Bisanzio
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Bisanzio

Storia dell'impero che unì due mondi

Judith Herrin

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Bisanzio

Storia dell'impero che unì due mondi

Judith Herrin

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Nato da una breve lezione estemporanea tenuta dalla professoressa Herrin ad alcuni operai che, durante i lavori di ristrutturazione del King's College, le chiedevano che cosa fosse la storia bizantina, questo libro riesce a raccontare Bisanzio nell'età antica e nel medioevo in una forma semplice e appassionante per chiunque.
Per molti secoli l'impero bizantino è stato un luogo in cui cristianesimo, romanità ed ellenismo hanno formato uno straordinario impasto politico e culturale, che ha raccolto l'eredità storica dell'impero romano e l'ha integrata con gli influssi provenienti dall'Est europeo e dal mondo arabo. A Bisanzio nacquero istituzioni come la diplomazia e la burocrazia civile, o fenomeni religiosi come il monachesimo. E sempre a Bisanzio e alla sua passione per la letteratura greca dobbiamo la preservazione delle opere classiche e la loro riscoperta quando, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, numerosi studiosi bizantini invasero pacificamente l'Italia e diedero impulso alla nascita dell'Umanesimo e del Rinascimento.
Coniugando rigore scientifico e divulgazione, questo libro restituisce all'impero bizantino il suo ruolo nella formazione dell'Europa moderna, troppo spesso trascurato nella percezione comune.

