Quando il carro attrezzi tirĂČ fuori da Moon Lake la macchina di mio padre, dieci anni dopo, ero a casa a lavorare a un articolo per un quotidiano.
Stavo scrivendo di una povera donna che era morta a casa sua ed era stata parzialmente mangiata dai suoi due cani. Lâavevano trovata in una casa piena di merda di cane e pile di vecchi giornali. Entrambi i cani erano piccoli e carini, e indossavano cappottini rossi con il ricamo «Il piccolino della mamma» cucito con fili rossi e bianchi. Secondo il poliziotto che era entrato dalla finestra e li aveva trovati, i cagnolini avevano del sangue sui denti.
Quando il poliziotto aveva scoperto il corpo, era talmente ricoperto di mosche che aveva pensato fosse una coperta elettrica nera che ronzava e sfrigolava, ma quando si era avvicinato e aveva spaventato gli insetti, quelli si erano alzati in un fruscio di ali che era rimbombato come il ruggito di un leone nel corridoio stretto dove si trovava il cadavere. PoichĂ© era un uomo religioso, il poliziotto aveva pensato che lâanima avesse lasciato il corpo attraverso le mosche. Interessante.
Stavo per concludere il pezzo quando ricevetti la chiamata. Mi ero prefissato di porre lâaccento sullâimpegno della donna per i diritti degli animali, e di tralasciare la parte su come i suoi animali domestici affamati lâavessero usata per fare uno spuntino e i dettagli disgustosi sul ronzio delle mosche.
Comprendevo quello che avevano fatto i cani. Se fossi rimasto intrappolato in una casa e non avessi avuto pollici e dita per chiamare aiuto o una pizzeria, ne avrei mangiato il corpo anche io. Ma i lettori non volevano sapere una cosa del genere, non da un giornale di una piccola cittĂ .
Fu il vecchio sceriffo Dudley a fare la telefonata. Era ancora in servizio, anche se era passato al corpo di polizia di New Long Lincoln, ed era diventato il capo. Mi disse che avevano trovato i resti di mio padre, spappolati e sparpagliati dallâacqua e dal tempo sui sedili anteriori e posteriori, e che, nel bagagliaio, câerano delle valigie e altri resti â cioĂš ossa e carne avvizzita â avvolti in una coperta che era diventata una poltiglia di stoffa e fango. Credevano che quei resti appartenessero a mia madre.
Fu a dir poco sconvolgente.
Allâinizio, quando fui invitato ad andare a sentire cosâavevano da dire, e a organizzare una sorta di funerale, ero confuso e riluttante.
Non che temessi di perdere i pochi soldi che guadagnavo lavorando part time per il giornale: di recente avevo venduto la sinossi di un secondo romanzo e ne avevo ricavato abbastanza da stare tranquillo per circa sei mesi. Il fatto era che, a quel punto, dopo il dolore e il lutto di tutti quegli anni, avevo raggiunto un certo distacco. Era una parte del mio passato che ormai si era nascosta tra le erbacce, e anche se non era morta di certo era ferita, e per lo piĂș immobile.
Avevo scritto una poesia sul mio passato. Ă ancora inedita.
La cosa che mi preoccupava di piĂș era che per andare a New Long Lincoln avrei dovuto annullare la mia sessione di terapia. Non mi vedevo con un vero terapista, ma con un allenatore di boxe allâYmca.
Stavo diventando piuttosto bravo e, come avevo giĂ imparato dal signor Candles, la boxe mi aiutava a trovare un equilibrio. Era la mia personale terapia. Avevo anche imparato a proteggermi con lo scetticismo e, a volte, con una lingua tagliente.
Terminai il pezzo sulla donna parzialmente mangiata dai suoi cani, scrissi mezza pagina del romanzo che avevo iniziato, provai a scrivere qualche poesia e come al solito mi fecero tutte schifo. Ma scrivere, come la boxe, allentava la pressione sulla mente, a prescindere da cosa stessi scrivendo. Mi chiedevo se gli antichi praticassero buchi nel cranio per far uscire quel genere di pressione, pensando che cosĂ potesse funzionare, anche se i pazienti si ritrovavano con unâinfezione e una nuova ossessione per i cappelli. Tuttavia la voglia di fare quei buchi doveva essere stata forte.
Andai al lavoro con il mio articolo in una cartellina e, una volta entrato nellâedificio in cui si trovava la sede del giornale, lâaria diventĂČ nauseante, calda e appiccicosa.
Saul Albright, il proprietario del giornale, era lâunico presente. Aveva la faccia rossa e i capelli bianchi, era magro come un modello affamato e affilato come una spada da samurai. Sembrava sempre sullâattenti, anche quando era seduto, ma quel giorno mi parve che si fosse rimpicciolito. Era in piedi, fuori dalla porta del suo ufficio, appoggiato allo stipite. I vestiti gli pendevano addosso come se fossero appoggiati sullo schienale di una sedia. Sembrava stanco e malaticcio.
â Daniel, â disse.
StrisciĂČ nel suo ufficio e io lo seguii. Si infilĂČ dietro la scrivania come faceva sempre, stendendo le lunghe gambe e piazzandosi le mani in grembo. Poggiai la cartellina con il mio articolo sul bordo della scrivania. Lui la guardĂČ tristemente, come un uomo affamato e a dieta che guarda un dolce sapendo di non poterlo mangiare.
â Ho ricevuto una telefonata, stamattina. Dal dipartimento di polizia di New Long Lincoln, â dissi, poi sintetizzai cosĂ: â DovrĂČ andare lĂ per qualche giorno.
â Oh, che cosa orribile, Danny.
â Credo di sĂ.
â Certo che devi andare.
