Storia europea della letteratura italiana I
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Storia europea della letteratura italiana I

Le origini e il Rinascimento

Alberto Asor Rosa

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Storia europea della letteratura italiana I

Le origini e il Rinascimento

Alberto Asor Rosa

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Dopo avere innovato profondamente la storiografia letteraria con un'opera collettiva come la Letteratura italiana Einaudi, da lui ideata e diretta, Alberto Asor Rosa ridisegna questa volta interamente in prima persona gli intrecci fra opere, uomini, luoghi, condizioni storiche ed economiche che dànno vita alla nostra tradizione letteraria. Un approccio che ha comportato un rinnovato confronto diretto con le opere, favorendo uno straordinario impegno critico a fianco di quello storiografico e fuso con esso. Dunque molta passione nel suggerire nuove chiavi interpretative per leggere e apprezzare in profondità Dante o Boccaccio, maggiori e minori, ed estrema lucidità nell'individuare il filo di un'identità nazionale attraverso la letteratura, che è nello stesso tempo contestualizzazione nelle piú generali radici europee. Radici che sono molteplici: latine e cristiane, ma anche preromane e barbariche.
Una storia letteraria nuova per molti aspetti, non ultimo quello della periodizzazione scelta da Asor Rosa, che sottolinea la continuità fra Medioevo e Rinascimento ponendo la vera frattura e la nascita della modernità alla fine del Cinquecento, con la trasformazione dei modelli culturali europei e il drastico ridimensionamento della letteratura italiana a livello internazionale. Storia europea della letteratura italiana II. Dalla decadenza al Risorgimento.
Storia europea della letteratura italiana III. La letteratura della Nazione.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2016
ISBN
9788858423646

STORIA EUROPEA DELLA LETTERATURA ITALIANA

I. Le origini e il Rinascimento

A Caterina, Giovanni, Francesca, Elena, Eleonora.
Nel testo, i rimandi al vol. II e al vol. III si riferiscono a: A. ASOR ROSA, Storia europea della letteratura italiana, II. Dalla decadenza al Risorgimento e III. La letteratura della Nazione, Einaudi, Torino 2009.

Capitolo primo

L’unità del mondo latino-medievale (secoli V-XI)

