Una Sirena a Settembre
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Una Sirena a Settembre

Maurizio de Giovanni

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Una Sirena a Settembre

Maurizio de Giovanni

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Accadono due fatti. Due fatti che appaiono chiari, eppure a Mina i conti non tornano. Un'anziana viene scippata, cade e finisce in coma. Sin qui nulla di strano, purtroppo; è la soluzione del caso, il modo in cui arriva, a non convincere. E convince poco pure il secondo episodio, una scena di povertà estrema mandata in onda da una televisione locale: un bambino che si contende del cibo con un cane fra montagne di spazzatura. No, a Mina i conti non tornano proprio. Cosí, con l'aiuto dell'innamoratissimo Mimmo Gammardella, il ginecologo piú bello dell'universo, e a dispetto del suo caustico ex marito, il magistrato Claudio De Carolis, decide di indagare. Solo che deve stare attenta, perché di mezzo, in questa vicenda, ci sono parecchie sirene, e le sirene, si sa, incantano. Per fortuna, a far da guida tra inganni e malintesi, c'è la Signora, straordinario personaggio che attraversa tutto il romanzo, una delle invenzioni piú poetiche nate dalla fantasia di Maurizio de Giovanni.«Una delle croci che la dottoressa Settembre Gelsomina doveva trasportare in cima al monte era senz'altro il tragitto per arrivare al Consultorio Quartieri Spagnoli Ovest, dove impavida e sprezzante del pericolo prestava il proprio servizio in qualità di assistente sociale. Il motivo principale era che non aveva le physique du rôle. La realtà era che Mina aveva un'anima e una mente rinchiuse, per un qualche errore di fabbrica o per la divertita perfidia del Celeste Architetto, nell'involucro sbagliato. Passione civile, istanze sociali, un senso della giustizia che rasentava l'ossessione, una determinazione feroce a osteggiare qualsiasi sopruso; e un corpo e un viso di fronte ai quali si scatenavano i piú bassi istinti, e che non accennavano, nonostante il passare degli anni, a sottostare alla legge di gravità».

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2021
ISBN
9788858436868

XII.

