Il tragitto dalla questura fino a Santa Lucia, dove abitava Tullio Berardelli deâ Paoli di Palestrina con la moglie, non era certo lungo. Il guaio era lo scirocco che ti soffiava proprio in faccia il suo carico di polvere rossa, e tra il mare che sâingrossava e i tuoni che promettevano tempesta risultava difficile perfino parlarsi.
Del resto sia Ricciardi che Maione avevano tante cose su cui riflettere, sia personali sia lavorative, e non erano argomenti che potevano condividere.
Il brigadiere meditava sulle rapine, su quanto fosse strano e misterioso che la fortuna continuasse ad aiutare quei ragazzi che, dalle descrizioni delle vittime, non sembravano certo criminali scafati ed esperti. Una volta, dâaccordo; due, forse; tre, assai improbabile, ma possibile. Qui, perĂČ, eravamo al quinto colpo andato a segno, e i cassieri della zona erano sempre piĂș determinati a difendersi in ogni modo. Maione era seriamente preoccupato.
Anche la discussione con Lucia lo turbava. Preferiva il litigio, il muro contro muro, le urla e i toni accesi. Era piĂș facile fare pace, quando il problema era grave. Ora invece si trattava di un malessere, di una fessura che minacciava di diventare una crepa poi una frattura insanabile.
Dal canto suo, Ricciardi, gli occhi stretti per evitare la sabbia, la testa bassa nel vento che gli scompigliava i capelli, considerava quanto fosse vuota la sua vita, adesso che non poteva pensare a Enrica. Era assurdo. In fondo i loro incontri non erano cosĂ frequenti: si vedevano per mezzâora, unâora al massimo nel tardo pomeriggio, nelle rare occasioni in cui la ragazza non aveva impegni in casa e lui poteva uscire prima dallâufficio.
A mancargli era la possibilitĂ di lasciare che la mente volasse da lei. Che la fantasia, libera di fantasticare, sfuggisse alla rigida disciplina che si era imposto, rifugiandosi in un sogno di normalitĂ divenuto pericolosamente vicino. Per un attimo aveva sperato di poterlo realizzare, questo sogno, ma era stata solo unâillusione, un miraggio ingannevole dileguatosi di colpo a casa Colombo.
Si sentiva inutile e vuoto. Un involucro senza senso abbandonato nel deserto. Non aveva nemmeno il coraggio di andare a spiegare a don Pierino, testimone dellâaccaduto, le ragioni che lâavevano determinato. Ricordava gli occhi sgranati, lâespressione sconcertata del piccolo, dolcissimo prete: temeva immaginasse che avesse riso di lui.
Tanto valeva, concluse mentre sbirciava i numeri civici per individuare la residenza del marchesino, concentrarsi sul lavoro. E cercare di capire chi potesse aver spaccato la testa di quel povero gesuita, uno dei pochi uomini in cittĂ di cui si parlava solo bene. Magari questo Tullio Berardelli sapeva qualcosa.
Nonostante la zona elegante e il cognome chilometrico della persona che stavano per conoscere, il palazzo era piuttosto modesto. Ricciardi notĂČ che câerano numerose cassette per la posta e diversi interruttori di campanelli, a dimostrazione che si trattava di un condominio e non di unâunica proprietĂ .
AndĂČ loro incontro un uomo anziano con una gamba sola, che si aiutava piuttosto abilmente con una stampella.
â Buon pomeriggio. Chi cercate?
Maione, memore delle recenti, sfortunate esperienze con i custodi, si toccĂČ la visiera e disse circospetto:
â Salve. Siamo della questura. Voi siete?
â Molinari Vincenzo, brigadieâ, al vostro servizio. Caporale di fanteria, decorato al valor militare. Perdonatemi se non vi saluto come si compete, ma con una gamba sola non riesco a mettermi bene sullâattenti.
Maione lo rassicurĂČ:
â Figuratevi, caporaâ. Ă un onore. Brigadiere Maione e commissario Ricciardi. Scusate il disturbo, vorremmo parlare col marchese BerardelliâŠ
Lâuomo sorrise, ammiccando.
â Volete dire con la moglieâŠ
Ricciardi interloquĂ.
â PerchĂ©?
Lâaltro sorrise di nuovo.
â PerchĂ©, commissaâ, il capofamiglia Ăš la signora. Sapete come va, no? Qualche volta i pantaloni cambiano di proprietario.
Ricciardi e Maione si lanciarono una rapida occhiata. Molinari continuĂČ:
â Comunque accomodatevi, stanno al primo piano. Il palazzo era tutto loro, poi hanno cominciato a venderlo, pezzo per pezzo, e moâ gli Ăš rimasto solo quellâappartamento. Mi sa che la morte del vecchio marchese non li ha ancora tolti dai pasticci.
Il brigadiere esclamĂČ:
â Caspita, spendono i marchesini! Come mai?
Lâuomo si strinse nelle spalle.
â E che vi devo dire. Ogni tanto si presenta qualche brutto ceffo a riscuotere un credito. Finora sono riusciti a fare fronte, ma non so quanto durerĂ .
