Maledetta sfortuna
eBook - ePub

Maledetta sfortuna

Vedere, riconoscere, rifiutare la violenza di genere

Carlotta Vagnoli

Share book
  1. 192 pages
  2. Italian
  3. ePUB (mobile friendly)
  4. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Maledetta sfortuna

Vedere, riconoscere, rifiutare la violenza di genere

Carlotta Vagnoli

Book details
Book preview
Table of contents
Citations

About This Book

Di cosa parliamo quando usiamo l'espressione "violenza di genere"? Come nasce? Quali sono i primi campanelli d'allarme? Che cosa accomuna il catcalling al femminicidio? È tempo di fare chiarezza su un argomento che ci tocca tutti quanti, ma di cui si fa spesso fatica a parlare nei termini giusti: se ne fa carico Carlotta Vagnoli, giornalista, sex columnist, femminista, attivista, da anni punto di riferimento proprio sui temi della violenza di genere. Vagnoli sviscera il discorso affrontandolo a trecentosessanta gradi, parlando di revenge porn e di linguaggio dell'odio, di victim blaming e mezzi di comunicazione, di pregiudizi e luoghi comuni, di educazione e ruoli, di vittime e carnefici. E facendolo ci sprona a muovere un passo fuori dal branco e a diffondere la disciplina del consenso, aprendo la discussione sugli scenari futuri del rapporto tra uomo e donna, con la speranza in una società libera finalmente dagli stereotipi di genere.

Frequently asked questions

How do I cancel my subscription?
Simply head over to the account section in settings and click on “Cancel Subscription” - it’s as simple as that. After you cancel, your membership will stay active for the remainder of the time you’ve paid for. Learn more here.
Can/how do I download books?
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
What is the difference between the pricing plans?
Both plans give you full access to the library and all of Perlego’s features. The only differences are the price and subscription period: With the annual plan you’ll save around 30% compared to 12 months on the monthly plan.
What is Perlego?
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Do you support text-to-speech?
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Is Maledetta sfortuna an online PDF/ePUB?
Yes, you can access Maledetta sfortuna by Carlotta Vagnoli in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Scienze sociali & Femminismo e teoria femminista. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Year
2021
ISBN
9788865976968
Capitolo 1