La ripetitività dei gesti, una volta arrivata in ufficio, era per Mina di gran conforto. Aveva un’indole ordinata e precisa, forse un riflesso del desiderio di mettere le cose a posto secondo giustizia, per cui nel suo habitat pretendeva di potersi muovere anche bendata.
Accese il computer – un reperto di archeologia industriale che presto avrebbe raggiunto un certo valore sul mercato del vintage – consentendo alla macchina di dare inizio ai quaranta minuti necessari per l’avviamento; sistemò il telefonino nell’unico spazio sfuggito alla totale assenza di campo, l’angolo destro del davanzale dell’unica finestra che dava forse su un cortile interno (la formula dubitativa era dovuta agli strati di sporco che rendevano la lastra trasparente quanto l’acciaio); appese l’impermeabile a un chiodo che un tempo, secondo la volontà di chi l’aveva preceduta, aveva sorretto la fotografia di un presidente del Consiglio da lei ritenuto antitetico ad alcune attività che si portavano avanti in quel luogo; depose la borsa dal contenuto sedimentario, per gran parte ignoto a lei stessa ma dal peso specifico affine all’osmio. Sedette, riscuotendo il solito gemito dell’antica sedia con lo schienale alto e miracolosamente confortevole, cercando di spiegarsi lo strano comportamento rilevato lungo il tragitto verso il consultorio.
Udí un bussare discreto alla porta. Da uno spiraglio si affacciò il sosia di Brad Pitt in In mezzo scorre il fiume, che con aria smarrita chiese se poteva entrare. All’interno della cassa toracica, Mina sentí confrontarsi due emozioni di segno opposto, come sempre le accadeva quando si trovava a tu per tu con il dottor Gammardella Domenico: la voglia di baciarlo e di costringerlo a una sessione di sesso estremo contro la parete, e il desiderio di prenderlo a calci nelle stesse parti basse in precedenza agognate.
Di volta in volta, le ragioni della seconda istanza variavano con decisione. Quella mattina non era intenzionata a perdonargli il defunto fidanzamento con Viviana e l’aver corteggiato in sogno la fidanzata bionda dell’ex marito. Irrazionale? Assurdo? Campato in aria? Certo, avrebbe risposto. Perché, il mio stomaco deve rendere conto a qualcuno? La risultante fra i due sentimenti fu una distanza glaciale.
– Ah, sei tu, Gammardella. Prego, entra pure e dimmi. In fretta, però, ché ho da fare.
Era una bugia bella e buona, non c’erano persone in attesa e non aveva adempimenti burocratici da compiere. Ma non riusciva proprio a essere cordiale con uno che nemmeno un’ora prima flirtava con una tizia nella foresta pluviale.
– Chiamami Mimmo, ti prego. Mi fai sentire un estraneo, cosí.
Mina emise un suono a metà fra uno sbuffo e un grugnito. Il medico si strinse nelle spalle, sconfitto.
– Stamattina avevo una dozzina di appuntamenti, anche quattro clienti fisse di quelle ipocondriache, che non hanno niente ma vengono sempre, chissà perché.
Mina emise di nuovo quel suono, piú spostato verso lo sbuffo che verso il grugnito.
– Già, chissà perché. Sí, sí, so della tua clientela, in effetti. E allora?
– Be’, io sono mattiniero. Arrivo qui e non trovo nessuno. Saranno in ritardo, penso, e mi metto a compilare le cartelle, sono sempre in arretrato, queste utenti non mi lasciano mai il tempo, chissà perché.
– Già, chissà perché. E allora?
– E allora passa una mezz’ora, ne passa un’altra. Vado giú, pensando che magari Trapanese ne sappia qualcosa, lui sa sempre tutto, chissà perché.
Mina si domandò come fosse possibile che l’uomo non sapesse di essere identico a Brad Pitt in Fuga dal mondo dei sogni, e lo odiò un po’ di piú per questa inconsapevolezza.
– Già, chissà perché. E allora?
– E allora, non ci crederai: tu lo sai com’è Trapanese, no? Basta dargli un dito e si prende tutta la mano, a volte ti tiene a parlare per ore dei suoi acciacchi, io cerco sempre di spiegargli che non sono il medico adatto per lui, ma lui risponde, be’? Sempre un dottore siete. E invece stavolta risponde a monosillabi, come se ce l’avesse con me. Chissà perché.
Mina ebbe l’impressione di essere in una commedia musicale degli anni Sessanta, quelle in cui i protagonisti si dànno la battuta e poi cominciano a cantare. Resistette alla tentazione di rispondere in rima.
– Guarda, anche a me stamattina è parso strano. Invece di venire a dare il solito fastidio, se ne stava per conto suo. Io però credo sia un fatto positivo e lo lascerei com’è. Ora, se vuoi scusarmi…
– Ah, ma io non sono qui per Trapanese, Mina, capirai, no, no; è che poi sono arrivate queste tre donne che adesso stanno qui fuori. Credevo avessero bisogno di una visita, e ho detto: non avete appuntamento, ma poiché credo di essermi liberato sono a vostra disposizione. Invece loro mi hanno detto che… che…
Mina si agitò sulla poltrona. Uno può assomigliare pure al limite della clonazione a Brad Pitt in Sette anni in Tibet, ma non può mettersi a balbettare in conclusione di un concetto.
