Ricerche filosofiche
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Ricerche filosofiche

Ludwig Wittgenstein, Mario Trinchero, Mario Trinchero, Renzo Piovesan

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Ludwig Wittgenstein, Mario Trinchero, Mario Trinchero, Renzo Piovesan

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«l pensieri che qui pubblico costituiscono il precipitato di ricerche filosofiche che mi hanno tenuto occupato negli ultimi sedici anni. Essi riguardano molti oggetti: il concetto di significato, di comprendere, di proposizione, di logica, i fondamenti della matematica, gli stati di coscienza, e altre cose ancora. Ho messo giú tutti questi pensieri sotto forma di osservazioni, di brevi paragrafi». Cosí si esprimeva nel 1945 Ludwig Wittgenstein su queste Ricerche filosofiche, accanto al Tractatus logico-philosophicus la sua opera maggiore, la summa delle sue speculazioni ed esperienze di scopritore di nuove prospettive filosofiche ed etiche. Pubblicato nel 1953, a due anni dalla morte di Wittgenstein, questo libro rappresenta un vertice del pensiero del Novecento.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2017
ISBN
9788858423103

Parte prima

1. Agostino, Confessioni, I, 8: «cum ipsi [majores homines] appellabant rem aliquam, et cum secundum eam vocem corpus ad aliquid movebant, videbam, et tenebam hoc ab eis vocari rem illam, quod sonabant, cum eam vellent ostendere. Hoc autem eos velle ex motu corporis aperiebatur: tamquam verbis naturalibus omnium gentium quae fiunt vultu et nutu oculorum, ceterorumque membrorum actu, et sonitu vocis indicante affectionem animi in petendis, habendis, rejiciendis, fugiendisve rebus. Ita verba in variis sententiis locis suis posita, et crebro audita, quarum rerum signa essent, paulatim colligebam, measque jam voluntates, edomito in eis signis ore, per haec enuntiabam»1.
In queste parole troviamo, cosí mi sembra, una determinata immagine della natura del linguaggio umano. E precisamente questa: Le parole del linguaggio denominano oggetti – le proposizioni sono connessioni di tali denominazioni. ______ In quest’immagine del linguaggio troviamo le radici dell’idea: Ogni parola ha un significato. Questo significato è associato alla parola. È l’oggetto per il quale la parola sta.
Di una differenza fra tipi di parole Agostino non parla. Chi descrive in questo modo l’apprendimento del linguaggio pensa, cosí credo, anzitutto a sostantivi come «tavolo», «sedia», «pane» e ai nomi di persona, e solo in un secondo tempo ai nomi di certe attività e proprietà; e pensa ai rimanenti tipi di parole come a qualcosa che si accomoderà.
Pensa ora a quest’impiego del linguaggio: Mando uno a far la spesa. Gli do un biglietto su cui stanno i segni: «cinque mele rosse». Quello porta il biglietto al fruttivendolo; questi apre il cassetto su cui c’è il segno «mele»; quindi cerca in una tabella la parola «rosso» e trova, in corrispondenza ad essa, un campione di colore; poi recita la successione dei numeri cardinali – supponiamo che la sappia a memoria – fino alla parola «cinque» e ad ogni numero tira fuori dal cassetto una mela che ha il colore del campione. ______ Cosí, o pressapoco cosí, si opera con le parole. ______ «Ma come fa a sapere dove e come deve cercare la parola ‘rosso’, e che cosa deve fare con la parola ‘cinque’?» ______ Bene, suppongo che agisca nel modo che ho descritto. A un certo punto le spiegazioni hanno termine. – Ma che cos’è il significato della parola «cinque»? – Qui non si faceva parola di un tale significato; ma solo del modo in cui si usa la parola «cinque».
2. Quel concetto filosofico di significato è al suo posto in una rappresentazione primitiva del modo e della maniera in cui funziona il linguaggio. Ma si può anche dire che sia la rappresentazione di un linguaggio piú primitivo del nostro.