COME NASCE LA VIOLENZA

Stereotipi di genere e categorizzazioni tossiche
La prima volta che ho sentito parlare di violenza di genere è stato durante le scuole medie: una formatrice venne nella mia classe per darci delle informazioni su cosa fosse, come riconoscerla e come combatterla.
Non capii subito il perché fosse definita “di genere”, questa violenza: dopotutto un pugno è un pugno, pensai, che lo scagli un uomo o una donna poco cambia.
Ma la storia che vi racconto nel libro che avete per le mani parte da molto prima che questo pugno venga scagliato e fa capire come i gesti di violenza siano profondamente diversi tra loro e così radicati nel tempo e nella nostra memoria da diventare spesso subdoli, difficili da riconoscere. Si nascondono nel nostro quotidiano, nei giornali che sfogliamo, nelle parole che sentiamo a scuola o al lavoro, mentre passeggiamo per strada. Le radici di cui parlo sono così lunghe che, per rintracciarne le origini, dovremmo compiere un viaggio indietro nei secoli fino alle società primordiali.
È infatti allora che furono stabiliti dei ruoli e delle gerarchie precisi che, se da un lato sembravano funzionali alla costruzione e al mantenimento dell’ordine, con il passare del tempo (e in seguito alle evoluzioni sociali, umane e tecnologiche) si sono rivelati tossici e claustrofobici.
Le radici di cui parlo hanno un nome e si chiamano stereotipi di genere.
Gli stereotipi sono una serie
di formule pensate per descrivere
al meglio qualcosa.
Comunemente, nella nostra società, a una femmina vengono associati il concetto di bellezza, il colore rosa e i capelli lunghi; a un maschio si tendono ad abbinare invece il concetto di forza, il colore blu e i capelli corti.
Viene automatico farlo a quasi tutte le persone del mondo occidentale, perché queste connessioni logiche sono talmente insediate in noi fin dalla primissima infanzia da diventare patrimonio culturale comune. Immaginiamo di chiedere a un bambino in età prescolare di distinguere tra “maschio” e “femmina”: questa definizione – nella maggior parte dei casi – toccherà in primis la gamma dei colori (blu/rosa), successivamente il tipo di giochi connessi al genere (per i maschi quelli di azione o di guerra, per le femmine le bambole) e infine le caratteristiche umane e morali da adottare (i maschi non piangono mai, le femmine sono gentili e premurose).
Non conosciamo esattamente quando e a chi sia da attribuire l’origine di questi costrutti logici; sappiamo solo che l’uomo li ha tramandati nei secoli, attraverso la tradizione orale prima e quella scritta in seguito.
Elena Gianini Belotti, nel suo libro fondamentale Dalla parte delle bambine, pubblicato da Feltrinelli nel 1973, fa una preziosa analisi di come questo tipo di ragionamento sulle caratteristiche stereotipate del sesso sia presente ancora prima della nascita di una persona.
Al tempo in cui Belotti scrisse il saggio, in Italia non era ancora diffusa l’ecografia prenatale che permetteva di conoscere il sesso del nascituro prima del parto (esame che in America veniva effettuato già da qualche anno). Molte usanze popolari promettevano di indovinarlo con certezza quasi scientifica, per esempio la semplice osservazione di alcune caratteristiche della futura madre, come la forma della pancia, il suo umore, il periodo del concepimento in relazione alla fase lunare; in altri casi, ci si appellava a ritualità al limite della magia e della superstizione (contare i granelli di riso che la donna prende in un pugno, rompere un osso di pollo a forma di forcella, far cadere una monetina lungo la schiena della madre – sotto i vestiti – e osservare su che lato questa cade per terra).
Solitamente, osserva Belotti, le caratteristiche premonitrici della nascita di un neonato maschio sono tutte in positivo: i grani saranno dispari (sempre uno in più), la pancia più grande, l’osso di pollo più lungo, la monetina cadrà dalla parte della testa, la madre sarà più allegra durante la gravidanza.
Queste credenze portano inevitabilmente ad augurarsi che il nascituro sia un bambino, ma ci fanno anche capire come molte associazioni mentali, che quasi consideriamo naturali, siano in realtà retaggio di costrutti di stampo paternalistico, tesi a connotare, etichettare e dividere in categorie ben definite i due sessi.
Stando ad alcuni preconcetti molto comuni e tuttora vigenti, si pensa che i maschi siano – per loro stessa natura – più vitali e vivaci delle femmine, alle quali invece vengono associate caratteristiche di passività, docilità e discrezione; che i figli siano forti e vivaci e le figlie minute e silenziose.
Questa divisione netta altro non è
che, come lo definisce Belotti,
un “gioco delle aspettative”,
che inizia ben prima che la persona
nasca e che non avrà mai fine
se non si scardinerà il sistema
degli stereotipi.
