Vita della signora Curie
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Eva Curie

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Vita della signora Curie

Eva Curie

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Marie Curie è una donna povera e bella, figlia di una nazione oppressa. Una vocazione potente la costringe a lasciare la sua patria, la Polonia, per andare a studiare a Parigi, dove vive per lunghi anni in solitudine e difficoltà. Poi, incontra un uomo: è un genio come lei, lo sposa e la loro felicità è unica. Insieme, attraverso uno sforzo accanito, riescono a isolare un elemento magico, il radio. La loro scoperta non solo dà origine a una nuova scienza e a una nuova filosofia, ma offre agli uomini il modo di guarire una malattia terribile. Ma all'apice della gloria la tragedia colpisce Marie: la morte le porta via il compagno della sua vita. Con la disperazione nel cuore e il fisico minato da diversi mali, porta avanti da sola l'opera intrapresa col marito, e imprime un decisivo sviluppo alla scienza creata in collaborazione con lui.
Marie Skłodowska Curie (1867-1934), prima donna di scienza a ricevere riconoscimento mondiale, è stata una dei più grandi scienziati del XX secolo. Scritta dalla figlia Ève, questa biografia, basata su esclusivi documenti di famiglia, racconta i leggendari risultati di Marie Curie nella fisica e nella chimica, premiati con due Nobel (nel 1904, con il marito, e nel 1911), ma anche la sua storia privata e personale, che solo chi visse al suo fianco poteva svelare.

