L'idea di mondo musulmano
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L'idea di mondo musulmano

Una storia intellettuale globale

Cemil Aydin, Francesco Alfonso Leccese

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L'idea di mondo musulmano

Una storia intellettuale globale

Cemil Aydin, Francesco Alfonso Leccese

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Quando l'allora presidente americano Barack Obama si recò in visita al Cairo nel 2009, nel pronunciare un discorso rivolto ai musulmani di tutto il mondo replicò un errore compiuto da un'infinità di politici prima di lui: dare per scontata l'esistenza di un'unica comunità musulmana globale. Tuttavia, come Cemil Aydin dimostra in quest'originale ricostruzione, ritenere che un miliardo e mezzo di musulmani costituisca un'unica entità politico-religiosa comporta un grave fraintendimento storico. Come nacque questa convinzione e perché è cosí diffusa? L'idea di mondo musulmano individua le origini intellettuali di una nozione errata e ne spiega la persistente fascinazione esercitata sia sui musulmani sia sui non musulmani. Concepita come antitesi alla civiltà cristiana occidentale, l'idea di mondo musulmano comparve verso la fine del XIX secolo, allorché gli imperi europei dominavano su gran parte di quelle popolazioni. Fin dall'inizio alla sua base vi furono le teorie della supremazia bianca, ma gli stessi musulmani contribuirono alla sua definizione. Aydin evidenzia il ruolo giocato dagli intellettuali musulmani nell'immaginare e delineare una società panislamica idealizzata, che confutasse le tesi dell'inferiorità razziale e di civiltà rispetto all'Occidente. Dopo aver svolto un ruolo fondamentale nella politica del Califfato ottomano, questa concezione sopravvisse alla decolonizzazione e alla Guerra Fredda, acquisendo un rinnovato vigore alla fine del XX secolo. L'idea di mondo musulmano, centrale sia per le ideologie islamofobe sia per quelle panislamiche, continua a stringere l'immaginario globale in una morsa che sarà necessario allentare, al fine di avviare un confronto piú proficuo riguardo alla politica del mondo e delle società contemporanee.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2018
ISBN
9788858429129
Capitolo primo

Una umma imperiale prima del XIX secolo

Il sultano Tipu aveva bisogno di alleanze. Era il 1798 e il sultano di Mysore, nell’India meridionale, voleva espellere dai propri territori la British East India Company, ma non aveva le risorse militari per farlo autonomamente. Quando ricercò l’aiuto dei governanti della Francia, prima la corte reale e in seguito la Repubblica, Tipu parlò di un’alleanza contro un nemico comune, l’Impero britannico. Quando rivolse la stessa richiesta al sultano ottomano Selim III, lo fece appellandosi alla solidarietà musulmana. In aggiunta all’assistenza militare, il prestigio del sostegno ottomano lo avrebbe aiutato a competere con i suoi rivali musulmani della regione.
Tuttavia il sultano di Istanbul era meno disponibile di quanto Tipu sperasse. Il riferimento di Tipu a una religione e a una cultura condivise non poteva distogliere gli Ottomani dai propri interessi strategici, essendo alleati con la Gran Bretagna e la Russia contro Napoleone, che aveva appena invaso l’Egitto ottomano. Al contrario, Selim scoraggiò l’alleanza di Tipu con la Francia e sollecitò la pace con i Britannici. Quando l’anno successivo scoppiò la guerra a Mysore, la religione condivisa di nuovo si rivelò un motivo insufficiente di unità: i soldati britannici conquistarono e depredarono il territorio con la partecipazione di altri sovrani musulmani indiani, come Nizam di Hyderabad, che forní truppe e munizioni.
Come Tipu aveva scoperto a proprie spese, l’idea di una solidarietà musulmana sul piano politico era fallimentare. Le nozioni di umma e di islamicità esistevano, tuttavia, qualunque cosa significassero, ci sarebbero voluti quasi cento anni prima che ispirassero delle narrazioni di un’unità musulmana globale su basi geopolitiche o culturali1.
Tale è stata la situazione degli imperi musulmani per piú di un millennio. Dall’espansione mongola a metà del XIII secolo fino alle guerre napoleoniche, imperatori, re, emiri e sultani musulmani regnarono su centinaia di differenti dinastie euroasiatiche e africane. I sovrani musulmani combatterono tra di loro, talvolta in alleanza con i cosiddetti infedeli, tanto quanto combatterono contro quelli non musulmani2. I moderni sostenitori dell’unità del mondo musulmano, come l’islamista indo-pakistano Abu l-A‘la Mawdudi e il rivoluzionario iraniano Ali Shariati, tendono a interpretare questo periodo storico nel modo che piú conviene ai propri interessi politici. Alcuni adottano un approccio selettivo, magnificando i successi militari degli Ottomani e dei Moghul con l’obiettivo di ispirare una sorta di fervore patriottico. Altri dipingono i sovrani dell’impero cosmopolita come empi, incapaci di riconoscere la necessità di rafforzare la comunità musulmana globale3.
Queste ricostruzioni storiche presuppongono un immaginario politico musulmano condiviso e inalterabile, sebbene sistematicamente abbandonato da sovrani interessati soltanto ad accrescere il proprio potere personale. Le effettive vicende politiche musulmane dal VII al XVIII secolo, tuttavia, raccontano una storia di molteplicità, contestazione e cambiamento, lasciando che l’idea di un mondo musulmano emergesse piú tardi, accanto alla successiva narrazione civilizzazionale dell’Occidente4.