Immaginiamo un linguaggio per il quale valga la descrizione dataci da Agostino: Questo linguaggio deve servire alla comunicazione tra un muratore, A, e un suo aiutante, B. A esegue una costruzione in muratura; ci sono mattoni, pilastri, lastre e travi. B deve porgere ad A le pietre da costruzione, e precisamente nell’ordine in cui A ne ha bisogno. A questo scopo i due si servono di un linguaggio consistente delle parole: «mattone», «pilastro», «lastra», «trave». A grida queste parole; – B gli porge il pezzo che ha imparato a portargli quando sente questo grido. ______ Considera questo come un linguaggio primitivo completo.
3. Agostino descrive, potremmo dire, un sistema di comunicazione; solo che non tutto ciò che chiamiamo linguaggio è questo sistema. E questo va detto in molti casi in cui sorge la questione: «Questa descrizione è utilizzabile o inutilizzabile?» La risposta sarà allora: «Sí, è utilizzabile, ma soltanto per questa regione strettamente circoscritta, non per il tutto che tu pretendevi di descrivere».
È come se uno desse a qualcun altro questa definizione: «Il giocare consiste nel muovere cose su una superficie, secondo certe regole...» – e noi gli rispondessimo: Sembra che tu pensi ai giuochi fatti sulla scacchiera; ma questi non sono tutti i giuochi. Puoi rendere corretta la tua definizione restringendola espressamente a questi giuochi.
4. Immagina una scrittura in cui le lettere vengano utilizzate per designare suoni, ma anche per designare l’accentuazione, e come segni d’interpunzione. (Una scrittura può essere concepita come un linguaggio per la descrizione d’immagini sonore.) Ora immagina che qualcuno intenda quella scrittura come se ad ogni lettera corrispondesse semplicemente un suono e le lettere non avessero anche altre funzioni, del tutto diverse. A una siffatta, troppo semplice concezione della scrittura somiglia la concezione che Agostino ha del linguaggio.
5. Se si considera l’esempio del § 1, si può forse avere un’idea della misura in cui il concetto generale di significato della parola circonda il funzionamento del linguaggio di una caligine, che rende impossibile una visione chiara. – La nebbia si dissipa quando studiamo i fenomeni del linguaggio nei modi primitivi del suo impiego, nei quali si può avere una visione chiara e completa dello scopo e del funzionamento delle parole.
Tali forme primitive del linguaggio impiega il bambino quando impara a parlare. In questo caso l’insegnamento del linguaggio non è spiegazione, ma addestramento.
6. Potremmo immaginare che il linguaggio esemplificato nel § 2 sia tutto quanto il linguaggio di A e B; anzi, tutto il linguaggio di una tribú. I bambini vengono educati a svolgere queste attività, a usare, nello svolgerle, queste parole, e a reagire in questo modo alle parole altrui.
Una parte importante dell’addestramento consisterà in ciò: l’insegnante indica al bambino determinati oggetti, dirige la sua attenzione su di essi e pronuncia, al tempo stesso, una parola; ad esempio pronuncia la parola «lastra», e intanto gli mostra un oggetto di questa forma. (Non chiamerò questo procedimento «spiegazione» o «definizione ostensiva», perché il bambino non può ancora chiedere il nome degli oggetti. Lo chiamerò «insegnamento ostensivo» delle parole. ______ Dico che esso costituisce una parte importante dell’addestramento, perché cosí accade presso gli uomini; non perché non si possa immaginare diversamente.) Si può dire che questo insegnamento ostensivo delle parole stabilisce una connessione associativa tra la parola e la cosa. Ma che cosa vuol dire? Bene, può voler dire diverse cose; ma prima di tutto si pensa che quando il bambino ode una certa parola gli si presenti alla mente l’immagine di una certa cosa. Ma, posto che ciò accada, – è questo lo scopo della parola? – Sí, può esserlo. – Posso immaginare un siffatto impiego delle parole (successioni di suoni). (Pronunciare una parola è come toccare un tasto sul pianoforte delle rappresentazioni.) Ma nel linguaggio descritto nel § 2 lo scopo delle parole non è quello di suscitare rappresentazioni. (Naturalmente si può anche trovare che ciò è utile al conseguimento dello scopo vero e proprio.)