1. La caduta dell’Impero romano d’Occidente.
Nel 476 d.C. Odoacre, un nobile barbaro che era stato messo a capo della guardia imperiale, sollevò le sue truppe contro Romolo Augustolo, creato a sua volta imperatore dal padre, Oreste, un barbaro anche lui, che prima di Odoacre era stato magister militum (comandante delle milizie imperiali). Oreste fu ucciso, Romolo Augustolo relegato in Campania; e Odoacre, invece di proclamarsi imperatore al suo posto, come ormai era diventata una consuetudine nei decenni precedenti, preferí rimandare all’imperatore di Oriente, Zenone, le insegne imperiali, dichiarando di voler governare l’Italia in suo nome col titolo di patricius.
Con la data del 476 d.C. si suole dunque indicare convenzionalmente la fine dell’Impero romano d’Occidente, che aveva abbracciato grosso modo quelli che, secondo le denominazioni moderne, sono i territori dell’Italia, della Dalmazia, della Francia, dell’Inghilterra, della Spagna e del Portogallo, della Germania occidentale e di buona parte dell’Africa settentrionale, dal Marocco alla Libia: i territori, cioè (se si escludono quelli africani, che avranno in futuro una storia tutta diversa), in cui fioriranno piú avanti le grandi culture e letterature medievali e moderne europee, alle quali la letteratura italiana sarà fin dall’inizio strettamente legata.
Data questa macroscopica coincidenza, dovrà esistere dunque un rapporto tra questa vicenda storica e le vicende culturali e letterarie che ne seguiranno. Il rapporto infatti c’è: anzi, ce ne sono molti. E su questi rapporti, nello spazio storico che per ora delimiteremo ai secoli che vanno dal V al IX d.C. (dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente alla creazione del Sacro romano Impero da parte del re franco Carlo Magno), costruiremo il nostro discorso introduttivo nelle pagine seguenti.
2. I tre grandi «fattori» dell’unità latino-medievale: l’elemento barbarico, la tradizione classica, la religione e la cultura cristiane.
2.1. L’elemento barbarico.
L’Impero romano d’Occidente non aveva certo aspettato il 476 d.C. per entrare in una crisi profonda e in un processo di smembramento e di dissoluzione. Dopo Teodosio (379-95), che, per ultimo, aveva governato sull’intero dominio imperiale, al pari per intenderci di un Traiano (97-117) o di un Costantino (306-37), l’Impero s’era diviso in due grandi segmenti, quello d’Occidente, con capitale a Roma, e quello d’Oriente, con capitale a Costantinopoli. L’Impero romano d’Oriente avrà una sua storia, tutta diversa, anche se, ancora per parecchi secoli, essa continuerà a intrecciarsi con quella di Roma.
Ma già prima, e poi con intensità sempre maggiore dopo questa divisione, soprattutto sull’Impero romano d’Occidente avevano cominciato ad abbattersi le possenti ondate barbariche: popolazioni che venivano soprattutto dal cuore della Germania e, piú avanti, anche dalle pianure dell’Asia centrale o, addirittura, dell’estremo Oriente. Eruli, Turcilingi, Rugi, Ostrogoti (Goti orientali), Visigoti (Goti occidentali), Vandali, Svevi, Alani, Franchi, Burgundi, Longobardi, Ungari, Sassoni, Angli, Frànconi (e poi Unni e Mongoli): ognuno dotato di una sua cultura e di una sua lingua (anche se il piú delle volte appartenenti al medesimo ceppo germanico), con strutture tribali e consuetudini spesso molto elementari ma in via di evoluzione, anche per il processo di imitazione che essi intrapresero precocemente delle assai piú sviluppate istituzioni giuridiche e amministrative romane.
Queste popolazioni occuparono progressivamente tutto lo spazio territoriale dell’Impero romano d’Occidente. Questo è dunque il primo elemento di novità rispetto alla situazione precedente, caratterizzata dall’unità giuridica, amministrativa, economica e linguistica dell’Impero romano. I barbari sostituirono ovunque l’elemento latino preesistente, soppiantandolo decisamente nelle attività di governo e nel mestiere delle armi. Nacquero, sia pure con rivolgimenti e cambiamenti improvvisi, dovuti, appunto, alla mancanza di assetti consolidati, regni separati, nei quali si possono intravvedere i lineamenti di quelli che saranno alcuni dei futuri grandi Stati europei: i Visigoti si insediarono in Spagna, i Franchi in Francia, gli Ostrogoti (con il grande re Teodorico) in Italia, creando domini e stati caratterizzati da lineamenti sempre piú solidi e certi, non piú tribali.