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Parte seconda

8

Parigi

Per andare da La Villette alla Sorbona, non si attraversano i migliori quartieri di Parigi e il tragitto non è né rapido né comodo. Dalla Rue d’Allemagne,a dove abitano Bronia e suo marito, un omnibus a due piani trainato da tre cavalli, con una scaletta a chiocciola che permette di raggiungere la vertiginosa «imperiale», conduce alla Gare de l’Est.
Dalla Gare de l’Est alla Rue des Écoles, c’è un altro omnibus.
Naturalmente, Mania si arrampica sull’imperiale, esposta alle intemperie – è più comodo ed è così divertente! –, trascinandosi dietro la borsa di cui si serviva già all’Università volante. Seduta in cima a quell’osservatorio mobile dove d’inverno il vento intirizzisce le guance, si china in avanti, di lato, indietro, col collo proteso, gli occhi avidi. Che importa la banalità dell’interminabile Rue Lafayette, che importa la monotona sfilata delle botteghe del Boulevard de Sébastopol? Quelle botteghe, quegli olmi spogli, quella folla, quell’odore di polvere, tutto questo è Parigi… Finalmente, finalmente Parigi!
Come ci si sente giovani a Parigi, come ci si sente potenti, trepidanti, pieni di speranza! E, per una piccola polacca, che meraviglioso senso di liberazione!
Nel momento in cui, intontita dal viaggio lungo e faticoso, Mania è scesa dal treno e ha messo piede sulla banchina fumosa della Gare du Nord, la morsa familiare della servitù si è all’improvviso sciolta, le spalle si sono allargate, i polmoni e il cuore si sono sentiti a loro agio. È la prima volta che Mania respira l’aria di un Paese libero. E nel suo entusiasmo tutto le sembra miracoloso. Miracolosi i passanti che camminano tranquilli sui marciapiedi per il fatto che possono parlare la lingua che vogliono, miracolose le librerie che possono vendere liberamente le opere del mondo intero… Miracoloso soprattutto che questi viali diritti, lievemente digradanti verso il cuore della città, conducano lei, Maria Sklodowska, alle porte spalancate di un’università. E quale università! La più famosa, quella che già secoli e secoli prima veniva descritta come un «riassunto dell’universo», quella stessa di cui Lutero diceva: «È a Parigi che si trova la più celebre, la più eccellente delle scuole: la chiamano la Sorbona!».
L’avventura sembra degna di una fiaba. E l’omnibus lento, traballante, gelido, è la carrozza incantata che conduce la povera principessa bionda dal suo alloggio modesto al palazzo dei suoi sogni.
La carrozza attraversa la Senna, e intorno a Mania tutto diventa affascinante: i due bracci del fiume nebbioso, le isole maestose e incantevoli, i monumenti, le piazze e laggiù, a sinistra, le torri di Notre-Dame. Per risalire il Boulevard Saint-Michel, i cavalli rallentano l’andatura, si mettono al passo.
Ci siamo. Eccola arrivata. La studentessa afferra la borsa, raccoglie le pieghe della pesante gonna di lana. Nella fretta, urta per sbaglio una delle sue vicine: timidamente, in un francese esitante, si scusa. E dopo avere disceso la scaletta dell’imperiale eccola già nella strada, con un viso intenso, che s’affretta verso il cancello del palazzo.
Questo palazzo del Sapere nel 1891 ha un aspetto singolare: la Sorbona, in ricostruzione da sei anni, somiglia a un gigantesco pitone che sta mutando pelle. Dietro la lunga facciata nuova, troppo bianca, i vecchi edifici che risalgono all’epoca di Richelieu si innalzano accanto ai cantieri in cui risuonano i colpi di piccone. Questa agitazione causa un pittoresco disordine nella vita degli studenti. A mano a mano che i lavori avanzano, infatti, i corsi emigrano da un’aula all’altra.
Alcuni laboratori provvisori sono stati installati nelle vecchie case evacuate di Rue Saint-Jacques.
Ma che cosa importa tutto ciò, visto che quest’anno, come tutti gli altri anni, si può leggere sul cartellone bianco affisso vicino allo stanzino del portinaio:
REPUBBLICA FRANCESE
Università della Sorbona – Facoltà di Scienze – Primo semestre
I corsi si apriranno il 3 novembre 1891
Parole magiche, parole stuzzicanti!…
Col poco denaro che ha messo da parte, un rublo dopo l’altro, la ragazza ha conquistato il diritto di assistere alle lezioni che vorrà scegliere, tra quelle – innumerevoli – elencate nel complicato orario che copre il cartellone. Ha il suo posto nei laboratori dove, guidata, consigliata, potrà, senza incertezze, maneggiare gli apparecchi, tentare semplici esperimenti. Mania è ora – che gioia! – una studentessa della Facoltà di Scienze.
