Shakespeare e l'amore
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Shakespeare e l'amore

Arturo Cattaneo

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Shakespeare e l'amore

Arturo Cattaneo

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Romeo e Giulietta, Otello, i Sonetti... le piú famose opere di Shakespeare dedicate all'amore ci emozionano oggi come quattrocento anni fa. Ogni capitolo di questo libro racconta, intrecciando aneddoti, curiosità e fatti storici, un'idea dell'amore secondo Shakespeare: l'amore a prima vista che si crede eterno, l'amore che si muta in odio e uccide, l'amore che impone di farsi raccontare in una storia che è confessione e denuncia insieme... Una casistica straordinaria, con al centro la domanda di sempre: l'amore è commedia o tragedia? Un percorso che dalla passione tra adolescenti in Romeo e Giulietta porta alla tragedia del razzismo e della gelosia in Otello, fino alla sorpresa dei Sonetti. Qui Shakespeare è il protagonista, parla in prima persona e si mette crudelmente a nudo in un diario segreto dove confessa due passioni, per un giovane biondo e una dama bruna, che si confondono in un triangolo difficile da districare.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2019
ISBN
9788858430293

Otello

Il montone nero e la candida agnellina

Il classico triangolo.

Immaginiamo di vedere Otello per la prima volta. È una storia di gelosia, di tradimenti. Il classico triangolo: lui, lei, l’altro. Con una complicazione. L’altro sono tre: Cassio, luogotenente di Otello e presunto amante di Desdemona, per la quale in realtà prova solo ammirazione; Roderigo, un veneziano sciocco innamorato senza speranza di Desdemona, sfruttato da Iago come agente dietro le quinte; e Iago, l’attendente di Otello, tutto preso dal mestiere delle armi e per nulla dall’amore, fedele e sollecito verso Otello fino alla gelosia. Iago è l’ultimo uomo di cui il Moro dubiterebbe. È Iago il vero rivale.
Lui.
È Otello, generale delle forze veneziane. Sui quarant’anni. È un Moro. Prima sorpresa: cosa ci fa un Moro a Venezia nel Rinascimento, e com’è giunto a comandare l’esercito? Nessuna delle due cose era in realtà tanto strana quanto potrebbe apparire oggi. A Venezia, il comandante in capo dell’esercito era sempre uno straniero, per evitare che un cittadino traesse vantaggi politici dalla forza delle milizie, e fosse tentato di usarle per instaurare una dittatura. È scritto a chiare lettere nel De magistratibus et repubblica venetorum (1551) del cardinal Gaspare Contarini, letto e utilizzato da Shakespeare nella traduzione inglese di Lewis Lewkenor del 1599, per certi particolari su Venezia che ritroviamo in Otello. Quanto alla presenza dei Mori, pervade l’iconografia e i luoghi celebri della città. Il Miracolo della Reliquia della Croce al Ponte di Rialto, di Vittore Carpaccio, mostra che diversi gondolieri erano Mori o africani, come sappiamo anche da altre fonti. E i Mori spiccano nel cuore di Venezia, piazza San Marco, dove nello spazio di pochi metri troviamo la Torre dei Mori, o dell’Orologio, con le sue colossali statue brune che scandiscono le ore, e sotto di loro il re dalla pelle nera, Baldassarre, che insieme agli altri due Magi esce ogni Epifania dalle due porte laterali ai piedi della torre.
Del passato di Otello si sa poco: è di sangue reale, è un soldato, combatte da quando ha memoria, e ha vissuto molte avventure per terra e per mare. Questo ce lo dice lui. Iago precisa: è un grande guerriero, imperturbabile sul campo di battaglia, non lo scuote neppure lo scoppio del cannone a pochi passi. Il Doge, i senatori, i notabili di Venezia hanno per lui solo attestazioni di stima e grande rispetto: «valoroso Otello», «nobile Moro», ogni volta che entra in scena o parlano di lui assente. Caratterialmente appare impassibile, controllato, possiede un grande carisma, è un superbo oratore. Invulnerabile. «Uno non facilmente portato alla gelosia», si definisce nell’epitaffio di se stesso che recita al momento del suicidio, aggiungendo però, con tragico senno di poi, «ma una volta in dubbio, stravolto fino alle estreme conseguenze» (V, II, 341-44).
