e 152 appartamenti riservati. Con i suoi 20.000 abitanti, la reggia e il parco diventarono una capitale in miniatura, un microcosmo composto da nobili, cortigiani, mercanti al seguito, fornitori, giardinieri, dame, principi di sangue, la famiglia del re, e infine il re stesso. In questo luogo di meraviglie, i cortigiani si susseguono come i personaggi di un balletto ben organizzato: chi porge al re la camicia, chi sorveglia la sua toilette, chi si occupa dell'argenteria, chi cerca di introdursi al ballo della sera. Le giornate passano tra battute di caccia, pranzi, passeggiate e circoli, nel lusso sfrenato che condusse irrimediabilmente agli anni violenti della Rivoluzione. Un resoconto accuratissimo, che ci permette di rinnovare la tradizione più curiosa dell'epoca, a Versailles infatti era ammessa la libera presenza del pubblico, e adesso come allora, questo libro ci consente di passeggiare nella maestosa Galleria degli Specchi, curiosare tra le stanze, e introdurci nelle vite di ricchi personaggi - persino in quella del re di Francia.

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Information

Publisher
BUR
Year
2017
ISBN
9788858689639

X

Gusti e disgusti

Poco dopo il ritorno del re, Narbonne scrive, enumerando gli abitanti di Versailles: «Nel castello e dentro i suoi recinti, principi, signori, ufficiali e domestici, 4000 persone». Questa cifra non comprende né l’organizzazione militare né tutti coloro che sono alloggiati nelle dipendenze, come il Grand Commun, le scuderie e il canile. Ma pare difficilmente accettabile. Per immenso che sia il palazzo, sembra impossibile che contenga una tal massa di gente. È probabile che Narbonne si sia accontentato di una cifra approssimativa.
Gli alloggi sono sempre rari a Versailles. I proprietari, scottati una prima volta, pensano soltanto a trarre il miglior partito dalle locazioni che concedono. Gli affittuari cercano di compensarsi, subaffittando una camera a caro prezzo. E tutti si lamentano.
La nobiltà reputa necessario possedere un palazzo in città. Così, intorno al castello, le costruzioni si rinnovano o si trasformano. Il nuovo quartiere Saint-Louis si popola. Vi trovano asilo soprattutto ufficiali della corte, musicisti e artigiani.
Quello di ottenere un appartamento nel palazzo resta un favore molto ricercato. Ma Luigi XV non può accontentare tutti i postulanti. Egli la subisce, questa corte, e ne è tiranneggiato. Per fortuna, vi sono quelli che cadono in disgrazia o si sono comportati in una maniera che è dispiaciuta. Quando il re pronunzia la terribile condanna: «Quest’uomo non avrà mai un alloggio, finché io vivrò» allo sfortunato non rimane che da scomparire.
Sorgono gelosie, rivalità. Nel dicembre del 1743, Luigi accorda a Maupeou, primo presidente del parlamento di Parigi, un alloggio nel castello. «È il primo che abbia avuto questo favore» scrive Barbier, che aggiunge: «Questo individuo trattato come un ministro deve il suo posto al credito del conte di Maurepas». Perché a Versailles non viene presa nessuna decisione senza che se ne ricerchi il perché, chi sia intervenuto e quale secondo fine nasconda.
Qualche anno dopo, la marchesa di Pompadour, in un primo tempo sistemata al secondo piano, in uno di quei piccoli appartamenti che ha arredato in modo così delizioso, trama per farsi trasferire al pian terreno. Nonostante la sua macchina volante, un vero e proprio ascensore azionato a mano, essa si affatica nello scendere e salire le scale. Per compiacerla, il re le concede un appartamento situato vicino alla cappella, e occupato fino a quel momento dalla contessa di Tolosa e dal duca di Penthièvre. L’appartamento è diviso in tre sezioni. Il duca e la duchessa di Penthièvre ne conserveranno la prima, la contessa di Tolosa disporrà soltanto di due salottini, la marchesa ottiene il resto. «Tutto è stato diviso, discusso, spezzettato» scrive Luynes «e ognuno è scontento.» La contessa di Tolosa rifiuta di dormire nelle due stanzette che le sono state lasciate, e le tiene soltanto per ricevervi il re.
In maggioranza, i gran signori alloggiati nel palazzo non vedono più altro, in questo vantaggio, che un privilegio, una gloriosa testimonianza dell’amicizia del re. Hanno un appartamento, ma non vi abitano sempre. Le stanze di cui dispongono servono per ricevere gli amici, cambiarsi d’abito, concedersi qualche momento di riposo. Alla sera, preferiscono ritornare sia nei loro palazzi di Versailles, sia a Parigi. Forse che Luigi XV non ne offre loro l’esempio, scappando da Versailles quando ha voglia di divertirsi?