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Information

Publisher
BUR
Year
2021
ISBN
9788831803700
PARTE TERZA

BISANZIO DIVENTA UNO STATO MEDIEVALE

13

IL FUOCO GRECO

I greci cominciarono a scagliare il loro fuoco tutto attorno, e i russi alla vista delle fiamme si gettarono immediatamente dalle proprie navi, preferendo morire affogati nell’acqua piuttosto che bruciare vivi nel fuoco.
LIUTPRANDO DI CREMONA, Antapodosis, sull’attacco russo a Costantinopoli nel 941
Il fuoco greco rimane un mistero. Veniva probabilmente prodotto con il greggio ricavato dai pozzi di petrolio in Crimea e mescolato a resina, ma il dosaggio preciso e il meccanismo idraulico per lanciarlo sono ancora poco chiari. Questa combinazione di sostanze creava tuttavia la più importante arma dell’arsenale militare bizantino, che poteva essere scagliata contro le navi nemiche provocando terrore e distruzione. Ho già citato gli effetti che ebbe durante gli assedi di Costantinopoli. Nella famosa Cronaca illustrata di Giovanni Scilitze, che riprende la narrazione dei fatti storici a partire dall’813, dove termina il racconto di Teofane, e la prosegue fino al 1077, il funzionamento del fuoco greco è vivacemente raffigurato: una piccola imbarcazione manovrata da rematori avanza verso una nave nemica; il liquido surriscaldato è spruzzato attraverso un lungo tubo; brucia sull’acqua tra le due barche e avvolge il legno nemico. Anche se gli studiosi non concordano sull’origine delle raffigurazioni, sul luogo di copiatura del manoscritto e sul gruppo di artisti coinvolti, le 524 miniature sono affascinanti e apparentemente realistiche. Noto come lo Scilitze di Madrid, dalla biblioteca in cui è conservato oggi, il codice custodisce una serie unica di immagini in gran parte secolari: imperatori che ricevono o inviano ambascerie, che fanno il loro ingresso trionfale a Costantinopoli, scene di battaglia e assedi di città, ma anche ritratti di individui.
Il fuoco greco fu presumibilmente inventato da un certo Kallinikos, che giunse a Costantinopoli appena prima del lungo assedio arabo alla capitale (674-678) e applicò il suo segreto con grandi risultati. Esso divenne una delle armi tecniche avanzate usate sia negli scontri navali, sia negli attacchi terrestri contro le città, quando il fuoco veniva scagliato dalle fortificazioni. Si potevano lanciare dei brulotti senza equipaggio quando il vento era favorevole, come accadde nell’assedio della capitale nel 1204. Nel 2006 John Haldon ha pubblicato un resoconto del suo tentativo di ricreare sia la sostanza sia il suo impiego effettivo. Alcune fotografie molto efficaci mostrano il liquido surriscaldato che schizza da uno stretto tubo e brucia «con un forte ruggito e una densa nuvola di fumo nero». Grazie a un sifone ricostruito e al petrolio di Crimea, la fiamma è stata proiettata a 10-15 metri di distanza, così intensa da riuscire in pochi secondi a bruciare completamente una barca usata come bersaglio. Tramite questo esperimento, possiamo cominciare a immaginare l’orrore e la confusione che il fuoco greco causavano durante le guerre di epoca medievale.
Per la sua capacità di seminare il panico tra il nemico, nel decimo secolo Costantino VII lo aggiunse all’elenco dei segreti di stato bizantini, che non dovevano essere mai rivelati agli estranei. Questa precauzione si rivelò in qualche modo inutile, poiché gli arabi ne svilupparono presto una propria versione. Nondimeno, egli spiega al figlio Romano II che spesso gli stranieri chiedono a Costantinopoli tre cose: il fuoco greco, le insegne della sovranità e le spose imperiali «nate nella porpora». Questi tesori non dovevano essere concessi in nessun caso, con la sola possibile eccezione del matrimonio di una principessa imperiale con un franco. In realtà, le insegne imperiali vennero conferite in varie circostanze a degli stranieri per stringere alleanze vantaggiose, e i matrimoni organizzati rappresentavano parte integrante della politica estera, ma il segreto del fuoco greco non fu mai condiviso.
Queste tre richieste riflettono tuttavia la posizione unica di Bisanzio nel corso del Medioevo: l’impero possedeva preziosi status symbol, tradizioni e segreti militari ambiti da molti. La diffusa imitazione delle insegne bizantine, dei titoli, delle vesti imperiali, delle corone gemmate, del globo e dello scettro in Europa occidentale e centrale conferma la posizione predominante dell’impero d’Oriente. Quando re e principi tentavano di innalzare la propria posizione a una condizione veramente imperiale, volevano essere acclamati nello stile bizantino, sedere su un trono bizantino, essere incoronati e impugnare i simboli bizantini del potere. In questo senso l’imitazione rappresenta la più alta forma di adulazione. Essa poteva anche essere indiretta. Nella Sicilia normanna, durante l’undicesimo e dodicesimo secolo, re Ruggero II, che potrebbe anche essere stato il committente dello Scilitze di Madrid, fece realizzare gli squisiti mosaici della Cappella Palatina di Palermo secondo lo stile bizantino. Questi vennero a loro volta copiati da Ludwig di Baviera per il suo fiabesco castello di Neuschwannstein negli anni Ottanta del diciannovesimo secolo.
