Moon Lake
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Moon Lake

Joe R. Lansdale, Luca Briasco

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Moon Lake

Joe R. Lansdale, Luca Briasco

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«La luna è alta. L'acqua è alta. Anime oscure vagano sulla terra e piangono. È una vecchia poesia. Ora so cosa significa», sono le ultime parole che Daniel Russell sente pronunciare a suo padre, in una notte del 1968, poco prima di lanciarsi con la macchina nel Moon Lake. Dieci anni dopo, quando l'auto e i resti del padre vengono recuperati, scopre qualcosa di scioccante, destinato a scuotere la sua vita e quella dell'intera cittadina in cui vive, fino a toccarne il nucleo piú marcio. Per tutto quel tempo la verità era rimasta nascosta sotto lo scintillio della luna. Ma adesso è giunto il momento per Daniel di dare un senso al proprio dolore. «Davanti a noi scintillano allegri tutti i tratti caratteristici del migliore Lansdale: il suo umorismo, l'originalità, l'inaspettato, i personaggi secondari indimenticabili e il suo Texas portentoso».
Francesca Pellas, «tuttolibri - La Stampa»

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2022
ISBN
9788858438756
Parte seconda

Il ruggito delle mosche

1978
Non c’era niente al buio che non fosse già lí quando le luci erano accese.
ROD SERLING

11.