In realtà, non si chiama più Mania e neanche Maria: sul foglio d’iscrizione ha scritto, alla francese: «Marie Sklodowska». Ma siccome qualche compagno di studio non riesce a pronunciare le sillabe barbare di «Sklodowska» e la giovane polacca non accorda a nessuno la libertà di chiamarla «Marie», conserva una specie di misterioso anonimato. Spesso, incontrando nei corridoi che echeggiano di voci quella ragazza vestita con la distinzione austera della gente povera, dal volto timido e ostinato, i capelli così leggeri, così chiari, i giovanotti, sorpresi, si voltano e domandano: «Chi è?». La risposta, se c’è una risposta, è vaga: «Una straniera… Ha un nome impossibile… È sempre in prima fila ai corsi di Fisica… Non è certo una chiacchierona!…». Poi seguono con lo sguardo la figurina graziosa sino a quando scompare nel corridoio, e concludono: «Bei capelli!».
La chioma biondo cenere e la piccola testa slava resteranno per molto tempo, tra gli studenti della Sorbona, gli unici elementi identificativi della loro selvatica compagna di studi.
In questo momento, tuttavia, i giovanotti sono quello che interessa meno alla nuova studentessa della Facoltà di Scienze. Lei è affascinata da certi signori dall’aria grave ai quali vuole strappare il loro segreto e che si chiamano i «professori dell’insegnamento superiore». Secondo le regole dell’epoca, tengono le lezioni in cravatta bianca e abito nero, eternamente macchiato di gesso. Maria vive nella contemplazione di quegli abiti solenni e di quelle barbe grigie.
L’altro ieri c’è stato il corso del professor Lippmann, così ponderato, così logico. Ieri ha seguito quello del professor Bouty, che nasconde nella testa scimmiesca tesori di scienza. Maria vorrebbe ascoltare tutte le lezioni, conoscere tutti i ventitré professori i cui nomi sono scritti sul cartellone bianco. Le sembra che non riuscirà mai a spegnere la sua sete enorme di conoscenza.
Durante queste prime settimane si è trovata improvvisamente di fronte a ostacoli imprevisti. Credeva di conoscere alla perfezione il francese, ma si è ingannata. Frasi intere, pronunciate troppo in fretta, le sfuggono. Credeva di possedere un bagaglio scientifico sufficiente per seguire agevolmente le lezioni dell’università. Ma gli studi solitari compiuti in campagna, nella sua stanza d’istitutrice a «Szczuki presso Przasnysz», le nozioni acquisite scambiandosi lettere con suo padre, gli esperimenti tentati a caso al Museo dell’Industria e dell’Agricoltura si rivelano insufficienti a sostituire il solido baccalaureato degli allievi dei licei parigini. In matematica e in fisica, Maria scopre falle enormi nella sua «cultura». Come dovrà lavorare per conquistare il magnifico titolo, il sogno che non l’abbandona mai: licenciée ès Sciences, laureata in Scienze.
Oggi, c’è il corso di Paul Appell. Chiarezza nell’esposizione, stile pittoresco. Maria è arrivata tra le prime: nell’aula ad anfiteatro, poco illuminata dalla luce di dicembre, si è scelta un posto in basso, vicino alla cattedra. Dispone metodicamente la penna e il quaderno coperto di tela grigia sul quale, tra poco, prenderà le sue note, con una graziosa scrittura regolare. In anticipo, si raccoglie, concentra la propria attenzione, senza nemmeno udire intorno a sé il rumore sempre più forte delle chiacchiere che vengono interrotte di colpo dall’ingresso del professore.
È sorprendente il silenzio teso che certi insegnanti sanno creare intorno a sé senza pronunciare una sola parola. Ora Appell parla. Gli studenti chini, con i bei volti sciupati dal lavoro intellettuale, scrivono le equazioni che la mano dello scienziato traccia sulla lavagna. Adesso qui non ci sono che allievi appassionati. Largo alla matematica!
Con l’abito rigido, la sua barba squadrata, Appell è magnifico. Spiega con una voce calma, leggermente appesantita dall’accento alsaziano che gli fa articolare bene ogni sillaba. Le sue dimostrazioni sono così eleganti, così chiare che sembrano ridersi dei pericoli e mettere il mondo con le spalle al muro. Possente, tranquillo, egli si avventura nelle regioni più rarefatte della conoscenza, compie giochi di destrezza con le cifre e con gli astri. E siccome le immagini non gli fanno paura, pronuncia nel tono più naturale possibile, accompagnando le parole con un gesto noncurante, da gran signore, questa frase: «Io prendo il sole e lo lancio…».
Nel suo banco, la ragazza polacca abbozza un sorriso estatico. Sotto la vasta fronte sporgente, gli occhi grigi, così pallidi, si illuminano di felicità. Come può essere che qualcuno trovi arida la scienza? C’è qualcosa di più affascinante delle regole immutabili che reggono l’Universo? Di più meraviglioso dell’intelligenza umana, che riesce a scoprirle? Come sembrano vuoti i romanzi e privi d’immaginazione i racconti di fate a fianco di questi fenomeni straordinari, legati tra loro da principi armoniosi, da un ordine immutabile nell’apparente disordine… Uno slancio paragonabile solo all’amore erompe nell’anima della ragazza verso l’infinito del Sapere, verso le cose e le loro leggi.