Uno stile nuovo

Mentre, ai tempi di Luigi XIV, l’idea fissa della nobiltà era di non lasciare mai la corte, e di accalcarsi in ogni ora del giorno intorno alla persona del re, a questo punto i cortigiani vanno a Versailles solamente per dovere. Dai grandi ufficiali della Corona, duchi e pari di Francia, i quali sono obbligati ad assistere a certe cerimonie, fino ai più modesti valletti di camera, portatori di seggetta o addetti al riscaldamento, tutti hanno una loro funzione nel palazzo. Il gentiluomo inutile e senza attribuzioni è completamente scomparso. Inoltre, quando il servizio è terminato, ognuno si affretta a ritornare a casa sua.
Per essere ammessi nella scia del sovrano e farne abitualmente parte occorre essere stati presentati. La scena si svolge sempre nella stessa maniera. L’aspirante, si tratti di un uomo o di una donna, deve avere un padrino o una madrina. All’ora stabilita la candidata – quando è donna – con a fianco la madrina e le dame d’onore, viene introdotta nel gabinetto del re. Il re s’inchina e pronunzia qualche parola. L’eletta risponde arrossendo. Le è stata raccomandata la banalità. Altra riverenza, poi il gruppetto si ritira. Lo stesso cerimoniale si ripete presso la regina, che riceve nella sua camera. Altri inchini rituali, altri dialoghi. Maria Leszczynska, cui non manca l’arguzia, qualche volta si diverte a sconcertare la sua interlocutrice. Alla frase insignificante e prevista, sostituisce una domanda inopinata. Quando Jeanne-Antoinette Poisson, appena elevata al rango di marchesa di Pompadour, le viene presentata, il 14 settembre del 1745, la regina si compiace di deludere tutte le speranze dei cortigiani, i quali si aspettavano qualche vago complimento sull’abito della favorita: «Datemi notizie di Madame de Saissac [essa era una delle amiche della marchesa], sono stata molto contenta di averla incontrata qualche volta a Parigi».
Madame de Pompadour, commossa e turbata, risponde con poche parole. La situazione, bisogna ammetterlo, era delicata, tanto per l’amante quanto per la regina. E si chiude con questa dichiarazione di fedeltà da parte della favorita: «Madame, io sono terribilmente ansiosa di piacervi!».
Poi la marchesa s’inchina profondamente, per baciare il lembo della veste regale, dopo essersi tolta il guanto con una tale energia, osserva Luynes, da spezzare il braccialetto che portava, e farlo rotolare sul tappeto. I cortigiani si sparpagliano per le gallerie, commentando l’avvenimento.
Queste «presentazioni» non costituiscono semplici formalità, richieste da un’etichetta antiquata, un’etichetta di cui si lamentano tutti; a tal punto che Dufort de Cheverny, incaricato di introdurre gli ambasciatori e costretto da questa sua funzione all’osservanza di simili riti minuziosi, li critica nei suoi Mémoires. Dopo essere stati presentati, il gentiluomo e la dama di qualità hanno il diritto di partecipare agli «onori di corte».
Quest’istituzione non è nuova, ma dal 1732, per ordine di Luigi XV, ha assunto un carattere più regolare, più ufficiale. Chiunque sia ammesso agli onori di corte, dopo aver subito la prova della presentazione, gode di parecchi privilegi. Assiste alle feste del palazzo, entra a far parte delle «cerchie», è invitato ai balli e ai ricevimenti. Può essere scelto per le piccole cene di Sua Maestà. Il caso è raro, tuttavia Luigi XV accoglie soltanto un piccolo numero di amici, e si vede un principe di Croÿ tremare di emozione, nella speranza che il re, uscendo dal suo gabinetto, getti uno sguardo su di lui. Eppure Croÿ non ha di che lagnarsi, perché spesso partecipa alle piccole cene. Quanti cortigiani non hanno questa fortuna!
Un altro privilegio: l’ammissione nelle carrozze del re, per coloro che sono stati ricevuti. Quando non risiedono più a Versailles, i cortigiani devono fare la spola, quasi quotidianamente, tra la capitale e la città del re. Sulla strada di Parigi c’è un intenso traffico di vetture di ogni categoria. Che soddisfazione, avere il diritto di salire su una delle carrozze contrassegnate dalle armi di Sua Maestà! Che gioia ammucchiarsi in diciotto o venti persone in una delle «gondole» – vetture a dodici posti – che seguono, non senza rischi per gli occupanti, la caccia del re!
Ma agli onori di corte non si è ammessi senza referenze. Bisogna avere tutte le carte in regola, o sangue blu. Nei registri tenuti dal genealogista ufficiale sono iscritti solamente coloro che hanno fornito le prove di appartenere alla nobiltà fin dall’anno 1400. Clairembault, poi Chérin, i genealogisti, sono censori severissimi, e rifiutano implacabilmente i titoli sospetti. È vero che in qualsiasi momento il re può, per grazia speciale, accordare dispense. E lo fa, appunto, a favore di Jeanne-Antoinette Le Normant d’Étioles (nata Poisson), la quale sarebbe assolutamente incapace di vantare una nobiltà vecchia di... quattro secoli, quando la sua non ha nemmeno quattro anni. Lo strappo alla regola è tanto esorbitante... quanto spiegabile. Altre famiglie godono del favore del re, il quale intende ricompensare così uomini devoti che gli prestano servizio.
La regolamentazione degli onori, tuttavia, ha limitato il numero delle persone che frequentano la corte.

