La ripetitivitĂ dei gesti, una volta arrivata in ufficio, era per Mina di gran conforto. Aveva unâindole ordinata e precisa, forse un riflesso del desiderio di mettere le cose a posto secondo giustizia, per cui nel suo habitat pretendeva di potersi muovere anche bendata.
Accese il computer â un reperto di archeologia industriale che presto avrebbe raggiunto un certo valore sul mercato del vintage â consentendo alla macchina di dare inizio ai quaranta minuti necessari per lâavviamento; sistemĂČ il telefonino nellâunico spazio sfuggito alla totale assenza di campo, lâangolo destro del davanzale dellâunica finestra che dava forse su un cortile interno (la formula dubitativa era dovuta agli strati di sporco che rendevano la lastra trasparente quanto lâacciaio); appese lâimpermeabile a un chiodo che un tempo, secondo la volontĂ di chi lâaveva preceduta, aveva sorretto la fotografia di un presidente del Consiglio da lei ritenuto antitetico ad alcune attivitĂ che si portavano avanti in quel luogo; depose la borsa dal contenuto sedimentario, per gran parte ignoto a lei stessa ma dal peso specifico affine allâosmio. Sedette, riscuotendo il solito gemito dellâantica sedia con lo schienale alto e miracolosamente confortevole, cercando di spiegarsi lo strano comportamento rilevato lungo il tragitto verso il consultorio.
UdĂ un bussare discreto alla porta. Da uno spiraglio si affacciĂČ il sosia di Brad Pitt in In mezzo scorre il fiume, che con aria smarrita chiese se poteva entrare. Allâinterno della cassa toracica, Mina sentĂ confrontarsi due emozioni di segno opposto, come sempre le accadeva quando si trovava a tu per tu con il dottor Gammardella Domenico: la voglia di baciarlo e di costringerlo a una sessione di sesso estremo contro la parete, e il desiderio di prenderlo a calci nelle stesse parti basse in precedenza agognate.
Di volta in volta, le ragioni della seconda istanza variavano con decisione. Quella mattina non era intenzionata a perdonargli il defunto fidanzamento con Viviana e lâaver corteggiato in sogno la fidanzata bionda dellâex marito. Irrazionale? Assurdo? Campato in aria? Certo, avrebbe risposto. PerchĂ©, il mio stomaco deve rendere conto a qualcuno? La risultante fra i due sentimenti fu una distanza glaciale.
â Ah, sei tu, Gammardella. Prego, entra pure e dimmi. In fretta, perĂČ, chĂ© ho da fare.
Era una bugia bella e buona, non câerano persone in attesa e non aveva adempimenti burocratici da compiere. Ma non riusciva proprio a essere cordiale con uno che nemmeno unâora prima flirtava con una tizia nella foresta pluviale.
â Chiamami Mimmo, ti prego. Mi fai sentire un estraneo, cosĂ.
Mina emise un suono a metĂ fra uno sbuffo e un grugnito. Il medico si strinse nelle spalle, sconfitto.
â Stamattina avevo una dozzina di appuntamenti, anche quattro clienti fisse di quelle ipocondriache, che non hanno niente ma vengono sempre, chissĂ perchĂ©.
Mina emise di nuovo quel suono, piĂș spostato verso lo sbuffo che verso il grugnito.
â GiĂ , chissĂ perchĂ©. SĂ, sĂ, so della tua clientela, in effetti. E allora?
â Beâ, io sono mattiniero. Arrivo qui e non trovo nessuno. Saranno in ritardo, penso, e mi metto a compilare le cartelle, sono sempre in arretrato, queste utenti non mi lasciano mai il tempo, chissĂ perchĂ©.
â GiĂ , chissĂ perchĂ©. E allora?
â E allora passa una mezzâora, ne passa unâaltra. Vado giĂș, pensando che magari Trapanese ne sappia qualcosa, lui sa sempre tutto, chissĂ perchĂ©.
Mina si domandĂČ come fosse possibile che lâuomo non sapesse di essere identico a Brad Pitt in Fuga dal mondo dei sogni, e lo odiĂČ un poâ di piĂș per questa inconsapevolezza.
â GiĂ , chissĂ perchĂ©. E allora?
â E allora, non ci crederai: tu lo sai comâĂš Trapanese, no? Basta dargli un dito e si prende tutta la mano, a volte ti tiene a parlare per ore dei suoi acciacchi, io cerco sempre di spiegargli che non sono il medico adatto per lui, ma lui risponde, beâ? Sempre un dottore siete. E invece stavolta risponde a monosillabi, come se ce lâavesse con me. ChissĂ perchĂ©.
Mina ebbe lâimpressione di essere in una commedia musicale degli anni Sessanta, quelle in cui i protagonisti si dĂ nno la battuta e poi cominciano a cantare. Resistette alla tentazione di rispondere in rima.
â Guarda, anche a me stamattina Ăš parso strano. Invece di venire a dare il solito fastidio, se ne stava per conto suo. Io perĂČ credo sia un fatto positivo e lo lascerei comâĂš. Ora, se vuoi scusarmiâŠ
â Ah, ma io non sono qui per Trapanese, Mina, capirai, no, no; Ăš che poi sono arrivate queste tre donne che adesso stanno qui fuori. Credevo avessero bisogno di una visita, e ho detto: non avete appuntamento, ma poichĂ© credo di essermi liberato sono a vostra disposizione. Invece loro mi hanno detto che⊠cheâŠ
Mina si agitĂČ sulla poltrona. Uno puĂČ assomigliare pure al limite della clonazione a Brad Pitt in Sette anni in Tibet, ma non puĂČ mettersi a balbettare in conclusione di un concetto.