Ma se l’insegnamento ostensivo produce quest’effetto, – devo dire che ha per effetto la comprensione delle parole? Non comprende il grido «Lastra!» chi, udendolo, agisce in questo modo cosí e cosí? – Certo, a ciò ha contribuito l’insegnamento ostensivo; però solo in quanto associato a un determinato tipo di istruzione. Connesso con un tipo d’istruzione diverso, lo stesso insegnamento ostensivo di questa parola avrebbe avuto come effetto una comprensione del tutto diversa.
«Aggiusto un freno collegando una barra a una leva». – Certo, se è dato tutto il resto del meccanismo. Solo in connessione con questo, la leva è la leva di un freno; isolata dal suo sostegno non è neppure una leva; può essere qualsiasi cosa possibile, e anche nulla.
7. Nella pratica dell’uso del linguaggio (2) una delle parti grida alcune parole e l’altra agisce conformemente ad esse; invece nell’insegnamento del linguaggio si troverà questo processo: L’allievo nomina gli oggetti. Cioè pronuncia la parola quando l’insegnante gli mostra quel pezzo. – Anzi, qui si troverà un esercizio ancora piú semplice: lo scolaro ripete le parole che l’insegnante gli suggerisce. ______ Entrambi questi processi somigliano al linguaggio.
Possiamo anche immaginare che l’intiero processo dell’uso delle parole, descritto nel § 2, sia uno di quei giuochi mediante i quali i bambini apprendono la loro lingua materna. Li chiamerò «giuochi linguistici» e talvolta parlerò di un linguaggio primitivo come di un giuoco linguistico.
E si potrebbe chiamare giuoco linguistico anche il processo del nominare i pezzi, e quello consistente nella ripetizione, da parte dello scolaro, delle parole suggerite dall’insegnante. Pensa a taluni usi delle parole nel giuoco del giro-giro-tondo.
Inoltre chiamerò «giuoco linguistico» anche tutto l’insieme costituito dal linguaggio e dalle attività di cui è intessuto.
8. Consideriamo ora un ampliamento del linguaggio (2).Oltre alle quattro parole «mattone», «pilastro», ecc., supponiamo che esso contenga una serie di parole che vengono impiegate nello stesso modo in cui il negoziante del § 1 impiega i numerali (può essere la serie delle lettere dell’alfabeto); inoltre contiene due parole che potrebbero suonare «là» e «questo» (ciò, infatti, fornisce già un’indicazione approssimativa circa il loro scopo), le quali vengono usate insieme con un gesto indicatore della mano; e infine un certo numero di campioni di colori. A dà un ordine del tipo «d-lastra-là». Cosí facendo mostra all’aiutante un campione di colore, e, pronunciando la parola «là», indica un punto del cantiere. Dal mucchio di lastre B ne prende una del colore del campione per ogni lettera dell’alfabeto, fino a «d», e le porta nel punto indicato da A. – In altre occasioni A dà l’ordine: «questo-là». Dicendo «questo» indica una pietra da costruzione. E cosí via.
9. Quando impara questo linguaggio, il bambino deve imparare a memoria la serie dei ‘numerali’ a, b, c, ... E deve anche imparare il loro uso. – Quest’istruzione comprenderà anche un insegnamento ostensivo delle parole? – Ebbene, per esempio si indicano alcune lastre e si conta: «a, b, c, lastre». – Una maggior somiglianza con l’insegnamento ostensivo delle parole «mattone», «pilastro», ecc., avrebbe l’insegnamento ostensivo di numerali che non servissero a contare, ma a designare gruppi di cose che possono venir afferrati con lo sguardo. Proprio cosí i bambini imparano l’uso dei primi cinque o sei numeri cardinali.
Anche «là» e «questo» si insegnano ostensivamente? – Immagina in qual modo si potrebbe insegnare il loro uso! Indicando luoghi e oggetti, – ma qui l’indicare ha luogo anche nell’uso delle parole, e non soltanto nell’apprendimento dell’uso. –
10. Che cosa designano le parole di questo linguaggio? – Che cosa, se non il modo del loro uso, dovrebbe rivelare ciò che designano? E noi l’abbiamo già descritto. L’espressione «questa parola designa ciò» dovrebbe dunque diventare una parte di questa descrizione. Oppure: la descrizione deve venire ridotta alla forma: «La parola... designa...»