La consapevolezza che mio padre avesse ucciso mia madre significava che la notte in cui eravamo andati a Moon Lake e avevamo parcheggiato sul ponte, prima di giocare al sottomarino, il corpo di lei era stato nel bagagliaio. Avevo aiutato mio padre a caricare lâauto e non riuscivo a capire come avesse fatto a mettere lĂ dentro il cadavere di mia madre senza che me ne accorgessi, anche se una delle valigie era abbastanza grande da contenerla.
â Dannazione, â dissi, â fa caldissimo qui. Dove sono gli altri?
â Ho spento lâaria condizionata. Dopo toccherĂ allâelettricitĂ e allâacqua. Non Ăš il momento migliore per darti questa notizia. Lâho giĂ detto agli altri: sono esausto, e abbastanza vecchio da ricordare quando riuscivo ancora a ricordare. Ora invece quando vado a dormire metto i pantaloni in frigorifero.
Non ci credevo, ma era tipico di Saul fare mille giri prima di dirti qualcosa. Faceva sempre cosĂ.
â Chiudo il giornale, Daniel. Volevo chiamarti ma poi ho deciso di dirtelo di persona. Sarai tu, come lo Spaventapasseri del Mago di Oz, a mancarmi di piĂș.
â PerchĂ© chiudi?
â Nessuno lo legge e non lo usano piĂș neanche per avvolgere le cose. Ho pensato fosse il caso di venderlo. Ma a chi? Il giornale di Tyler e il telegiornale si sono presi tutta la nostra piccola cittĂ . Non guadagno nulla. Ho arretrati da pagare per quasi tutto. Ho chiesto un prestito a Tizio per pagare Caio, e Tizio Ăš morto. Oggi Ăš lâultimo giorno.
Stamattina mi sono alzato, ho controllato i miei debiti, ho pensato che forse sarei riuscito a pagarli tutti, ma lâidea di lottare per un altro mese, indossando i pantaloni freddi dal frigo, non mi Ăš parsa piĂș tanto allettante. Ho il tuo assegno. Cazzo, Danny. Coi soldi che guadagni qui ti puoi comprare una torta di compleanno e un cappellino per la festa. Non ne hai bisogno, sei uno scrittore eccetera.
â Sentivo di averne bisogno.
â Forse come hobby, ma niente di piĂș â. AprĂ il cassetto della scrivania, tirĂČ fuori lâassegno e me lo diede.
â Senti, se non puoi permettertelo⊠â dissi.
â Non essere sciocco. Non posso permettermi di tenere in piedi il giornale, ma questo posso farlo. Vieni a trovarmi, di tanto in tanto. Non qui, ovviamente. Vieni a casa mia, ci mettiamo i pantaloni ghiacciati insieme. Ne terrĂČ un paio pronto per te. Mi dispiace per tuo padre e tua madre. Non so cosa dire, davvero.
â Non câĂš molto da dire. Ă venuto fuori che mio padre ha ucciso mia madre, poi ha provato a uccidere anche me. Penso di aver giĂ detto abbastanza.
â Non conosci tutta la storia, Danny.
â La mamma non si Ăš infilata nel bagagliaio e non Ăš morta da sola.
â Credo di no. Ma sei un giornalista, anche se lavori per uno stupido quotidiano di carta che oggi muore. Sei abbastanza esperto per capire che ciĂČ che sembra vero allâinizio potrebbe non esserlo. Le supposizioni possono fregare tutti.
â Ci sono cose talmente ovvie che il detto sul fumo e lâarrosto non vale: sarebbe piĂș giusto dire che non câĂš arrosto senza arrosto.
Saul si alzĂČ in piedi e allungĂČ una mano sulla scrivania. Gliela strinsi.
â Se vai a New Long Lincoln e decidi di restarci, potresti aver bisogno di un lavoro. Conosco la donna che gestisce il giornale locale. Christine Humbert. Ă piĂș grosso di questo. Potrebbe persino essere in grado di pagarti abbastanza da permetterti di andare al lavoro in macchina ogni mattina. Potrei mettere una buona parola per te.
â Non ho mai detto che voglio restare lĂ.
â Vero. Ma ti conosco abbastanza da capire quando qualcosa ti incuriosisce sul serio, e in questo caso la tua curiositĂ Ăš legata anche a motivi personali. Senti, chiudo tutto e torno a casa, domani vado a pesca. Non lâho mai fatto, quindi ho pensato che fosse ora di cominciare. Certo, prima dovrĂČ procurarmi lâattrezzatura, e forse non ce la faccio per domani. E ora che ci penso Ăš una gran seccatura pescare pesci e pulirli.
â Immagino che non stamperai il necrologio che ho scritto.
â Temo di no. Mi spiace, ma la povera donna riposerĂ nella sua tomba senza pubblicitĂ . O almeno, non saremo noi ad assicurargliela.
â Che tristezza.
â Va al di lĂ delle mie possibilitĂ adesso, Danny, â Saul stava giĂ girando attorno alla scrivania, diretto alla porta. â Andiamo.
Quando uscimmo, mentre lui girava la chiave nella serratura, dissi: â Mi mancherĂ questo posto.
â Abbiamo trascorso bei momenti, vero? Se decidi di non proporti a un altro giornale, approfitta di questo tempo libero. Sei un ragazzo straordinario. Sei arrivato qui senza una laurea in giornalismo, perchĂ© avevi giĂ scritto e venduto un romanzo. Non succede quasi mai a uno della tua etĂ . Sei unâanima antica. Una volta sognavo anche io di scrivere un libro. E ancora ci penso. Ma so che non lo scriverĂČ mai. Tu perĂČ ne hai giĂ pubblicato uno e venduto un altro. Dimentica questo giornalismo part time e finisci il tuo libro.
â Grazie di tutto, Saul.
Tornai a casa e cominciai a fare le valigie.