... In questo paese

Ma nonostante questo l’affollamento, al castello, rimane spaventoso. Ogni gentiluomo è scortato da lacchè e da servi addetti alle portantine. Le gallerie sono ingombre di valletti che, quando un gran personaggio è annunziato, si precipitano ad aprire le porte. Le regole delle precedenze, che i vecchi cortigiani intendono conservare, aggravano ulteriormente le difficoltà di circolazione. Per recarsi dalla regina, una principessa del sangue deve scendere dalla sua portantina, entrando nella sala delle guardie, oppure è autorizzata ad arrivare fino all’anticamera, privilegio riservato, come principio, soltanto alle Figlie e alle Nipoti di Francia? Luynes ne discute con serietà. La principessa sarà respinta... ma i mendicanti invadono le entrate degli appartamenti della delfina, perché sotto Luigi XV la polizia non è organizzata meglio che durante il regno del suo avo. I «mercanti al seguito della corte» continuano a occupare le gallerie del pian terreno. Le botteghe e le baracche ostentano la loro architettura fragile quanto sgraziata nel primo cortile del castello, lungo le facciate. Certe, addossate al muro di un corpo di guardia, bloccano le finestrelle delle latrine, intensificando così il fetore e la sporcizia del posto.
Le bancarelle dei pubblici scrivani sono nell’interno del palazzo, e tra loro s’insinuano elementi sospetti. Il gran prevosto, Louis de Bouchet, marchese di Sourches, deve prendere provvedimenti. È stato scoperto che costoro inseriscono parole equivoche nei loro scritti, e ricopiano i libelli che ricevono da gente maligna. Si vieta quindi loro di trascrivere i testi proibiti, sotto minaccia di punizioni corporali.
Per effetto di questo nuovo stile di vita che regna a Versailles, i gruppi e le consorterie si sono moltiplicati. Le invidie, le gelosie sono feroci, e i cortigiani si lanciano reciprocamente perfide accuse. Informato dei guasti causati da queste rivalità, Luigi XV preferisce chiudere gli occhi. Dimostra una stanca indifferenza.
È diminuito il timore che la persona del re ispirava. I cortigiani non si tolgono più il cappello, passando davanti al letto di parata di Luigi XIV. E capita anche che litighino in presenza del re, il quale deve intervenire per calmare i loro furori. Alla tavola da gioco del re – whist o tric-trac – il duca di Bouillon pretende di essere l’unico ad avere il diritto di offrire le carte a Sua Maestà. Il duca d’Aumont afferma che l’onore di far tirare spetta a lui. I due duchi si bisticciano con tanta asprezza, che Luigi XV impone loro il silenzio. E le dame di qualità dimenticano l’etichetta davanti alla regina. Ma Maria Leszczynska, nonostante la sua bontà, sa c...

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