Mentre l’impero riprendeva il controllo sulle proprie regioni di frontiera nel corso del nono e decimo secolo, si dovettero difendere lunghi tratti di costa dagli attacchi navali, principalmente dopo la conquista araba di Creta (circa 820). I costruttori di navi, i capitani e i marinai con una minima esperienza di mare vennero reclutati dal mar Egeo e dalle Cicladi, dalle isole occidentali di Cefalonia e Zacinto, e dalla costa di Durazzo, per formare unità navali speciali. Isole come Euboia, associata al tema dell’Ellade, dovettero fornire marinai, navi ed equipaggiamenti navali (cavi, vele e ancore) per le guerre marittime. La flotta imperiale protesse Costantinopoli e guidò le grandi campagne navali di riconquista. Per la protezione di Costantinopoli vennero reclutati nuovi contingenti di truppe professioniste che operavano a tempo pieno (tagmata); esse erano stanziate nella capitale o nelle vicinanze, e costituivano la guardia del corpo della famiglia imperiale nel Gran Palazzo. A differenza delle truppe dei temi, che venivano convocate in primavera e rimanevano in servizio sotto i propri generali (strategoi) fino all’autunno, queste unità ricevevano un salario per un servizio permanente, e formavano il nucleo dell’esercito. Con questa amministrazione militare riorganizzata e rinvigorita, i generali bizantini diedero avvio a campagne mirate non solo a riconquistare il territorio precedentemente sotto il controllo imperiale, ma anche ad annettere regioni più distanti.
Bisanzio divenne gradualmente uno stato medievale stabile ed efficiente, assistito dalla mobilità in ascesa di personaggi relativamente sconosciuti, tramite carriere militari o di altro tipo. Il successo di Basilio I (867-886) si basò sulle sue abilità come addestratore di cavalli e pugile, apprese in Macedonia dove la sua famiglia armena, composta da contadini, si era stabilita per presidiare la frontiera nord-occidentale. Non avendo trovato grandi opportunità in quella zona, Basilio si era trasferito nella capitale, dove la sua maestria nell’addestrare i cavalli aveva attirato su di lui l’attenzione di ricchi patroni. Da un impiego privato, egli si guadagnò la promozione alle stalle imperiali, da cui Michele III lo scelse come guardiano della stanza da letto imperiale (parakoimomenos), una carica generalmente riservata agli eunuchi. Basilio si diede molto da fare per accontentare Michele ed eliminò senza pietà chiunque gli si opponesse. La sua ambizione trovò il culmine nella cerimonia descritta dal patriarca Fozio: nell’886 venne collocato nella galleria di Santa Sofia un doppio trono, e Michele incoronò Basilio come suo collega e coimperatore. Il loro regno comune fu breve. Solo un anno dopo, Michele III venne assassinato, secondo una testimonianza di Basilio stesso, e il contadino armeno divenne unico sovrano di Bisanzio.
Nonostante la sua scarsa istruzione, Basilio si dimostrò un abile comandante militare e portò avanti le campagne dell’impero contro gli arabi sia nell’Italia meridionale sia in Oriente. Non molti anni dopo la sua morte nell’886, Romano Lecapeno (920- 944) si servì della sua posizione di comandante della flotta per ottenere il potere. Di origini armene relativamente umili, egli era giunto attraverso i ranghi navali alla guida di un colpo di stato nel 921. Fece sposare la figlia Elena con il giovane imperatore Costantino VII e come imperatore organizzò la difesa della capitale contro l’attacco russo del 941, ordinando alla propria flotta di preparare «macchinari che sparano fuoco [...] sulla prua e anche sulla poppa e su entrambi i lati di ciascuna nave». Presi di sorpresa, i russi definirono il fuoco greco «lampo dal cielo».
Oltre alla promozione di uomini brillanti di umili origini, l’esercito bizantino sviluppò il proprio potere, nel secolo secolo. Dopo numerosi tentativi di riconquistare Creta, Niceforo Foca cacciò finalmente gli arabi dall’isola nel 961, e quattro anni dopo anche Cipro venne riportata sotto il controllo imperiale. L’espansione bizantina in Armenia consentì di istituire la provincia di Taron nel 966-967 e spinse numerose famiglie armene a migrare all’interno dell’impero. Giovanni I Tzimisce continuò questa riconquista orientale con il recupero di Antiochia nel 969, che rimase sotto il controllo bizantino fino al 1084, ed esercitò una breve sovranità su Damasco e Beirut nel 975. Il suo obiettivo di riconquistare Gerusalemme non fu mai raggiunto, anche se testimonia un costante desiderio bizantino di restaurare la dominazione cristiana sui Luoghi Sacri.
Mentre i bizantini sviluppavano mezzi di difesa più efficaci, i manuali di strategia militare cominciarono a cambiare, pur continuando a trarre spunto da fonti più antiche. L’opera, Taktika, attribuita a Leone VI (886-912) poneva l’accento su come affrontare gli attacchi degli arabi, che avevano sviluppato una particolare forma di spedizione ostile: in questo caso l’imperatore raccomandava di evitare il contatto diretto con il nemico, pedinando e infastidendo piuttosto, alla loro partenza, le truppe, che potevano essere cariche di bottino, bestiame e prigionieri. Nel suo manuale più tardo, Niceforo Foca, un altro brillante generale che ascese alla carica di imperatore (963-969) approfondiva l’analisi di questo tipo di guerriglia, che si rivelò estremamente efficace. Spesso tali confronti erano seguiti da uno scambio di prigionieri, che si svolgeva nei pressi dei fiumi di frontiera e che non prevedeva alcuna ostilità. In questo modo, nelle regioni orientali dell’impero, vennero introdotti nelle relazioni arabo-bizantine anche certi tipi di formalità.