L’impronta barbarica sulle prime manifestazioni della letteratura e dell’arte medievali è fortissima, forse piú di quanto solitamente non si dica: alcune tematiche – l’onore, le armi, la guerra, anche un certo modo di concepire l’amore – derivano direttamente dalla cultura di queste popolazioni originariamente nomadi, sempre alla ricerca di nuovi spazi e dunque sempre con le armi in pugno. Rispetto alla cultura classica antica, fondata essenzialmente sul culto della simmetria, dell’armonia e dell’ordine, essi introdussero nuovi valori e un diverso atteggiamento del gusto, piú sensibile all’autenticità del sentimento e alla robustezza istintiva dell’espressione.
2.2. La tradizione classica.
E però la cultura barbarica era strutturalmente troppo povera ed elementare per non dover scendere a patti con la possente eredità latina e romana. Su due terreni, soprattutto, si verificò questa trasmissione di elementi dalla cultura latina a quella barbarica. Il primo fu quello delle esperienze di carattere giuridico e amministrativo. I nuovi regni avevano bisogno di leggi, di codici, di funzionari esperti: li trovarono nell’elemento latino sopravvissuto. Ad esempio: per l’ostrogoto Teodorico furono magistri officiorum (ossia, in sostanza, capi dell’amministrazione reale) prima Severino Boezio, poi Magno Aurelio Cassiodoro, ambedue patricii (cioè, nobili) romani. Cassiodoro, ritiratosi dal servizio attivo, scrisse nel 544 d.C. Institutiones divinarum et secularium litterarum [Elementi fondamentali di cultura religiosa e laica], una specie di enciclopedia del sapere del suo tempo. Boezio, invece, caduto in disgrazia e rinchiuso in carcere, scrisse nel 524 il prosimetro De consolatione philosophiae [La consolazione che viene dalla filosofia, ovvero dall’amore e dalla conoscenza del sapere], un’opera che ebbe una diffusione enorme nei secoli successivi e che costituisce un manifesto dell’importanza che anche in questo periodo continuavano ad avere la cultura, la filosofia e la letteratura antiche (Boezio fu molto importante anche perché, conoscendo bene il greco, contribuí a mantenere aperti i canali fra tradizione culturale greca e tradizione culturale latina, anche quando i due Imperi si furono separati).
Il secondo, fondamentale terreno di trasmissione riguardò la grammatica e la retorica, insomma le forme e i modi del discorso, le regole, gli espedienti, gli accorgimenti, per scrivere e parlare bene. In questo la tradizione latina aveva raggiunto un livello altissimo di raffinatezza, anche nel suo periodo piú tardo, mentre i barbari risultavano assolutamente carenti. Fiorirono durante tutto il lungo periodo di cui stiamo parlando (e fino al XIII secolo) le artes dictandi, che erano in sostanza dei manuali, in cui si davano istruzioni sul modo migliore di parlare e di scrivere. Il dotto vescovo cristiano di Siviglia, Isidoro (560-636 d.C.), compose un’imponente opera in venti volumi intitolata Ethimologiae, in cui, investigando l’origine di molte parole e nomi, in realtà metteva insieme una vera e propria enciclopedia di tutto il sapere del suo tempo. Si fondavano le basi, cosí, del sapere latino medievale, che si sarebbe sostanzialmente organizzato nel sistema delle cosiddette arti liberali, divise a loro volta in due gradi dell’insegnamento, l’uno letterario e propedeutico, il trivio (comprendente la grammatica, la retorica, la dialettica), l’altro scientifico e specializzato, il quadrivio (comprendente l’aritmetica, la geometria, la musica, l’astronomia).
Come si può intuire da quanto abbiamo detto finora, in tutte queste attività specializzate il latino continuava a svolgere un ruolo assolutamente prevalente. Si crea cosí una situazione, destinata a durare molti secoli, che gli storici della lingua hanno definito bilinguismo. I popoli occupanti continuano a parlare la loro lingua, ma per le attività culturali, giuridiche e amministrative il latino, pur con le modificazioni imposte dall’uso, continua ad essere la lingua dominante. Alla frammentazione politica continua a contrapporsi un’unità culturale, di cui è strumento e tramite la fondamentale unitarietà linguistica. I dotti – o anche semplicemente gli uomini colti – dei territori francesi, inglesi, italiani, spagnoli, tedeschi, continuano a intendersi fra loro, perché parlano e scrivono una lingua speciale, che è la stessa (sostanzialmente) per tutti.
2.3. La religione e la cultura cristiane.
Infine, il terzo grande elemento d’unità culturale per queste regioni fu l’imponente diffusione del cristianesimo: forse il piú originale, perché, se nel sapere giuridico e amministrativo e in quello retorico, i barbari erano dovuti ricorrere, come abbiamo visto, all’elemento della tradizione latina, l’elemento cristiano era nato e si era sviluppato proprio nei secoli della decadenza e della dissoluzione dell’Impero romano ed aveva avuto una sua storia tutta particolare.
