Il purgatorio dell'angelo
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Il purgatorio dell'angelo

Confessioni per il commissario Ricciardi

Maurizio de Giovanni

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Il purgatorio dell'angelo

Confessioni per il commissario Ricciardi

Maurizio de Giovanni

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È maggio, e la città si risveglia per avviarsi verso la stagione piú bella. Eppure il male non si concede pause. Su una lingua di tufo che si allunga nel mare di Posillipo viene trovato il cadavere di un anziano prete. Qualcuno lo ha barbaramente ucciso. È inspiegabile, perché padre Angelo, la vittima, era amato da tutti. Un santo, dicono. Un fine teologo, un uomo che nella vita ha donato conforto a tante persone. Un confessore. È maggio, e anche se il sole e la luna sono un incanto, Ricciardi è piú inquieto che mai. Lui ed Enrica hanno cominciato a incontrarsi, ma il commissario non può continuare a nasconderle la propria natura, il segreto che a lungo lo ha tenuto lontano da lei. È maggio, e i rapinatori sembrano diventati cosí abili che il brigadiere Maione rischia di perdere la testa nel tentativo di catturarli. Forse perché sente profonda la mancanza di Luca, il figlio morto, e vorrebbe spiegarlo alla moglie. Ma non è bravo con le parole. È maggio, è tempo di confessioni. «Il bacio del commissario Ricciardi è piú forte d'un colpo di pistola».
Massimo Vincenzi, Tuttolibri

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2018
ISBN
9788858429051

XXVI.