Come risultato dell’espansione dell’autorità bizantina in Oriente si sviluppò, sia tra i cristiani sia tra i musulmani che vivevano nelle zone di confine, un nuovo tipo di vita. Mentre in precedenza queste zone erano state in gran parte svuotate della loro popolazione, che cercava rifugio nei castelli che sorvegliavano i passi di montagna, esse divennero ora abitate. Su entrambi i versanti della frontiera virtuale, bizantini e arabi estesero la coltivazione nelle aree fertili e costruirono le proprie ville. Come testimonia l’epica del Digenis Akritas, il cui protagonista vive sulla frontiera multietnica, ai gruppi ostili venivano proposte alleanze matrimoniali: il padre dell’eroe era un emiro del versante arabo che era riuscito a procurarsi una moglie bizantina, e che poi si era convertito al cristianesimo. La storia dei genitori e dell’infanzia di Digenis, il cui nome di battesimo è Basilio, costituisce la prima parte di questo lungo romanzo che si conserva in varie versioni tutte scritte successivamente, ma pare riflettere le condizioni del nono e decimo secolo. Digenis, mezzo arabo e mezzo bizantino, convinse a sua volta la figlia di un rispettabile generale, rinchiusa in una torre, a fuggire con lui e a sposarlo. Dopo che egli le cantò una serenata sotto la torre, la fanciulla prese l’iniziativa e inviò la propria damigella a consegnargli il proprio anello in segno di affetto. La vita di questi due personaggi costituisce la seconda parte del romanzo, con storie che devono molto alla tradizione popolare, come quella dell’eroe che uccide i leoni a mani nude, ma la presenza di matrimoni misti cristiani-musulmani, di magnifici palazzi e giardini sulle rive dell’Eufrate, dove il controllo bizantino consentiva uno stile di vita sontuoso, dà un tono del tutto particolare al romanzo: «In questo meraviglioso piacevole paradiso, il nobile Limitaneo [Basilio] innalzò un’incantevole abitazione, di dimensioni divine, quattro metri di pietra squadrata», che decorò con preziosi marmi, soffitti a mosaico e pavimenti di onice. Egli raffigurò i trionfi militari di Sansone, le storie di Davide e Golia e di Achille, così come quelle di Penelope e Odisseo, Bellerofonte, Alessandro, Mosè, e l’Esodo degli ebrei. Nella chiesa dedicata al santo militare Teodoro, Basilio seppellì il padre e la madre ed edificò la propria tomba.
Queste attività sono confermate dalle fonti arabe che citano la conoscenza dell’arabo tra i cristiani bizantini nelle regioni di frontiera e i considerevoli spostamenti attraverso di esse. I versi iscritti su una tomba in una località nei pressi di Melitene (Malatya) furono dovuti alla profonda amicizia di un individuo del posto, probabilmente un dottore, con un iracheno che si era stabilito nella regione. Dopo la sua morte, l’amico cristiano lo seppellì nella direzione verso la quale viene proferita la preghiera islamica (verso la Mecca), e pose sulla sua tomba i versi in arabo che egli aveva composto:
Ho fatto lunghe peregrinazioni,
viaggiando qua e là in cerca di ricchezza,
e le sfortune del tempo mi hanno sopraffatto,
come puoi vedere.
Mi piacerebbe poter sapere se i miei amici hanno pianto
quando mi hanno perduto,
o se semplicemente se ne sono accorti.
Attorno al 1100 il duca di Melitene commissionò una traduzione del racconto persiano dal nome Syntipa il Filosofo, che rifletteva analoghi stretti contatti. La versione greca venne ricavata da una rielaborazione araba della storia popolare delle avventure di Sindbad, un giovane principe ingiustamente accusato di illeciti sessuali. Attraverso questo lento processo di acculturazione delle popolazioni di frontiera, arabi, armeni e georgiani a est, bulgari, slavi e serbi a ovest, Bisanzio consolidò la popolazione multietnica e poliglotta del proprio Stato.
Oltre al segreto del fuoco greco, un altro elemento che aiutò la ripresa di Bisanzio dopo le perdite provocate dagli arabi fu il concetto di dinastia imperiale. Nonostante le sue oscure origini, la famiglia di Basilio I mantenne il controllo su Bisanzio per quasi due secoli, dall’867 al 1056. Nel decimo secolo Costantino VII commissionò una biografia di Basilio (suo nonno), che inventava una nobile origine armena della famiglia, e delineava i portenti che avevano portato Basilio a «salvare» l’impero da un sovrano ubriaco e dissoluto, Michele III, piuttosto che descrivere la conquista del potere in circostanze fraudolente. Mostrando sdegno per il carattere del patrono e collega di Basilio, Costantino si assicurò che al nonno fosse attribuito un ruolo specifico, anche se immaginario, più legittimo del titolo imperiale di quanto non lo fosse il personaggio di Michele. Con questi mezzi la dinastia «Macedone», come venne definita, contribuì a dare un senso di ordine più profondo, taxis, e rafforzò la carica imperiale attraverso una corretta e controllata linea di successione di padre in figlio. Certamente aspiranti alla carica si palesarono quando l’impero parve mancare di una guida forte (ad esempio durante i primi anni del regno di Basilio II, 976-1025), ma la dinastia mantenne il potere. Essa riaffermò il principio secondo cui l’impero doveva essere retto da una sola famiglia, i cui membri erano legittimati dai precedenti e dal diritto di sangue. In alcuni casi ciò diede alle donne della dinastia imperiale un ruolo predominante, come successe nell’undicesimo secolo, quando le sorelle Zoe e Teodora ne costituirono l’ultima generazione (si veda il capitolo 17). Questa rinascita fu segnata da una ripresa economica che esaminerò nel prossimo capitolo. Ma le vittorie militari dei secoli successivi al Trionfo dell’ortodossia nell’843 costituiscono una grande conquista, e nella sfera della guerra l’arma segreta bizantina del fuoco greco giocò un ruolo determinante. Le problematiche tecniche dell’arma sono sottolineate da una testimonianza che narra come alcuni bulgari si fossero impadroniti di un rifornimento e dei tubi utilizzati per proiettarlo. Tuttavia non furono in grado di capire come funzionava. Malgrado l’esperimento di John Haldon di ricreare il fuoco greco abbia risolto molti dei suoi misteri, nel Medioevo il segreto del fuoco greco rimase inviolato, e, di fatto, la versione bizantina di quest’arma morì con l’impero.
14