Quando il carro attrezzi tirò fuori da Moon Lake la macchina di mio padre, dieci anni dopo, ero a casa a lavorare a un articolo per un quotidiano.
Stavo scrivendo di una povera donna che era morta a casa sua ed era stata parzialmente mangiata dai suoi due cani. L’avevano trovata in una casa piena di merda di cane e pile di vecchi giornali. Entrambi i cani erano piccoli e carini, e indossavano cappottini rossi con il ricamo «Il piccolino della mamma» cucito con fili rossi e bianchi. Secondo il poliziotto che era entrato dalla finestra e li aveva trovati, i cagnolini avevano del sangue sui denti.
Quando il poliziotto aveva scoperto il corpo, era talmente ricoperto di mosche che aveva pensato fosse una coperta elettrica nera che ronzava e sfrigolava, ma quando si era avvicinato e aveva spaventato gli insetti, quelli si erano alzati in un fruscio di ali che era rimbombato come il ruggito di un leone nel corridoio stretto dove si trovava il cadavere. Poiché era un uomo religioso, il poliziotto aveva pensato che l’anima avesse lasciato il corpo attraverso le mosche. Interessante.
Stavo per concludere il pezzo quando ricevetti la chiamata. Mi ero prefissato di porre l’accento sull’impegno della donna per i diritti degli animali, e di tralasciare la parte su come i suoi animali domestici affamati l’avessero usata per fare uno spuntino e i dettagli disgustosi sul ronzio delle mosche.
Comprendevo quello che avevano fatto i cani. Se fossi rimasto intrappolato in una casa e non avessi avuto pollici e dita per chiamare aiuto o una pizzeria, ne avrei mangiato il corpo anche io. Ma i lettori non volevano sapere una cosa del genere, non da un giornale di una piccola città.
Fu il vecchio sceriffo Dudley a fare la telefonata. Era ancora in servizio, anche se era passato al corpo di polizia di New Long Lincoln, ed era diventato il capo. Mi disse che avevano trovato i resti di mio padre, spappolati e sparpagliati dall’acqua e dal tempo sui sedili anteriori e posteriori, e che, nel bagagliaio, c’erano delle valigie e altri resti – cioè ossa e carne avvizzita – avvolti in una coperta che era diventata una poltiglia di stoffa e fango. Credevano che quei resti appartenessero a mia madre.
Fu a dir poco sconvolgente.
All’inizio, quando fui invitato ad andare a sentire cos’avevano da dire, e a organizzare una sorta di funerale, ero confuso e riluttante.
Non che temessi di perdere i pochi soldi che guadagnavo lavorando part time per il giornale: di recente avevo venduto la sinossi di un secondo romanzo e ne avevo ricavato abbastanza da stare tranquillo per circa sei mesi. Il fatto era che, a quel punto, dopo il dolore e il lutto di tutti quegli anni, avevo raggiunto un certo distacco. Era una parte del mio passato che ormai si era nascosta tra le erbacce, e anche se non era morta di certo era ferita, e per lo piú immobile.
Avevo scritto una poesia sul mio passato. È ancora inedita.
La cosa che mi preoccupava di piú era che per andare a New Long Lincoln avrei dovuto annullare la mia sessione di terapia. Non mi vedevo con un vero terapista, ma con un allenatore di boxe all’Ymca.
Stavo diventando piuttosto bravo e, come avevo già imparato dal signor Candles, la boxe mi aiutava a trovare un equilibrio. Era la mia personale terapia. Avevo anche imparato a proteggermi con lo scetticismo e, a volte, con una lingua tagliente.
Terminai il pezzo sulla donna parzialmente mangiata dai suoi cani, scrissi mezza pagina del romanzo che avevo iniziato, provai a scrivere qualche poesia e come al solito mi fecero tutte schifo. Ma scrivere, come la boxe, allentava la pressione sulla mente, a prescindere da cosa stessi scrivendo. Mi chiedevo se gli antichi praticassero buchi nel cranio per far uscire quel genere di pressione, pensando che cosí potesse funzionare, anche se i pazienti si ritrovavano con un’infezione e una nuova ossessione per i cappelli. Tuttavia la voglia di fare quei buchi doveva essere stata forte.
Andai al lavoro con il mio articolo in una cartellina e, una volta entrato nell’edificio in cui si trovava la sede del giornale, l’aria diventò nauseante, calda e appiccicosa.
Saul Albright, il proprietario del giornale, era l’unico presente. Aveva la faccia rossa e i capelli bianchi, era magro come un modello affamato e affilato come una spada da samurai. Sembrava sempre sull’attenti, anche quando era seduto, ma quel giorno mi parve che si fosse rimpicciolito. Era in piedi, fuori dalla porta del suo ufficio, appoggiato allo stipite. I vestiti gli pendevano addosso come se fossero appoggiati sullo schienale di una sedia. Sembrava stanco e malaticcio.
– Daniel, – disse.
Strisciò nel suo ufficio e io lo seguii. Si infilò dietro la scrivania come faceva sempre, stendendo le lunghe gambe e piazzandosi le mani in grembo. Poggiai la cartellina con il mio articolo sul bordo della scrivania. Lui la guardò tristemente, come un uomo affamato e a dieta che guarda un dolce sapendo di non poterlo mangiare.
– Ho ricevuto una telefonata, stamattina. Dal dipartimento di polizia di New Long Lincoln, – dissi, poi sintetizzai cosí: – Dovrò andare lí per qualche giorno.
– Oh, che cosa orribile, Danny.
– Credo di sí.
– Certo che devi andare.
La consapevolezza che mio padre avesse ucciso mia madre significava che la notte in cui eravamo andati a Moon Lake e avevamo parcheggiato sul ponte, prima di giocare al sottomarino, il corpo di lei era stato nel bagagliaio. Avevo aiutato mio padre a caricare l’auto e non riuscivo a capire come avesse fatto a mettere lí dentro il cadavere di mia madre senza che me ne accorgessi, anche se una delle valigie era abbastanza grande da contenerla.
– Dannazione, – dissi, – fa caldissimo qui. Dove sono gli altri?
– Ho spento l’aria condizionata. Dopo toccherà all’elettricità e all’acqua. Non è il momento migliore per darti questa notizia. L’ho già detto agli altri: sono esausto, e abbastanza vecchio da ricordare quando riuscivo ancora a ricordare. Ora invece quando vado a dormire metto i pantaloni in frigorifero.
Non ci credevo, ma era tipico di Saul fare mille giri prima di dirti qualcosa. Faceva sempre cosí.
– Chiudo il giornale, Daniel. Volevo chiamarti ma poi ho deciso di dirtelo di persona. Sarai tu, come lo Spaventapasseri del Mago di Oz, a mancarmi di piú.
– Perché chiudi?
– Nessuno lo legge e non lo usano piú neanche per avvolgere le cose. Ho pensato fosse il caso di venderlo. Ma a chi? Il giornale di Tyler e il telegiornale si sono presi tutta la nostra piccola città. Non guadagno nulla. Ho arretrati da pagare per quasi tutto. Ho chiesto un prestito a Tizio per pagare Caio, e Tizio è morto. Oggi è l’ultimo giorno.
Stamattina mi sono alzato, ho controllato i miei debiti, ho pensato che forse sarei riuscito a pagarli tutti, ma l’idea di lottare per un altro mese, indossando i pantaloni freddi dal frigo, non mi è parsa piú tanto allettante. Ho il tuo assegno. Cazzo, Danny. Coi soldi che guadagni qui ti puoi comprare una torta di compleanno e un cappellino per la festa. Non ne hai bisogno, sei uno scrittore eccetera.
– Sentivo di averne bisogno.
– Forse come hobby, ma niente di piú –. Aprí il cassetto della scrivania, tirò fuori l’assegno e me lo diede.
– Senti, se non puoi permettertelo… – dissi.
– Non essere sciocco. Non posso permettermi di tenere in piedi il giornale, ma questo posso farlo. Vieni a trovarmi, di tanto in tanto. Non qui, ovviamente. Vieni a casa mia, ci mettiamo i pantaloni ghiacciati insieme. Ne terrò un paio pronto per te. Mi dispiace per tuo padre e tua madre. Non so cosa dire, davvero.
– Non c’è molto da dire. È venuto fuori che mio padre ha ucciso mia madre, poi ha provato a uccidere anche me. Penso di aver già detto abbastanza.
– Non conosci tutta la storia, Danny.
– La mamma non si è infilata nel bagagliaio e non è morta da sola.
– Credo di no. Ma sei un giornalista, anche se lavori per uno stupido quotidiano di carta che oggi muore. Sei abbastanza esperto per capire che ciò che sembra vero all’inizio potrebbe non esserlo. Le supposizioni possono fregare tutti.
– Ci sono cose talmente ovvie che il detto sul fumo e l’arrosto non vale: sarebbe piú giusto dire che non c’è arrosto senza arrosto.
Saul si alzò in piedi e allungò una mano sulla scrivania. Gliela strinsi.
– Se vai a New Long Lincoln e decidi di restarci, potresti aver bisogno di un lavoro. Conosco la donna che gestisce il giornale locale. Christine Humbert. È piú grosso di questo. Potrebbe persino essere in grado di pagarti abbastanza da permetterti di andare al lavoro in macchina ogni mattina. Potrei mettere una buona parola per te.
– Non ho mai detto che voglio restare lí.
– Vero. Ma ti conosco abbastanza da capire quando qualcosa ti incuriosisce sul serio, e in questo caso la tua curiosità è legata anche a motivi personali. Senti, chiudo tutto e torno a casa, domani vado a pesca. Non l’ho mai fatto, quindi ho pensato che fosse ora di cominciare. Certo, prima dovrò procurarmi l’attrezzatura, e forse non ce la faccio per domani. E ora che ci penso è una gran seccatura pescare pesci e pulirli.
– Immagino che non stamperai il necrologio che ho scritto.
– Temo di no. Mi spiace, ma la povera donna riposerà nella sua tomba senza pubblicità. O almeno, non saremo noi ad assicurargliela.
– Che tristezza.
– Va al di là delle mie possibilità adesso, Danny, – Saul stava già girando attorno alla scrivania, diretto alla porta. – Andiamo.
Quando uscimmo, mentre lui girava la chiave nella serratura, dissi: – Mi mancherà questo posto.
– Abbiamo trascorso bei momenti, vero? Se decidi di non proporti a un altro giornale, approfitta di questo tempo libero. Sei un ragazzo straordinario. Sei arrivato qui senza una laurea in giornalismo, perché avevi già scritto e venduto un romanzo. Non succede quasi mai a uno della tua età. Sei un’anima antica. Una volta sognavo anche io di scrivere un libro. E ancora ci penso. Ma so che non lo scriverò mai. Tu però ne hai già pubblicato uno e venduto un altro. Dimentica questo giornalismo part time e finisci il tuo libro.
– Grazie di tutto, Saul.
Tornai a casa e cominciai a fare le valigie.

