Psicologia delle masse e analisi dell'Io
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Psicologia delle masse e analisi dell'Io

Sigmund Freud, Davide Tarizzo, Enrico Ganni

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Psicologia delle masse e analisi dell'Io

Sigmund Freud, Davide Tarizzo, Enrico Ganni

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Da un lato, Freud osserva e cataloga precisi fenomeni sociali con la stessa cura con cui un botanico classifica le piante. Dall'altro, affonda la lama dei concetti psicoanalitici nella carne della storia con la stessa decisione con cui un chirurgo apre le viscere di un corpo. Il risultato è uno spaccato inquietante sui vizi congeniti della modernità e sulla sua irresistibile tendenza a scatenare violenti terremoti politici. Il sogno latente della modernità, il sogno di una società senza padre, il sogno di una comunità in cui non vigano piú rapporti asimmetrici di potere, sembra destinato a rovesciarsi periodicamente nel suo opposto: la riapparizione di un Padre primordiale, dai tratti osceni e prevaricatori, cui viene prestata un'obbedienza cieca e irrazionale. Massa è il nome di questa malattia. L'introduzione di Davide Tarizzo non solo contestualizza il saggio, ma lo mette a confronto con le diverse sfide e i nuovi problemi del nostro presente, rivelando al lettore tutta la ricchezza di spunti di riflessione che La psicologia delle masse continua a offrire.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2015
ISBN
9788858421116