I due poliziotti ringraziarono e si avviarono per le scale, constatando che il caporale Molinari se ne tornava alle sue faccende senza avvertire del loro arrivo.
Dovettero suonare tre volte prima che una donna bassa e grassa aprisse la porta, asciugandosi le mani in un grembiule che aveva visto tempi migliori.
Rimase a fissare Maione e Ricciardi senza distogliere lo sguardo e senza chiedere niente.
La situazione aveva superato i limiti del surreale. Il brigadiere si schiarĂ la voce.
â Salve. Siamo della questura, Vorremmo parlare conâŠ
Nel mezzo della frase la domestica si girĂČ e sparĂ nellâappartamento, lasciando i due poliziotti sulla soglia, senza invitarli a entrare. Maione considerĂČ che il caporale Molinari era stato una breve meravigliosa parentesi di normalitĂ , e che ora si tornava nel territorio dellâassurdo.
Dopo quasi un minuto la donna riapparve e fece un cenno con la testa perchĂ© la seguissero. A Ricciardi ricordĂČ Grimaud, il servo di Athos dei Tre moschettieri, che si esprimeva a gesti attenendosi alle direttive del padrone; quellâimmagine lo indusse a prefigurarsi un marchese silenzioso e schivo.
Le poche stanze che attraversarono erano piuttosto spoglie e malandate. I rari tappeti visibilmente consunti, le tende con qualche buco, i parati segnati da mobili che non erano piĂș al loro posto. Lâimpressione era di un crollo economico verticale.
Il salottino in cui furono ricevuti era il meno malridotto, con un divano in legno, due sedie in buono stato, anche se spaiate, e un bel tappeto con poche tracce di bruciature.
Il marchese Tullio li attendeva su una delle sedie, con un giornale in mano. La somiglianza con la nonna, la marchesa Maria Civita Berardelli, la terribile signora dei canarini, era stupefacente. La corporatura minuta, i tratti del viso e i colori facevano pensare a un trucco spettacolare grazie al quale lo stesso attore interpretava entrambi i ruoli.
Era solo unâimpressione, perĂČ. Bastava concentrarsi sugli occhi per cogliere lâabissale differenza tra i due. Tanto erano vivaci e mobili, pieni di ironia e di intelligenza quelli dellâanziana, tanto erano vacui, liquidi e privi di vitalitĂ quelli dellâuomo, sebbene fossero dello stesso azzurro. Almeno cinquantâanni di distanza e una clamorosa involuzione cerebrale.
Lâuomo si alzĂČ con affettata educazione.
â Se siete qui per la questione Percuoco, vi avverto che la denuncia Ăš stata ritirata. Quella cambiale lâavevo firmata io, quindi la firma non era apocrifa come avevo ritenuto in un primo momento eâŠ
Fu interrotto dal precipitoso ingresso di una donna che dimostrava una quarantina dâanni, segaligna e dagli occhi minuscoli, con un naso lungo e fremente come il muso di un coniglio.
â Mi ha riferito Consiglia che câĂš la poli⊠Ah, buon pomeriggio, signori. Se siete venuti per quella strega della Avitabile, vi prego di avvisarla che con lei non ho affatto terminato. Se mi ci ritrovo da sola, ioâŠ
Maione alzĂČ le mani:
â Calma, calma! Non siamo venuti nĂ© per Percuoco nĂ© per Avitabile, chiunque siano. Sono il brigadiere Maione e il mio superiore Ăš il commissario Ricciardi, della questura. Il motivo della nostra visita Ăš un altro.
I due coniugi si fissarono, lui perplesso, lei impaurita. Tullio indicĂČ il divano, invitando i poliziotti ad accomodarsi, e tornĂČ a sedersi.
â Io sono Tullio Berardelli, questa Ăš mia moglie Alba. Di che si tratta?
Ricciardi esordĂ:
â Intanto buonasera, marchese. La ragione per cui la disturbiamo Ăš lâassassinio di padre Angelo De Lillo.
Lâuomo parve rilassarsi. Prese un respiro e si abbandonĂČ sullo schienale.
â Ah, quello! Ho saputo, abbiamo saputo. Peccato, per caritĂ , non si augura a nessuno una cosa cosĂ, ma era un imbroglione, quel prete. Adesso se la vede con Dio, a tu per tu.
La moglie gli rivolse uno sguardo di disprezzo. Possedeva una straordinaria espressivitĂ , accentuata dal naso lungo che sottolineava, enfatizzandolo, ciĂČ che comunicava il resto del volto. Maione la studiava affascinato; aveva conosciuto gente che parlava con gli occhi, ma mai nessuno che ci riusciva col naso.
Il commissario intervenne:
â Il vostro sollievo mi stupisce, marchese. Avete minacciato di morte quellâuomo in pubblico, davanti a decine di persone, urlando tanto da dover essere fermato e portato via. Vi renderete conto che la vostra posizione Ăš grave, o perlomeno dif...