Lei.
È Desdemona, figlia unica del nobile Brabanzio, uno dei potenti senatori di Venezia. È bella, raffinata, amabile. Ha poco meno di vent’anni, e ha rifiutato diversi pretendenti, confortata in questo dal padre, che evidentemente non è cosí ansioso di maritarla: «Ti ho detto mille volte che mia figlia non è per te» (I, I, 96-97), grida a Roderigo, venuto sotto le sue finestre nella prima scena del dramma. È la luce degli occhi del padre, che nel momento della crisi, quando scopre il matrimonio segreto della figlia col Moro, dimostra di non conoscerla affatto: è stata stregata, drogata, non ha mai avuto inclinazione al matrimonio, e men che meno con «una sporca cosa nera». Come spesso in Shakespeare, i padri sono gli ultimi a conoscere le figlie: Desdemona è l’esatto contrario di quello che Brabanzio pensa. È una ragazza decisa, indipendente: si prende Otello, rivelandosi molto piú attiva nel corteggiamento di quanto la convenzione prescriva. Ribadisce la sua scelta senza paura di fronte al padre e al Senato di Venezia riunito, e poi chiede direttamente al Doge il permesso di seguire Otello a Cipro, nonostante sia zona di guerra.
Neppure Otello la conosce. Quando ne parla da innamorato, nei primi due atti, ne parla come di una creatura mite e asessuata, una «colomba» troppo fragile per questo mondo. Come si vede al suo arrivo a Cipro, Desdemona è l’opposto: non ha paura di entrare in mezzo alle situazioni, anche in quelle normalmente riservate agli uomini. In occasione della rissa notturna scatenata da Iago, raggiunge Otello per vedere cosa sia successo («Guardate, avete svegliato il mio amore», II, III, 246). Alle battute volgari, ai doppi sensi di Iago sulle donne, risponde da signora, ma a tono e senza paura. Di lei, come di Otello, si può dire che nella sua vita non entrino il dubbio e la paura fino a che non entra in gioco Iago.
L’altro.
È Iago, attendente di Otello, soldato professionista, svelto di mano e di parola, sposato con Emilia, che in seguito al trasferimento del Moro a Cipro diventa la dama di compagnia di Desdemona, fornendo cosí al marito un doppio accesso privilegiato alla casa e alle faccende di Otello. Iago ha ventott’anni: ce lo dice lui stesso, uno dei pochi riferimenti precisi all’età di un personaggio shakespeariano. Avremmo dovuto cominciare da lui, nel presentare il triangolo, perché cosí comincia Shakespeare. Iago è il primo dei tre ad entrare in scena, presentandosi con un’espressione blasfema, non proprio una bestemmia ma abbastanza forte da qualificarlo immediatamente come un soldataccio: «Sangue di Cristo!» Sta discutendo animatamente con Roderigo, ed è immediatamente chiaro che sarà lui a dirigere l’azione.
Il dialogo di apertura del dramma è in realtà quasi un monologo di Iago (Roderigo gli fa da spalla, con poche brevi battute), ed è illuminante: veniamo a sapere che Iago ha un problema (Otello ha appena nominato Cassio come suo luogotenente, al posto di Iago), che del suo problema ritiene Otello responsabile, e che segue il Moro solo per convenienza. Già nella prima scena tradisce Otello, denunciando il matrimonio segreto con Desdemona a suo padre. Dopo averlo tradito, corre ad avvisarlo che stia in guardia perché lo stanno cercando, e Otello lo saluta come sempre: «onesto Iago!» Il Moro si fida ciecamente di lui, hanno combattuto insieme, Iago è un soldato, un uomo d’onore, e come tale Otello gli affiderà la moglie di fronte al Senato, la farà viaggiare con lui sulla stessa nave diretta a Cipro.
Otello si basa su un doppio tradimento: quello di Desdemona, inventato, e quello reale di Iago, entrambi ai danni del Moro. E la gelosia del Moro è speculare e anzi figlia di quella di Iago, che è geloso di Otello, di Desdemona, di Cassio, dell’umanità intera.

La tragedia di un quarantenne.