Quando un popolo muore

Freud. Come si fa a giudicarlo superato, se ancora non l’abbiamo interamente capito?
J. LACAN, intervista a «Panorama», 21 novembre 1974.
Nella modernità si sono avvicendati molteplici attori collettivi capaci di dire «noi», ossia capaci di agire e parlare all’unisono. Alcuni di questi attori hanno assunto lo statuto di soggetti politici. Esempi di soggettività politica moderna sono i popoli, le nazioni. Esempi ulteriori sono le classi (sociali) o le razze (biologiche). Casi ancora diversi sono l’umanità, oppure la moltitudine. Lo spazio politico moderno, tuttavia, non è saturato interamente da questi soggetti politici. Esiste una grandezza politica che non presenta i tratti di una soggettività eppure costituisce una forza politica piú o meno trainante, a seconda dei passaggi storici. Nella seconda metà dell’Ottocento si comincia a nominarla con insistenza «folla», «massa», «gruppo».
1. La società senza padre.
Quando Freud si accinge a scrivere la Psicologia delle masse, tra la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti del secolo scorso, la letteratura sull’argomento è già abbastanza nutrita. Gli autori che egli cita e discute – Gustave Le Bon, Gabriel Tarde, William McDougall – non sono che un piccolo campione degli studiosi che fino a quel momento si sono dedicati al problema. La psicologia sociale, e piú in particolare la psicologia politica, è un campo di ricerche che in quel periodo attira sempre piú l’attenzione di Freud. Basti ricordare – oltre agli importanti saggi successivi alla Psicologia delle masse, come L’avvenire di un’illusione, Il disagio nella civiltà e L’uomo Mosè e la religione monoteistica – il precedente Considerazioni attuali sulla guerra e la morte o, esempio ancor piú significativo, il denso e controverso Totem e tabú, descritto dallo stesso Freud, nelle prime righe, come un contributo in chiave psicoanalitica alla disciplina nota allora come «psicologia dei popoli».
Il dibattito sulla psicologia sociale e politica si estendeva anche alla cerchia dei discepoli o degli ospiti occasionali della Società Psicoanalitica di Vienna. Vale la pena di ricordare almeno due nomi: Paul Federn, uno degli allievi prediletti di Freud, che nel 1919 tiene a Vienna due conferenze pubblicate in seguito con il titolo La società senza padre: sulla psicologia della rivoluzione; e Hans Kelsen, che nel 1922 tiene alla Società Psicoanalitica di Vienna una relazione sul Concetto di Stato e la psicologia sociale con particolare riferimento alla teoria delle masse di Freud. Entrambi i saggi sono menzionati da Freud nella Psicologia delle masse (quello di Kelsen in una nota aggiunta alla seconda edizione) ed entrambi pongono con forza l’accento sulla questione che Freud ritiene cruciale, la questione del padre come fonte o modello dell’autorità di un uomo sull’altro – in primis dell’autorità politica1.
A parte la pur rilevante eccezione della prima Scuola di Francoforte2, tale questione si rivelerà piuttosto indigesta per la riflessione filosofica sul potere e sulla politica, anche la piú avveduta, anche la piú prossima e sensibile agli insegnamenti della psicoanalisi freudiana. Tanto per fare due esempi: né Ernesto Laclau né Étienne Balibar, nelle loro recenti riletture della Psicologia delle masse3, prestano la dovuta attenzione alla questione del padre, o del paternalismo politico, quasi che John Locke avesse sbrigato una volta per tutte la faccenda all’alba della modernità con la stesura del primo dei Due trattati sul governo e la sua spietata critica del Patriarca di Robert Filmer. Eppure, come giustamente sottolinea Kelsen, Freud non parla d’altro, per lo meno a partire da Totem e tabú. Parla dell’«autorità tout court: l’autorità del padre»4.
Secondo Freud l’affinità psicologica dell’atteggiamento religioso e di quello sociale va spiegata non per ultimo col fatto che i due legami riportano a un’unica e medesima, fondamentale esperienza psichica, che opera in modo uguale nella relazione con l’autorità religiosa come in quella con l’autorità sociale. È il rapporto del figlio col padre, che penetra nella mente del fanciullo come un gigante, come una forza superiore, e diventa per il fanciullo l’autorità per eccellenza. Anche in seguito ogni autorità viene vissuta come padre e come sostituti del padre appaiono il dio venerato, l’eroe ammirato, il principe amato con rispettoso timore; solo come rappresentanti del padre queste autorità possono suscitare per sé tutti quegli stati di eccitazione psichica che fanno gli uomini bambini senza volontà propria, senza opinioni personali5.