L’ECONOMIA BIZANTINA

L’8 maggio del 795 egli [Costantino VI] ingaggiò combattimento con un contingente di incursori arabi [...], li sconfisse e giunse quindi a Efeso, e, dopo aver pregato nella chiesa dell’Evangelista, condonò le tasse doganali della fiera che ammontavano a cento libbre d’oro, in modo da conquistarsi il favore del santo apostolo, l’evangelista Giovanni.
TEOFANE CONFESSORE, Cronaca, inizio del nono secolo
In questa breve nota il cronista Teofane registrò la vittoria di Costantino VI sugli arabi e il suo successivo rendere grazie nella città di Efeso. In quel luogo l’enorme basilica dell’Evangelista, fondata da Giustiniano e Teodora, sormontava la collina che un tempo dominava l’antico tempio di Artemide. Questa famosa meraviglia del mondo antico venne in gran parte demolita in modo da reimpiegare le sue pietre per fortificare la collina e costruire la chiesa. Poiché la festa di san Giovanni veniva celebrata l’8 maggio, la deviazione dell’imperatore verso Efeso fu chiaramente connessa alla celebrazione. In epoca medievale era prassi comune che l’anniversario della morte di un santo venisse celebrato nel giorno di festa con una fiera che attraeva mercanti spesso provenienti da luoghi remoti. Nonostante l’apparente incongruenza tra l’attività commerciale e la festa religiosa, le fiere divennero strettamente collegate alle chiese, specialmente quelle che custodivano importanti reliquie che richiamavano i pellegrini. Emerge chiaramente dall’ingente somma donata all’Evangelista che la festa di san Giovanni a Efeso costituiva uno dei maggiori eventi commerciali dell’Asia Minore occidentale.
Bisanzio ereditò da Roma un certo disprezzo per il commercio, in quanto attività non degna dell’uomo libero: gli scambi mercantili attraggono quindi molto raramente l’attenzione dei cronisti bizantini. La menzione di questa fiera è dunque eccezionale e ci consente di gettare uno sguardo sul volume e sull’importanza del kommerkion, una tassa del dieci per cento sul valore dei beni venduti, che poteva arrivare a cento libbre d’oro. Se il reddito della fiera ammontava davvero a mille libbre d’oro, esso può essere paragonato alla cassa di millecento libbre d’oro destinata al pagamento di un’armata durante una campagna nello Strymon (Grecia settentrionale), o allo stipendio annuale di milletrecento libbre corrisposto agli inizi del nono secolo al tema Armeniakon. I funzionari noti come kommerkiarioi riscuotevano i dazi doganali sulle transazioni commerciali in tutto l’impero. Grazie ai sigilli di questi ufficiali imperiali siamo in grado di riconoscere la volontà dello stato di tassare gli scambi economici sia durante le fiere sia nei punti chiave delle frontiere dell’impero, dove avvenivano l’importazione e l’esportazione dei beni. Tali sigilli, che sopravvivono a migliaia, indicano il nome di singoli kommerkiarioi, che venivano destinati a una particolare area, in un particolare anno, durante il regno di un particolre imperatore. Il loro dovere era quello di riscuotere il dieci per cento di tasse su ogni bene che passava attraverso il loro ufficio doganale; avrebbero quindi apposto il proprio sigillo plumbeo ai sacchi, indicando il pagamento dell’imposta.
Questo tipo di tassazione ebbe forse origine dal tentativo di controllare l’esportazione di beni preziosi come la seta. Esso ci permette inoltre di identificare gli agenti commerciali attivi nei posti di frontiera e successivamente in tutto l’impero. All’ingresso di Costantinopoli, i kommerkiarioi gestivano le principali dogane ad Abydos e Hieron, che controllavano le estremità meridionale e settentrionale degli stretti (tra i Dardanelli e il Mar Nero). In questo modo essi vigilavano anche sul ...

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