Sempre secondo alcune “dicerie” (sulle quali, però, si è basata la quasi totalità delle decisioni e delle diagnosi fino all’avvento della moderna medicina ostetrica e ginecologica), il parto è più facile quando nasce un maschio; sarà invece più lungo e doloroso se viene al mondo una bambina, come se il feto contribuisse alla sofferenza della sua stessa venuta al mondo.
Con l’idea, dunque, che una figlia femmina sarà meno produttiva e avrà un valore sociale inferiore rispetto al maschio, ecco che generazioni e generazioni, per secoli e ancora oggi, si augurano di concepire bambini di sesso maschile. Spesso le coppie continuano a cercare di “fare il maschio”, come se questo portasse a compimento un desiderio sociale più grande e universale, dando alla famiglia qualcosa che la femmina non sarebbe mai in grado di donare: sopravvivenza della stirpe, produttività e, in definitiva, molti meno problemi.
Non è raro che, ancora oggi, quando nasce una femmina la madre si senta dire frasi che suonano più o meno così: «Godetevela, perché quando sarà signorina vedrete che incubo, diventano ingestibili e hanno un bel caratteraccio».
Avete mai sentito dire lo stesso di un maschio? Esatto, nemmeno io. Anzi, di solito è descritto come dolce e coccolone, che ama la sua mamma e non se ne separa mai, neanche in età adulta: non mi sembra quindi così peculiare che, credendo in queste logiche stereotipate, si preferisca l’idea di partorire un figlio anziché una figlia.
Questa idea è sopravvissuta ai secoli poiché, sebbene la società evolva in modo piuttosto rapido (pensate al secondo dopoguerra: in meno di vent’anni l’Italia abbandonò la dimensione rurale e decentrata delle campagne per abbracciare il boom economico ed espandere le città a dismisura), le strutture psicologiche sociali cambiano con estrema difficoltà, e rimangono vive e attive soprattutto nei nuclei in cui gli individui ricevono un’educazione.
La trasmissione degli stereotipi
quindi avviene prima di tutto
all’interno della famiglia
e dei piccoli nuclei sociali;
solo successivamente si estende
attraverso i canali di massa,
come la tv, il cinema, i libri,
l’arte stessa. Già, perché
se ci facciamo caso, troveremo
stereotipi di genere in tutto ciò
che ci circonda.
Se, per esempio, entrate in un museo, che differenza capita spesso di notare tra le rappresentazioni maschili e quelle femminili, nei quadri o nelle statue? Le femmine sono quasi sempre nude, i maschi molto frequentemente accompagnati ad armi.
E anche in molte fiabe popolari, da quelle dei fratelli Grimm alla loro versione cinematografica a opera della Disney, vedremo quanto le rappresentazioni maschili combacino con quelle dei principi forti e senza paura (vestiti di blu: coincidenze? Non credo proprio) che affrontano ogni avversità con coraggio e spavalderia, senza mai piangere né provare fatica.
Le principesse, invece, non hanno molto da fare se non aspettare di essere salvate, trovate o sposate nei loro vestiti rosa.
E nei film?
In certi film capita
che ci troviamo davanti
a una dinamica molto simile
a quella delle fiabe: in molti generi
possiamo infatti individuare
esempi in cui la sindrome dell’eroe
viene attribuita agli uomini
e la necessità di essere salvate
alle donne (da Pretty Woman
a Il Gladiatore, passando
per le pellicole di Hitchcock
e Via col vento).
I cliché si ripetono all’infinito, soprattutto nei sottogeneri come l’horror e le commedie romantiche, le famose rom-com: nel primo caso, avremo la bionda che muore nei primi dieci minuti e l’uomo che risolve il mistero rischiando costantemente di restarci secco, mentre nel secondo troveremo uno stuolo di protagoniste il cui unico scopo è indossare l’abito bianco. Per fortuna, di recente anche nei sottogeneri si cominciano a fare dei passi avanti in questo senso.
Anche la pubblicità non esce indenne da tale stereotipizzazione, anzi, molto spesso la cavalca: ci invoglia a comprare rasoi per uomini virili, lamette delicate e rosa per donne che devono necessariamente essere lisce perché “non sia mai che la donna abbia dei peli, che cosa contronatura!”.
E nel mondo musicale? Ora che avete capito, fateci caso: sapreste nominare almeno un paio di brani che fanno seguito a questa interpretazione della società?
Tutto ciò è per farvi capire quanto queste dicotomie siano costanti e sottili, proposte da ogni attore della società in qualunque momento della nostra giornata e della nostra formazione di adulti.
Sfuggirne è praticamente impossibile. Anche perché, oltre a questi meccanismi che chiameremo “esterni”, ve ne sono alcuni altrettanto prepotenti che sono quelli “interni” e che si sviluppano nel nucleo familiare e nelle relazioni che intessiamo con il mondo che ci circonda: con gli amici, nei gruppi di studio, in classe, nelle associazioni sportive. Ognuna di queste micro-strutture tende infatti a rafforzare gli stereotipi, più che a distruggerli.
Pensiamo a una famiglia conservatrice che vieta ai maschi di truccarsi e alle femmine di mettere gonne corte o gioca...

Table of contents