Gli imperi musulmani delle origini: diversità e sintesi.

La nozione di umma prima del XIX secolo era deterritorializzata. Essa incoraggiava le affiliazioni intertribali, le pratiche giuridiche condivise, e una visione escatologica comune – il Profeta Muhammad afferma che, nell’aldilà, riunirà la sua umma di tutte le generazioni che si sono succedute nel tempo – ma non richiedeva uno specifico governo o un luogo sulla carta geografica. I membri della umma non vivevano né in uno stesso territorio né erano sottoposti a un’unica autorità politica.
Anche quando i musulmani ampliarono i territori sotto il loro controllo, l’estensione della umma non era necessariamente in questione. Intere popolazioni in Persia, Nord Africa, Asia centrale e Asia meridionale si convertirono all’Islam, tuttavia non vi fu alcun tentativo da parte dei sovrani musulmani di convertire tutti i sudditi, tanto meno tutta l’umanità. La teologia musulmana non richiede la conversione come prerequisito per la salvezza5. Pertanto l’espansione delle dinastie musulmane non comportò uno zelo missionario sistematico e aggressivo nei confronti delle popolazioni di altre fedi, soprattutto quelle che appartenevano alla Gente del Libro – cristiani ed ebrei.
È in parte una conseguenza di questa disponibilità a permettere alle popolazioni conquistate di conservare le proprie tradizioni che, nel corso della storia, i regni governati dai musulmani fossero cosí eterogenei. Un altro fattore è rappresentato dal comportamento dei musulmani stessi, che seguivano molteplici sentieri spirituali, si affiliavano a svariate scuole giuridiche, parlavano lingue diverse e provenivano da differenti culture. I musulmani delle diverse parti del mondo, erano uniti – dall’educazione, dal commercio, dal pellegrinaggio, dalla politica, dalla fratellanza, non già solo dalla religione e non dalla rivalità comune nei confronti dell’altro non musulmano. Tuttavia l’affiliazione politica e la percezione di sé non erano definite principalmente dall’appartenenza a un blocco religioso e culturale globale6.
Gli scambi tra musulmani che vivevano distanti tra loro presumibilmente può aver generato una solidarietà a livello globale. Testi scritti e narrazioni orali della religione circolavano ovunque. Le madrasa (istituzioni educative) utilizzavano dall’India al Marocco libri di testo simili e istruivano gli studenti nello studio del Corano, degli hadith (tradizioni attribuite a Muhammad), della giurisprudenza, della grammatica e della logica. La shari‘a, il codice legale, era rispettata scrupolosamente dai suoi interpreti, e i giuristi occupavano posizioni amministrative di primaria importanza nei territori dominati dai musulmani. I maestri erano accreditati a insegnare testi specifici, garantendo una linea verticale di connessione con i discepoli a ogni latitudine7. Gli alberi genealogici (shajara) della trasmissione del sapere tratteggiavano una comunità trans-storica di credenti e affiliati. Per esempio, i sayyid e gli sharif, discendenti del profeta Muhammad attraverso la genealogia di al-Hasan e al-Husayn, vissero e impartirono il loro insegnamento in differenti società musulmane, collegandole con il nucleo storico dell’Islam. Perfino i musulmani della Cina, che vivevano sotto il dominio di sovrani non musulmani, vantavano molteplici genealogie che, attraverso numerose generazioni, facevano risalire le loro famiglie fino all’Arabia. I sufi e altri gruppi offrivano sentieri di orientamento spirituale, sociale e personale che potevano essere seguiti ovunque.
Tuttavia i musulmani non si limitavano all’acquisizione dei principî basilari dell’Islam, delle nozioni di devozione filiale, e dei racconti riguardanti la vita del Profeta Muhammad. Essi apprendevano anche della vita di Abramo, Mosè, Noè, Giuseppe, Gesú e Maria, i cui racconti morali sono citati nel Corano. Le élite politiche avevano familiarità con le figure e gli eventi storici dell’Islam cosí come con Alessandro il Grande e Gengis Khan, con le fiabe persiane e i racconti indú. Molti racconti amati dai musulmani, come Dede Korkut, Shahnameh e Saif al-Muluk, non possono essere ricondotti ai testi religiosi. Le storie d’amore, come Layla wa Majnun, erano altrettanto familiari ai musulmani quanto i codici giuridici. La storia