Naturalmente possiamo abbreviare la descrizione dell’uso della parola «lastra» dicendo semplicemente che questa parola designa quest’oggetto. Faremo ciò quando, per esempio, si tratta solo di eliminare l’equivoco che la parola «lastra» si riferisca a quel pezzo da costruzione che in realtà chiamiamo «mattone», – essendo però già noti il modo e la maniera di questo ‘riferimento’, vale a dire l’uso di queste parole in tutto il rimanente.
E allo stesso modo si può dire che i segni «a», «b», ecc., designano numeri, se ciò toglie di mezzo l’equivoco per cui «a», «b», «c» svolgerebbero, nel linguaggio, l’ufficio che in realtà svolgono «mattone», «pilastro», «lastra». E si può anche dire che «c» designa questo numero e non quello; se, con ciò, si chiarisce in qualche modo che le lettere dell’alfabeto devono venire impiegate secondo la successione a, b, c, d, ecc. e non secondo quella: a, b, d, c.
Ma assimilando in tal modo l’una all’altra le descrizioni degli usi delle parole non si rendono per nulla piú simili questi usi! Infatti, come si vede, essi sono completamente eterogenei.
11. Pensa agli strumenti che si trovano in una cassetta di utensili: c’è un martello, una tenaglia, una sega, un cacciavite, un metro, un pentolino per la colla, la colla, chiodi e viti. – Quanto differenti sono le funzioni di questi oggetti, tanto differenti sono le funzioni delle parole. (E ci sono somiglianze qui e là.)
Naturalmente, quello che ci confonde è l’uniformità nel modo di presentarsi delle parole che ci vengono dette, o che troviamo scritte e stampate. Infatti il loro impiego non ci sta davanti in modo altrettanto evidente. Specialmente, non quando facciamo filosofia!
12. Come quando guardiamo nella cabina di una locomotiva: ci sono impugnature che hanno tutte, piú o meno, lo stesso aspetto. (Ciò è comprensibile, dato che tutte debbono venire afferrate con la mano.) Ma una è l’impugnatura di una manovella che può venir spostata in modo continuo (regola l’apertura di una valvola); un’altra è l’impugnatura di un interruttore che ammette solo due posizioni utili: su e giú; una terza fa parte della leva del freno: piú forte si tira piú energicamente si frena. Una quarta è l’impugnatura di una pompa: funziona solo fin quando la muoviamo in qua e in là.
13. Dicendo: «ogni parola di questo linguaggio designa qualcosa» non abbiamo ancora detto proprio niente; a meno che non abbiamo precisato quale distinzione desideriamo fare. (Potrebbe ben darsi, per esempio, che volessimo distinguere le parole del linguaggio (8) da parole ‘senza significato’, come quelle che si trovano nelle poesie di Lewis Carroll, o da parole come «trallallallera», contenute in una canzone.)
14. Immagina che qualcuno dica: «Tutti gli strumenti servono a modificare qualche cosa. Il martello, la posizione di un chiodo; la sega, la forma di un asse, ecc.». – E che cosa modificano il metro, il pentolino della colla, i chiodi? – «La nostra conoscenza della lunghezza di un oggetto, la temperatura della colla, e la solidità della cassa». ______ Ma con quest’assimilazione dell’espressione si sarebbe guadagnato qualcosa? –
15. La parola «designare» trova forse la sua applicazione piú diretta nei casi in cui il segno è posto sull’oggetto che designa. Supponi che gli strumenti che A utilizza per la costruzione portino certi segni. Se A mostra all’aiutante uno di questi segni, questi gli porterà lo strumento provvisto di quel segno.
Cosí, o in modo piú o meno simile, un nome designa una cosa, e viene dato un nome a una cosa. – Spesso, mentre filosofiamo, si rivela utile dire a noi stessi: Denominare una cosa è come attaccare a un oggetto un cartellino che reca il suo nome.
16. Che dire dei campioni di colori che A mostra a B? – Fanno parte del linguaggio? Come si preferisce. Non fanno parte ...

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