Veramente, già nell’ultima fase dell’Impero, il cristianesimo si era imposto come una realtà di prima grandezza in quella secolare vicenda. Con l’imperatore Costantino, agli inizi del IV secolo, ai cristiani era stata concessa libertà di culto (e la leggenda vorrebbe che egli vincesse contro il suo rivale Massenzio una grande e decisiva battaglia alle porte di Roma, perché aveva assunto la croce come insegna). Con Teodosio, regnante, come abbiamo già visto, alla fine del IV secolo, il cristianesimo era diventato addirittura la religione ufficiale dello Stato (cioè: rovesciando del tutto la situazione precedente, furono perseguitati quei cittadini che continuavano a praticare il paganesimo).
Dunque, fra elemento romano ed elemento cristiano si erano stabiliti dei legami profondi ben prima che l’Impero romano d’Occidente crollasse (e altrettanto era accaduto a Oriente). Ma a questa situazione si era arrivati per fasi successive.
All’inizio – ad esempio, con pensatori cristiani come Tertulliano (160-220 ca. d.C.) – la contrapposizione fu dura e senza concessioni: il cristianesimo si contrappose come un nuovo mondo del tutto autonomo e autosufficiente a quello antico. Bisogna anche tener presente che, nella prima fase di diffusione, i cristiani furono duramente perseguitati dalle autorità imperiali: s’era creato perciò un clima di violenta opposizione, nel quale i credenti sottolinearono fortemente l’elemento nuovo e anche antagonistico, di cui la fede cristiana era permeata.
In seguito i processi di reciproca assimilazione si fecero sempre piú intensi. Anche i cristiani, che in fondo erano come dei barbari spirituali rispetto alla realtà culturale del mondo classico, ebbero bisogno di assumere, per la stessa diffusione del nuovo verbo, gli strumenti della cultura antica e, in modo particolare, ne perpetuarono l’uso linguistico, e cioè il latino. Alcuni dotti cristiani in modo particolare si fecero interpreti di queste nuove esigenze.
Sofronio Eusebio Girolamo (347-420 ca. d.C.), piú noto come san Girolamo, pur manifestando la piú rigida intolleranza nei confronti dei contenuti della sapienza pagana, si fece sostenitore dell’utilizzo di elementi propri della cultura retorica e letteraria antica al fine di rendere piú efficace la parola del cristianesimo. Tradusse in latino direttamente dall’ebraico l’Antico Testamento e revisionò le precedenti traduzioni in latino del Nuovo: questa versione della Bibbia, nota col nome di Vulgata, ebbe una diffusione enorme e, in quanto libro universale di culto per i cristiani, da una parte agevolò potentemente la diffusione della nuova religione, in quanto utilizzava la lingua piú nota nell’Europa del tempo, dall’altra agganciò definitivamente l’uso del latino alla storia liturgica e culturale della Chiesa, favorendone enormemente la sopravvivenza come lingua della cultura e della religione.
Aurelio Agostino (354-430), piú noto come sant’Agostino, autore di opere capitali nella storia del pensiero cristiano, come le Confessiones [Confessioni] e il De civitate Dei [La città di Dio], nel De doctrina christiana [La dottrina dei cristiani], sostenne la tesi che nei grandi testi letterari e filosofici dei pagani non c’erano soltanto invenzioni menzognere e superstiziose ma anche utili precetti morali, ammaestramenti stilistici e linguistici e quelle «arti liberali» che, come abbiamo già visto, costituirono il corredo indispensabile per organizzare e impartire la cultura del tempo.
Sulla base di queste posizioni teoriche e culturali, il rapporto fra tradizione classica e mondo cristiano ebbe anche effetti pratici molto importanti. Nel V e soprattutto nel VI secolo cominciò a diffondersi il fenomeno del monachesimo: comunità di uomini pii, che si allontanavano dalle città per dedicarsi in solitudine all’ascesi e alla preghiera. Dapprima questa scelta ebbe un carattere prevalentemente contemplativo. Poi, con san Benedetto (480-547 ca. d.C.), fondatore del grande monastero di Montecassino, il monachesimo occidentale conobbe una svolta. Accanto alla preghiera e alla lettura dei libri sacri, la Regula monasteriorum [La regola dei monasteri], da lui compilata, prevedeva il lavoro manuale ma anche la trascrizione dei codici e lo studio. Questa notizia è di fondamentale importanza. Le grandi opere classiche avevano corso il pericolo, durante gli anni piú duri delle invasioni barbariche, di essere distrutte e di sco...

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