d’amore del principe Sayf al-Muluk con la maga Badrul Jamal, la passione irrefrenabile e non corrisposta di Qays per Layla, i leggendari re persiani dello Shahnameh, appartengono tutti a un mondo senza confini civilizzazionali e geopolitici. Alcuni degli eroi musulmani del Dede Korkut si innamorano di donne infedeli, lodandone le virtú. Allo stesso modo, i dottori e i matematici musulmani erano aperti a fonti esterne alla tradizione islamica ed erano orgogliosi del lignaggio della disciplina di cui si occupavano che li metteva in relazione con gli antichi Greci e gli Egiziani, e non facevano mai la semplicistica distinzione dualistica tra Oriente e Occidente.
Le interpretazioni dei testi e delle pratiche religiose, nelle lingue e nei contesti locali, erano differenti8. Perfino all’interno di una tradizione giuridica testuale vi era spazio per molte voci e interpretazioni, impedendo che una sola persona potesse parlare in nome del mondo musulmano e della fede musulmana universale9. È proprio grazie all’eterogeneità dei territori in cui vivevano i musulmani che i viaggiatori ricercavano la conoscenza intellettuale e spirituale in ogni loro parte. Nei loro viaggi condividevano una tradizione cosmopolita della conoscenza. Essi notavano anche profonde differenze tra le comunità musulmane piú remote, nonostante la tradizione della fede condivisa. Dato che non esisteva un’istituzione centrale simile alla Chiesa che unisse i musulmani, non vi era neanche una distinzione tra pratiche ortodosse ed eterodosse.
I musulmani erano distribuiti in una vasta gamma di entità politiche, ciascuna delle quali aveva un proprio atteggiamento verso l’Islam, e che promuovevano il suo sviluppo secondo traiettorie diverse. I musulmani vivevano in territori classificati giuridicamente come Dar al-Islam, domini sottoposti all’autorità musulmana, in cui si poteva praticare la fede liberamente sotto la protezione di un sovrano musulmano, e come Dar al-harb, territori ostili, in cui un musulmano era privo di protezione e sicurezza giuridica. Vi erano anche i Dar al-aman, i territori della pace, dove i musulmani potevano praticare liberamente, nonostante non vi governassero. I musulmani della Cina, ad esempio, per la maggior parte vivevano sotto il dominio di monarchi non musulmani, ma non consideravano gli imperi cinesi territori di guerra e infatti servirono questi imperi. Molti preferivano il dominio cinese ad altri. Viceversa, alcune dinastie musulmane governarono in India su popolazioni in cui i musulmani erano una minoranza e dovettero di conseguenza adattare le loro differenze giuridiche. Tuttavia si trattava di differenze teoriche, molto distanti dalla prassi. Non vi era una reale dualità di territori musulmani e non musulmani, il che è logico, poiché la umma designava una comunità di fede, non un’unità geopolitica.
Dove i musulmani invece governavano, le élite politiche stringevano alleanze con i non musulmani contro altri musulmani, proprio come i cristiani europei si alleavano con i non cristiani, cosa proibita in teoria ma frequente nella realtà10. Non soltanto i sovrani cristiani effettivamente si allearono con i sovrani musulmani, ma con il tempo i regni dei Crociati dovettero tollerare le pratiche religiose dei musulmani sottoposti alla propria autorità.
I sovrani musulmani si aspettavano la sottomissione da parte dei propri sudditi cristiani e istituirono delle pratiche, come un abbigliamento distintivo per musulmani e cristiani, che sembrasse affermare dei rigidi confini tra il Dar al-Islam e il Dar al-harb o tra i musulmani e i cristiani. Tuttavia, mentre si operavano distinzioni tra i musulmani e i non musulmani, i sovrani ottomani, safavidi, moghul e marocchini conferivano anche posizioni di rilievo a ebrei, Greci, indú e Armeni nel commercio, nella diplomazia e nell’amministrazione statale, suggerendo che i confini tra i gruppi erano permeabili11. I corsari musulmani nel Mediterraneo chiamavano la loro pirateria “jihad del mare” ma cooperavano anche con i non musulmani e condividevano la cultura dei pirati cristiani, il che facilitava le frequenti conversioni da una fede all’altra. Un segmento considerevole della Marina ottomana del XVI secolo era costit...

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