12.

Quella notte dormii a casa, anche se non sono sicuro che girovagare e sonnecchiare sul divano tra un bicchiere d’acqua e dei cracker ricoperti di burro d’arachidi conti davvero come sonno.
La mattina dopo faceva cosí caldo che sembrava di stare nella stanza di un motel da quattro soldi all’inferno. Portai la valigia e la macchina da scrivere all’auto e le infilai nel bagagliaio, e alla fine ero fradicio di sudore. Avevo una pila di musicassette sul sedile che speravo mi avrebbero intrattenuto durante il viaggio per New Long Lincoln, ma la verità era che non avevo molta voglia di ascoltare musica.
Guardai la casa blu di mia zia che avevo ereditato alla sua morte e in quel preciso istante capii che l’avrei venduta. La zia era morta da un paio d’anni, ormai: infarto al supermercato, mentre in punta di piedi cercava di prendere una lattina di fagioli su uno scaffale. Un tizio che era lí, anche lui alla ricerca dei legumi, aveva visto tutto. Disse che la lattina di fagioli era caduta dopo che lei l’aveva sfiorata e che l’aveva colpita dritta in testa, ma mia zia si stava già piegando su sé stessa. Quel tentativo di prendere i fagioli era stato piú di quanto il suo cuore riuscisse a sopportare, e cosí era esploso come un palloncino d’acqua. La seppellii due giorni dopo, niente funerali in chiesa, solo un semplice servizio funebre con me e il proprietario della camera mortuaria, i suoi due becchini e un solenne scoiattolo che assisteva su un albero nelle vicinanze.
Non volevo piú nulla di ciò che si t...

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