Se nell’autorità del padre si può scorgere l’origine dell’autorità religiosa e sociale – che nelle prime società umane prende la forma del Totem-Padre originario6 –, questo però non significa, secondo Kelsen, che si debba restare aggrappati all’autorità paterna per l’eternità. Al contrario: cosí come sul piano religioso la figura del Dio-Padre dà luogo a paradossi e aporie di cui il pensiero umano può sbarazzarsi abbracciando un radicale ateismo che lascia il mondo in mano a quegli uomini senza Dio che sono gli odierni scienziati, allo stesso modo sul piano sociale e politico la figura dello Stato-Padre come doppione, come «ipostatizzazione» dell’ordinamento giuridico va abbandonata. Solo cosí il pensiero giuridico può trasformarsi in un’autentica scienza giuridica. Il Dio-Padre è un’ipostatizzazione del mondo, lo Stato-Padre è un’ipostatizzazione del diritto, sostiene Kelsen. C’è qualcosa di fantasmatico in queste entità, che va lasciato cadere. Ma che cosa può essere uno Stato che si risolve da cima a fondo in ordinamento giuridico? Che cosa può essere una «pura teoria giuridica dello Stato, che dissolve il concetto di uno Stato differente dal diritto», vale a dire il concetto di uno Stato che, prima di essere diritto, sarebbe «persona»? Può essere solamente, risponde Kelsen, una «dottrina dello Stato – senza Stato»7. Può essere solamente una dottrina dello Stato-Diritto senza Stato-Padre. Troviamo qui, in questi saggi kelseniani dei primi anni Venti cosí colpiti dal vento delle idee freudiane, i germi di quella «dottrina pura del diritto» che nel Novecento andrà a rilanciare la lunga corsa della modernità, la corsa verso quella società senza padre in cui l’asimmetria tra gli individui, l’autorità piú o meno arbitraria di un uomo sull’altro, tende a ridursi fino a scomparire del tutto.
Società ideale? Società reale? Per Kelsen – senza dubbio – società migliore, società secolarizzata, società al passo con i tempi della politica moderna e con i progressi della scienza moderna. Lo stesso Freud non è insensibile a questi richiami. Giudica «intelligente e acut[o]» l’intervento di Kelsen alla Società Psicoanalitica di Vienna8. Tuttavia, l’ideale di una società senza padre sembra restare lontano dalla realtà, agli occhi dello psicoanalista. Ne è prova la Psicologia delle masse, cosí come ne saranno prova altri testi, intrisi di un pessimismo che – va comunque notato – non arriverà mai a cancellare sino in fondo l’eventualità di una futura «dittatura» laica della ragione sulle nostre comunità9. La posizione di Freud a riguardo è sottile, corre su un filo di lama, e va soppesata in tutta la sua complessità.
Vicino a lui, per esempio, Paul Federn vede le cose in maniera leggermente diversa. Se l’idea di partenza resta quella di una configurazione paterna dell’autorità sociale e politica, tale da indurre a pensare che assai spesso gli individui «scelgono il loro partito, non in base alla riflessione, bensí in base alla disposizione inconscia verso il padre»10, l’idea di arrivo è quella di una società senza padre, auspicabile e possibile in un futuro non troppo remoto, forse addirittura già in procinto di realizzarsi qua e là.
Il fatto che in America la repubblica sia ancorata in maniera cosí impressionante nel sentimento popolare ha la sua ragion d’essere psicologica nel fatto che tutti gli emigranti hanno lasciato in Europa gli oggetti delle loro relazioni padre-figlio, e molti lo hanno fatto coi sentimenti piú ostili. Arrivano senza padre con la speranza che la liberazione, di cui la statua nel porto reca loro il saluto, li trasformerà in fratelli con pari diritti. Manca poi oltretutto in America una discendenza comune che, inconsciamente, rafforza l’idea di un padre comune11.
Tutto ciò non basta ancora, prosegue Federn, a considerare già realizzata una società senza padre, né in America né altrove – per esempio nella Russia bolscevica – poiché enormi ostacoli alla sua definitiva vittoria rimangono sepolti in ciascuno di noi, sia in virtú dell’educazione familiare tradizionale sia in virtú di fattori ereditari comuni all’intero genere umano di cui è difficile sbarazzarsi di punto in bianco. Ciò nonostante, conclude Federn, il Leitmotiv padre-figlio ha subito in tempi recenti la sua peggiore disfatta. Il che farebbe ben sperare per il futuro immediato. Federn, che nel 1924 diverrà vicepresidente della Società Psicoanalitica di Vienna e nel 1938 si trasferirà in America, dove diverrà uno dei fondatori della Ego-Psychology, non sapeva ancora all’epoca quali parole di fuoco Freud avrebbe scritto nel giro di qualche anno sulla civiltà americana e su una delle sue piú sintomatiche espressioni politiche, il presidente Thomas Woodrow Wilson12. A parte questo, però, è probabile che Freud condividesse e, anzi, avesse contribuito a inculcare nel giovane allievo l’aspirazione a un’emancipazione generale della società umana dalla figura del padre. In fondo, era in questa direzione che il trattamento psicoanalitico era intimamente orientato, verso un tramonto e definitivo oltrepassamento del complesso edipico nei singoli individui affetti da nevrosi e da sensi di colpa immancabilmente legati alla imago paterna. Il problema semmai, per come Freud lo avrebbe riformulato in Psicologia delle masse, frenando l’entusiasmo del promettente discepolo, è che quanto si rivelava talvolta possibile al livello dei singoli individui era assai piú problematico, o forse persino impossibile da realizzare, al livello delle formazioni coll...

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