â Senti, qui dentro vige un principio: ognuno gestisce il proprio ambito professionale. Per cui mi dispiace, ma io adesso dovreiâŠ
Gammardella la fissĂČ amareggiato.
â Questo infatti Ăš un problema del consultorio, Mina. Non certo mio. Anzi, a voler essere precisi, Ăš piĂș un problema tuo. Molto di piĂș.
â Che vuoi dire, scusa?
Il medico aprĂ la porta. Al di lĂ , in attesa, câerano tre donne di mezza etĂ . Una, i capelli tirati allâindietro in uno chignon noto nel luogo come tuppo, sembrava una matrioska allo stadio terminale: sferico lâaddome, sferico il seno, sferico il collo, sferica la testa, teneva le mani incrociate sulla pancia come sul davanzale di una finestra, e gli occhi semichiusi avevano lâaspetto sferico anchâessi. Alle sue spalle, come due agenti di custodia, una seconda magrissima e allampanata dallâadunco naso dâuccello che accentuava lâimpressione ornitologica muovendo la testa a scatti a destra e a sinistra, e una piĂș giovane che sembrava lâapprendista della prima ma con i cubi al posto delle sfere.
Le tre e Mina si squadrarono. Mancava la colonna sonora di Ennio Morricone per completare lâatmosfera da imminente duello. Lâassistente sociale si rivolse a Mimmo, senza mostrare cedimenti.
â Beâ, Domenico? CâĂš qualcosa che non va?
La donna sferica rispose al posto del dottore, accreditandosi come portavoce della delegazione.
â Non parlate col dottore, signoriâ. Parlate con noi. PerchĂ© siamo noi che vi siamo venute a dire che sĂ, câĂš qualcosa che non va. Qualcosa di grosso, per la precisione.
Mina annuĂ, sollecita.
â Bene, allora siete nel posto giusto. Dica pure, signora, che succede? Abusi, violenze, usura?
Lâuccello alle sue spalle fece un verso tipico della propria specie, che ricordĂČ lo stridio di un gabbiano.
â E per queste sciocchezze venivamo qua, quantâĂš bella la signorina!
Mina guardĂČ Domenico che si guardĂČ le scarpe.
â Che vuol dire?
La portavoce rispose, lugubre:
â Che Ăš peggio, signoriâ. Peggio assai. E siccome siete voi ad aver combinato il guaio, adesso lo dovete mettere a posto.
Mina sentĂ montare la rabbia.
â Non capisco per quale motivo vi rivolgiate al mio collega col suo titolo, giustamente, e io devo essere solo signorina.
La donna cubo, che masticava una gomma da sei etti con un rumore che ricordava un mescolatore di calcestruzzo, disse:
â Uh, e come vi dobbiamo chiamare, se non tenete nemmeno un marito? Stronza rovinafamiglie?
Poco ci mancĂČ che Mina si mettesse a urlare.
â Maledizione, volete dirmi che accidenti volete stamattina?
Soddisfatta di aver suscitato la giusta emozione, la portavoce disse:
â Siamo qui per la trasmissione di ieri sera. Che avete da dire?
Mina guardĂČ di nuovo Domenico, che a propria volta scrutĂČ Mina con identica sorpresa.
â Quale trasmissione? Non ho visto nessuna trasmissione. La sera leggo, non guardo la televisione.
Lâammissione provocĂČ sconcerto nelle tre donne. Trasalirono, mormorarono incredulitĂ .
La piĂș giovane commentĂČ:
â Non guarda la televisione e legge, la sera. E poi dicono che i delinquenti siamo noi.
Lâuccello assentĂ con vigore, parve sul punto di beccare a terra con sussiego.
La portavoce provĂČ a credere allâassurditĂ che era stata appena pronunciata e disse a Domenico:
â Dottoâ, allora spiegatecelo voi allâamica vostra.
Mimmo bilanciĂČ il peso da un piede allâaltro.
â Veramente, signora, io ieri avevo degli argomenti di lavoro da approfondire e non ho potutoâŠ
La donna alzĂČ la mano. In quel gesto apodittico câera tutta la consapevolezza dellâaltrui ignoranza, e lâabbracciarsi la croce di dover portare la cultura nel mondo.
Riassunse dunque con affrante e sentite parole il contenuto di Il canto della Sirena, dilungandosi sulla scena del piccolo Geppino e della lotta per il pane col randagio rognoso. DimostrĂČ unâinaspettata attitudine al racconto immaginifico, cosĂ da incatenare lâattenzione dellâuditorio giĂ alla seconda frase.
Quando concluse, nella stanza cadde un silenzio attonito. Mina balbettĂČ:
â Ma⊠ma dove, come? In questo quartiere? E quella, quella conduttrice ha detto proprio che la colpa ĂšâŠ
Le tre annuirono come una sola. Lâanziana disse:
â SĂ. Ha detto che i primi responsabili sono i servizi sociali, che consentono questo⊠come ha detto?
â Terribile degrado, â disse lâuccello.
â E siccome i servizi sociali siete voi, voi adesso dovete togliere questa vergogna dalla faccia del quartiere. PerchĂ© noi, cara signorina, siamo gente che fatica dalla mattina alla sera, che possiamo pure fare qualcosa di sbagliato ogni tantoâŠ
Il cubo riuscĂ nellâimpresa di sussurrare masticando la gomma enorme.
â SĂ, ma sono sciocchezze, che sarĂ maiâŠ
Lâaltra continuĂČ.
â Ma una cosa teniamo e ce lâabbiamo sempre avuta: alle creature ci stiamo attenti. Non le abbandoniamo a lottare coi cani per un pezzo di pane. Se la famiglia non puĂČ, allora ci pensa qualcun altro.
Mina sembrava non capire.
â E io che ci posso fare? Se que...