Il tragitto dalla questura fino a Santa Lucia, dove abitava Tullio Berardelli de’ Paoli di Palestrina con la moglie, non era certo lungo. Il guaio era lo scirocco che ti soffiava proprio in faccia il suo carico di polvere rossa, e tra il mare che s’ingrossava e i tuoni che promettevano tempesta risultava difficile perfino parlarsi.
Del resto sia Ricciardi che Maione avevano tante cose su cui riflettere, sia personali sia lavorative, e non erano argomenti che potevano condividere.
Il brigadiere meditava sulle rapine, su quanto fosse strano e misterioso che la fortuna continuasse ad aiutare quei ragazzi che, dalle descrizioni delle vittime, non sembravano certo criminali scafati ed esperti. Una volta, d’accordo; due, forse; tre, assai improbabile, ma possibile. Qui, però, eravamo al quinto colpo andato a segno, e i cassieri della zona erano sempre piú determinati a difendersi in ogni modo. Maione era seriamente preoccupato.
Anche la discussione con Lucia lo turbava. Preferiva il litigio, il muro contro muro, le urla e i toni accesi. Era piú facile fare pace, quando il problema era grave. Ora invece si trattava di un malessere, di una fessura che minacciava di diventare una crepa poi una frattura insanabile.
Dal canto suo, Ricciardi, gli occhi stretti per evitare la sabbia, la testa bassa nel vento che gli scompigliava i capelli, considerava quanto fosse vuota la sua vita, adesso che non poteva pensare a Enrica. Era assurdo. In fondo i loro incontri non erano cosí frequenti: si vedevano per mezz’ora, un’ora al massimo nel tardo pomeriggio, nelle rare occasioni in cui la ragazza non aveva impegni in casa e lui poteva uscire prima dall’ufficio.
A mancargli era la possibilità di lasciare che la mente volasse da lei. Che la fantasia, libera di fantasticare, sfuggisse alla rigida disciplina che si era imposto, rifugiandosi in un sogno di normalità divenuto pericolosamente vicino. Per un attimo aveva sperato di poterlo realizzare, questo sogno, ma era stata solo un’illusione, un miraggio ingannevole dileguatosi di colpo a casa Colombo.
Si sentiva inutile e vuoto. Un involucro senza senso abbandonato nel deserto. Non aveva nemmeno il coraggio di andare a spiegare a don Pierino, testimone dell’accaduto, le ragioni che l’avevano determinato. Ricordava gli occhi sgranati, l’espressione sconcertata del piccolo, dolcissimo prete: temeva immaginasse che avesse riso di lui.
Tanto valeva, concluse mentre sbirciava i numeri civici per individuare la residenza del marchesino, concentrarsi sul lavoro. E cercare di capire chi potesse aver spaccato la testa di quel povero gesuita, uno dei pochi uomini in città di cui si parlava solo bene. Magari questo Tullio Berardelli sapeva qualcosa.
Nonostante la zona elegante e il cognome chilometrico della persona che stavano per conoscere, il palazzo era piuttosto modesto. Ricciardi notò che c’erano numerose cassette per la posta e diversi interruttori di campanelli, a dimostrazione che si trattava di un condominio e non di un’unica proprietà.
Andò loro incontro un uomo anziano con una gamba sola, che si aiutava piuttosto abilmente con una stampella.
– Buon pomeriggio. Chi cercate?
Maione, memore delle recenti, sfortunate esperienze con i custodi, si toccò la visiera e disse circospetto:
– Salve. Siamo della questura. Voi siete?
– Molinari Vincenzo, brigadie’, al vostro servizio. Caporale di fanteria, decorato al valor militare. Perdonatemi se non vi saluto come si compete, ma con una gamba sola non riesco a mettermi bene sull’attenti.
Maione lo rassicurò:
– Figuratevi, capora’. È un onore. Brigadiere Maione e commissario Ricciardi. Scusate il disturbo, vorremmo parlare col marchese Berardelli…
L’uomo sorrise, ammiccando.
– Volete dire con la moglie…
Ricciardi interloquí.
– Perché?
L’altro sorrise di nuovo.
– Perché, commissa’, il capofamiglia è la signora. Sapete come va, no? Qualche volta i pantaloni cambiano di proprietario.
Ricciardi e Maione si lanciarono una rapida occhiata. Molinari continuò:
– Comunque accomodatevi, stanno al primo piano. Il palazzo era tutto loro, poi hanno cominciato a venderlo, pezzo per pezzo, e mo’ gli è rimasto solo quell’appartamento. Mi sa che la morte del vecchio marchese non li ha ancora tolti dai pasticci.
Il brigadiere esclamò:
– Caspita, spendono i marchesini! Come mai?
L’uomo si strinse nelle spalle.
– E che vi devo dire. Ogni tanto si presenta qualche brutto ceffo a riscuotere un credito. Finora sono riusciti a fare fronte, ma non so quanto durerà.
I due poliziotti ringraziarono e si avviarono per le scale, constatando che il caporale Molinari se ne tornava alle sue faccende senza avvertire del loro arrivo.
Dovettero suonare tre volte prima che una donna bassa e grassa aprisse la porta, asciugandosi le mani in un grembiule che aveva visto tempi migliori.
Rimase a fissare Maione e Ricciardi senza distogliere lo sguardo e senza chiedere niente.
La situazione aveva superato i limiti del surreale. Il brigadiere si schiarí la voce.
– Salve. Siamo della questura, Vorremmo parlare con…
Nel mezzo della frase la domestica si girò e sparí nell’appartamento, lasciando i due poliziotti sulla soglia, senza invitarli a entrare. Maione considerò che il caporale Molinari era stato una breve meravigliosa parentesi di normalità, e che ora si tornava nel territorio dell’assurdo.
Dopo quasi un minuto la donna riapparve e fece un cenno con la testa perché la seguissero. A Ricciardi ricordò Grimaud, il servo di Athos dei Tre moschettieri, che si esprimeva a gesti attenendosi alle direttive del padrone; quell’immagine lo indusse a prefigurarsi un marchese silenzioso e schivo.
Le poche stanze che attraversarono erano piuttosto spoglie e malandate. I rari tappeti visibilmente consunti, le tende con qualche buco, i parati segnati da mobili che non erano piú al loro posto. L’impressione era di un crollo economico verticale.
Il salottino in cui furono ricevuti era il meno malridotto, con un divano in legno, due sedie in buono stato, anche se spaiate, e un bel tappeto con poche tracce di bruciature.
Il marchese Tullio li attendeva su una delle sedie, con un giornale in mano. La somiglianza con la nonna, la marchesa Maria Civita Berardelli, la terribile signora dei canarini, era stupefacente. La corporatura minuta, i tratti del viso e i colori facevano pensare a un trucco spettacolare grazie al quale lo stesso attore interpretava entrambi i ruoli.
Era solo un’impressione, però. Bastava concentrarsi sugli occhi per cogliere l’abissale differenza tra i due. Tanto erano vivaci e mobili, pieni di ironia e di intelligenza quelli dell’anziana, tanto erano vacui, liquidi e privi di vitalità quelli dell’uomo, sebbene fossero dello stesso azzurro. Almeno cinquant’anni di distanza e una clamorosa involuzione cerebrale.
L’uomo si alzò con affettata educazione.
– Se siete qui per la questione Percuoco, vi avverto che la denuncia è stata ritirata. Quella cambiale l’avevo firmata io, quindi la firma non era apocrifa come avevo ritenuto in un primo momento e…
Fu interrotto dal precipitoso ingresso di una donna che dimostrava una quarantina d’anni, segaligna e dagli occhi minuscoli, con un naso lungo e fremente come il muso di un coniglio.
– Mi ha riferito Consiglia che c’è la poli… Ah, buon pomeriggio, signori. Se siete venuti per quella strega della Avitabile, vi prego di avvisarla che con lei non ho affatto terminato. Se mi ci ritrovo da sola, io…
Maione alzò le mani:
– Calma, calma! Non siamo venuti né per Percuoco né per Avitabile, chiunque siano. Sono il brigadiere Maione e il mio superiore è il commissario Ricciardi, della questura. Il motivo della nostra visita è un altro.
I due coniugi si fissarono, lui perplesso, lei impaurita. Tullio indicò il divano, invitando i poliziotti ad accomodarsi, e tornò a sedersi.
– Io sono Tullio Berardelli, questa è mia moglie Alba. Di che si tratta?
Ricciardi esordí:
– Intanto buonasera, marchese. La ragione per cui la disturbiamo è l’assassinio di padre Angelo De Lillo.
L’uomo parve rilassarsi. Prese un respiro e si abbandonò sullo schienale.
– Ah, quello! Ho saputo, abbiamo saputo. Peccato, per carità, non si augura a nessuno una cosa cosí, ma era un imbroglione, quel prete. Adesso se la vede con Dio, a tu per tu.
La moglie gli rivolse uno sguardo di disprezzo. Possedeva una straordinaria espressività, accentuata dal naso lungo che sottolineava, enfatizzandolo, ciò che comunicava il resto del volto. Maione la studiava affascinato; aveva conosciuto gente che parlava con gli occhi, ma mai nessuno che ci riusciva col naso.
Il commissario intervenne:
– Il vostro sollievo mi stupisce, marchese. Avete minacciato di morte quell’uomo in pubblico, davanti a decine di persone, urlando tanto da dover essere fermato e portato via. Vi renderete conto che la vostra posizione è grave, o perlomeno dif...

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