– Senti, qui dentro vige un principio: ognuno gestisce il proprio ambito professionale. Per cui mi dispiace, ma io adesso dovrei…
Gammardella la fissò amareggiato.
– Questo infatti è un problema del consultorio, Mina. Non certo mio. Anzi, a voler essere precisi, è piú un problema tuo. Molto di piú.
– Che vuoi dire, scusa?
Il medico aprí la porta. Al di là, in attesa, c’erano tre donne di mezza età. Una, i capelli tirati all’indietro in uno chignon noto nel luogo come tuppo, sembrava una matrioska allo stadio terminale: sferico l’addome, sferico il seno, sferico il collo, sferica la testa, teneva le mani incrociate sulla pancia come sul davanzale di una finestra, e gli occhi semichiusi avevano l’aspetto sferico anch’essi. Alle sue spalle, come due agenti di custodia, una seconda magrissima e allampanata dall’adunco naso d’uccello che accentuava l’impressione ornitologica muovendo la testa a scatti a destra e a sinistra, e una piú giovane che sembrava l’apprendista della prima ma con i cubi al posto delle sfere.
Le tre e Mina si squadrarono. Mancava la colonna sonora di Ennio Morricone per completare l’atmosfera da imminente duello. L’assistente sociale si rivolse a Mimmo, senza mostrare cedimenti.
– Be’, Domenico? C’è qualcosa che non va?
La donna sferica rispose al posto del dottore, accreditandosi come portavoce della delegazione.
– Non parlate col dottore, signori’. Parlate con noi. Perché siamo noi che vi siamo venute a dire che sí, c’è qualcosa che non va. Qualcosa di grosso, per la precisione.
Mina annuí, sollecita.
– Bene, allora siete nel posto giusto. Dica pure, signora, che succede? Abusi, violenze, usura?
L’uccello alle sue spalle fece un verso tipico della propria specie, che ricordò lo stridio di un gabbiano.
– E per queste sciocchezze venivamo qua, quant’è bella la signorina!
Mina guardò Domenico che si guardò le scarpe.
– Che vuol dire?
La portavoce rispose, lugubre:
– Che è peggio, signori’. Peggio assai. E siccome siete voi ad aver combinato il guaio, adesso lo dovete mettere a posto.
Mina sentí montare la rabbia.
– Non capisco per quale motivo vi rivolgiate al mio collega col suo titolo, giustamente, e io devo essere solo signorina.
La donna cubo, che masticava una gomma da sei etti con un rumore che ricordava un mescolatore di calcestruzzo, disse:
– Uh, e come vi dobbiamo chiamare, se non tenete nemmeno un marito? Stronza rovinafamiglie?
Poco ci mancò che Mina si mettesse a urlare.
– Maledizione, volete dirmi che accidenti volete stamattina?
Soddisfatta di aver suscitato la giusta emozione, la portavoce disse:
– Siamo qui per la trasmissione di ieri sera. Che avete da dire?
Mina guardò di nuovo Domenico, che a propria volta scrutò Mina con identica sorpresa.
– Quale trasmissione? Non ho visto nessuna trasmissione. La sera leggo, non guardo la televisione.
L’ammissione provocò sconcerto nelle tre donne. Trasalirono, mormorarono incredulità.
La piú giovane commentò:
– Non guarda la televisione e legge, la sera. E poi dicono che i delinquenti siamo noi.
L’uccello assentí con vigore, parve sul punto di beccare a terra con sussiego.
La portavoce provò a credere all’assurdità che era stata appena pronunciata e disse a Domenico:
– Dotto’, allora spiegatecelo voi all’amica vostra.
Mimmo bilanciò il peso da un piede all’altro.
– Veramente, signora, io ieri avevo degli argomenti di lavoro da approfondire e non ho potuto…
La donna alzò la mano. In quel gesto apodittico c’era tutta la consapevolezza dell’altrui ignoranza, e l’abbracciarsi la croce di dover portare la cultura nel mondo.
Riassunse dunque con affrante e sentite parole il contenuto di Il canto della Sirena, dilungandosi sulla scena del piccolo Geppino e della lotta per il pane col randagio rognoso. Dimostrò un’inaspettata attitudine al racconto immaginifico, cosí da incatenare l’attenzione dell’uditorio già alla seconda frase.
Quando concluse, nella stanza cadde un silenzio attonito. Mina balbettò:
– Ma… ma dove, come? In questo quartiere? E quella, quella conduttrice ha detto proprio che la colpa è…
Le tre annuirono come una sola. L’anziana disse:
– Sí. Ha detto che i primi responsabili sono i servizi sociali, che consentono questo… come ha detto?
– Terribile degrado, – disse l’uccello.
– E siccome i servizi sociali siete voi, voi adesso dovete togliere questa vergogna dalla faccia del quartiere. Perché noi, cara signorina, siamo gente che fatica dalla mattina alla sera, che possiamo pure fare qualcosa di sbagliato ogni tanto…
Il cubo riuscí nell’impresa di sussurrare masticando la gomma enorme.
– Sí, ma sono sciocchezze, che sarà mai…
L’altra continuò.
– Ma una cosa teniamo e ce l’abbiamo sempre avuta: alle creature ci stiamo attenti. Non le abbandoniamo a lottare coi cani per un pezzo di pane. Se la famiglia non può, allora ci pensa qualcun altro.
Mina sembrava non capire.
– E io che ci posso fare? Se que...

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