«Io prendo il sole e lo lancio…»
Per udire questa frase pronunciata da uno scienziato tranquillo e maestoso, valeva la pena di lottare e di soffrire lontano per tanti anni. Maria è al colmo della felicità.
Kazimierz Dluski – marito di Bronia – al suocero, professor Sklodowski.
92, Rue d’Allemagne
Visite dalle 13 alle 15
Visite gratuite: lunedì e giovedì dalle 7 alle 8
Caro e onorevole professore,
In casa da noi tutto va bene. Maria studia seriamente e passa quasi tutto il tempo alla Sorbona, tanto che non ci incontriamo che al pasto della sera. È una ragazza molto indipendente e nonostante la delega formale con la quale lei l’ha messa sotto la mia protezione non soltanto non mi dimostra nessun rispetto e nessuna obbedienza, ma non si preoccupa affatto nemmeno della mia autorità. Spero di ridurla alla ragione, ma sinora la mia abilità pedagogica non si è dimostrata efficace. Nondimeno ci intendiamo benissimo e viviamo in perfetto accordo.
Attendo con impazienza l’arrivo di Bronia. La mia giovane moglie non ha fretta di tornare a casa, dove, tuttavia, la sua presenza sarebbe molto utile e dove è molto desiderata. Aggiungo che Maria sta bene e ha una buona cera.
Molto rispettosamente…
Tali sono le prime notizie che dà il dottor Dluski della piccola cognata che ha ricevuto in Rue d’Allemagne, durante l’assenza di Bronia, trattenuta in Polonia per qualche settimana. È superfluo soggiungere che Mania ha avuto da questo giovanotto sarcastico un’accoglienza squisita. Tra tutti gli emigrati polacchi che vivacchiano a Parigi, la cara Bronia ha scelto il più bello, il più brillante, il più intelligente. E che attività divorante! Kazimierz Dluski è stato studente a Odessa e a Varsavia. Costretto a lasciare la Russia perché sospettato di complicità nell’attentato contro Alessandro II, è diventato un attivista rivoluzionario a Ginevra; poi, a Parigi, prima allievo della Scuola di Scienze politiche, quindi studente di Medicina e, infine, dottore. Da qualche parte, in Polonia, ha una famiglia ricca, e in Francia, negli incartamenti del ministero degli Affari esteri, c’è una scheda deplorevole, ispirata dai rapporti della polizia dello zar, che gli impedirà sempre di ottenere la naturalizzazione e di stabilirsi a Parigi.
Tornando a casa, Bronia è salutata dall’entusiasmo di suo marito e di sua sorella. Come lascia intendere la lettera di Kazimierz, era urgente che l’abile massaia riprendesse le redini della casa. Qualche ora dopo il suo arrivo, nell’appartamento del secondo piano il cui vasto balcone dà sugli alberi della Rue d’Allemagne, regna di nuovo l’ordine consueto. La cucina torna a essere piena di sapori, la polvere è scomparsa, nei vasi ci sono fiori acquistati al mercato. Bronia ha proprio il genio dell’organizzazione!
È stata lei ad avere l’idea di lasciare il centro di Parigi e di prendere in affitto un alloggio alla Villette, vicino al Parc des Buttes-Chaumont. Ha preso in prestito una piccola somma, ha fatto misteriose visite a vari empori, e, un bel mattino, l’appartamento si è trovato ammobiliato con elaborati e graziosi mobili veneziani, un piano verticale e tende leggiadramente drappeggiate. L’atmosfera era creata. Con la stessa ingegnosità, la giovane donna ha poi pianificato l’impiego del suo tempo e di quello del marito. In certe ore, il gabinetto medico appartiene a Kazimierz, che vi riceve la propria clientela reclutata tra i lavoratori dei vicini macelli; in altre, Bronia fa le sue prime visite ginecologiche. I due sposi lavorano duramente, corrono di casa in casa a visitare i malati…
Ma, quando viene la sera, accendono le lampade e mettono da parte le preoccupazioni. Kazimierz ama i divertimenti. Lo sforzo penoso, le ristrettezze non gli fanno perdere né la sua vivacità né il suo spirito. Dopo certe lunghe giornate di lavoro organizza in pochi secondi una serata a teatro, nei posti più economici. Oppure, se non c’è denaro, si mette al piano, perché suona meravigliosamente. Nel corso delle ore gli amici suonano alla porta: sono giovani coppie della colonia polacca e sanno che «si può sempre andare dai Dluski». Bronia scompare, riappare. Il tè fuma e, sul tavolo, accanto allo sciroppo e all’acqua fresca, compaiono certe torte che la dottoressa ha trovato il tempo di preparare nel pomeriggio tra una visita e l’altra.
Una sera che Maria, china sui libri nella sua cameretta in fondo all’appartamento, si prepara a passare parte della notte studiando, suo cognato irrompe dalla porta.
«Il soprabito, il cappello, svelta! Ho dei biglietti omaggio. Andiamo al concerto.»
«Ma…»
«Niente ma! È il pianista polacco ...

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