Quando scrive Otello, Shakespeare ha quarant’anni. In realtà, il 1604 è l’anno della prima rappresentazione, quindi la tragedia fu probabilmente scritta qualche mese o un anno prima. Piú o meno, comunque, ha quarant’anni. Il dato non sembra aver stimolato particolari riflessioni, nonostante i quaranta siano un’età critica nella vita di un uomo. Jung dice: «Le statistiche mostrano che le depressioni aumentano molto negli uomini intorno alla quarantina. […] Talvolta avviene […] che le convinzioni e i principî soprattutto morali avuti sino ad allora assumano una durezza e una rigidità che può giungere […] sino all’intolleranza e al fanatismo […] Il vino della gioventú non sempre si chiarifica nella maturità; anzi talvolta s’intorbida»1. Otello ha suppergiú la stessa età del suo creatore: parlando di sé, si descrive come «declinante nella valle degli anni» (III, III, 269-70), quindi oltre la metà del cammino della vita. Com’era lo Shakespeare quarantenne? Fisicamente, non si era risparmiato, tra il lavoro incessante e frenetico come drammaturgo, attore e azionista dei Chamberlain’s Men, i viaggi periodici a Stratford per visitare la moglie e le figlie, la cura degli affari di famiglia e le frequenti acquisizioni di proprietà. A Londra, dopo quasi vent’anni di residenza, viveva sempre in camere d’affitto, consumando i pasti nelle taverne frequentate dalla gente di teatro. Se il celebre ritratto Chandos del poeta fosse di questi anni, o addirittura precedente, ci restituirebbe l’immagine di un uomo ancora vigoroso ma segnato dalla vita.
Vale la pena di dare un’occhiata al Chandos Portrait, perché la sua autenticità è stata messa in discussione, e per motivi che toccano da vicino uno dei temi principali di Otello. Non la gelosia, ma il colore della pelle. Shakespeare era ovviamente inglese di nascita e di stirpe, un uomo del Warwickshire, campagna del centro Inghilterra, tra Oxford a sud, Cambridge a est, il Galles a ovest. Eppure il colore della sua pelle ha fatto discutere, e non poco. Questo perché di ritratti di Shakespeare ne abbiamo piú d’uno, e nessuno ha mai avuto la parola definitiva. Il piú famoso, riprodotto sulle copertine e nei libri di tutto il mondo, è l’incisione di Martin Droeshout, un artista di origine fiamminga, per il frontespizio della prima raccolta completa delle opere teatrali di Shakespeare, il cosiddetto First Folio, pubblicato nel 1623. È l’immagine di Shakespeare che tutti riconosciamo: un gentiluomo elisabettiano formalmente vestito, il colletto rigido appuntito che fa da base, quasi decollandolo, a un viso tondo dall’espressione mitemente furba, i baffetti corti e curati, l’ampia calvizie compensata da capelli lunghi lisciati ad arte. Un’icona rassicurante, buona per copertine, manifesti pubblicitari, segnalibri, tazze da caffè. Come spesso accade ai loghi, la sua riconoscibilità non s’accompagna all’eccellenza artistica, per usare un eufemismo.
I secoli ne hanno impietosamente portato alla luce i difetti. Lord Brain, lo scienziato, osservò che l’immagine ha due occhi destri; per i profani, uno era semplicemente piú grande dell’altro, e l’effetto generale di discreto strabismo. La rivista di sartoria e moda «The Tailor & Cutter» ha fatto notare che il giubbino presenta due lati destri2; il che, per il figlio di un guantaio con ambizioni gentilizie è forse piú grave dello strabismo. Anche i capelli sembrano piú lunghi da un lato che dall’altro, mentre la bocca occupa una strana posizione all’interno di una testa stranamente posizionata sopra il colletto. Non viene alla mente la testa del Battista sul piatto solo perché questo volto non ha nulla di eroico. Ed è questo che risulta difficile da accettare: «il soggetto», osserva Bill Bryson nel Mondo è un teatro, «sembra diffidente, apologetico, quasi spaventato – niente a che vedere con la figura forte e sicura che ci parla dai drammi»3. Bryson è fin troppo rispettoso: lo Shakespeare del First Folio, se con un trucco fotografico alla Gilbert & George lo trasferiamo in abiti borghesi, è un impiegato di terza categoria, un commesso di sartoria di Bond Street anni Cinquanta. C’è piú verità che ironia nei versi di Ben Jonson posti a fianco dell’incisione di Droeshout: «lettore, non guardare a questo ritratto ma ai suoi libri».
Ma, osservano quelli che non vogliono rinunciare a un’immagine tanto rassicurante, dove sta scritto che uno scrittore deve avere un aspetto eroico, come Lord Byron nel suo costume albanese, scimitarra pendente dalla fusciacca e volto fiero inturbantato? O come Hemingway inginocchiato a fianco dei leoni uccisi nella savana africana? Vero, solo che i ritratti degli scrittori contemporanei di Shakespeare che ci sono pervenuti, a cominciare da quelli dei suoi due grandi rivali, Chris...

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