Roma antica e il testo
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Roma antica e il testo

Scritture d'autore e composizione letteraria

Oronzo Pecere

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Roma antica e il testo

Scritture d'autore e composizione letteraria

Oronzo Pecere

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Dalle prime notizie sulla forma libraria del poema epico di Ennio alle vicende delle elegie di Ovidio durante l'esilio. Dalle preoccupazioni editoriali di Cicerone alle polemiche contro la diffusione non autorizzata degli scritti di Quintiliano, fino alle invettive contro il plagio di Marziale. Oronzo Pecere affronta, dalle origini all'età imperiale, il grande tema dell'atteggiamento degli intellettuali latini verso la composizione del testo, il ruolo e il significato che assumeva l'atto di scrittura dell'autore e il rapporto che si stabiliva tra la sua attività letteraria e il tirocinio scolastico. Il lettore verrà così accompagnato al cuore stesso della letteratura latina lungo strade nuove, attraverso l'esame di testimonianze iconografiche, reperti librari di conservazione archeologica e soprattutto fonti letterarie antiche, celebri o meno note, nel tentativo di ricostruire una pagina decisiva della storia della cultura occidentale.

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Information

Year
2015
ISBN
9788858116883

II. La composizione del testo poetico

1. La scrittura autografa nella composizione del testo letterario diventa un tema centrale del dibattito culturale sullo sfondo di un fatto di grande importanza: un mutato atteggiamento mentale dell’autore romano verso la parola scritta, il cui campo sperimentale era per tradizione la poesia. Man mano che il rapporto con il testo attraverso la lettura del libro – sotteso ai riecheggiamenti, alle allusioni polemiche o parodiche e ai richiami lessicali presenti nella produzione poetica del II secolo a.C. – si impone come modalità di fruizione prima nell’attività dei grammatici e dei filologi e poi nel pubblico dei lettori, si incrinano anche le vecchie consuetudini a fondamento del predominio dell’oralità nel processo di produzione del testo. Non è dunque un caso che l’autografia di composizione come valore sia una conquista rivendicata dai poeti del I secolo.
Nella polemica contro Suffeno, Catullo attacca la torrenziale prolificità di questo tipico rappresentante di una categoria di poeti che continuano a modellare la loro poesia sull’epos nazionale romano, insozzando il papiro dei rotoli librari con migliaia di versi pericolosamente indigesti per lettori raffinati come quelli della cerchia neoterica: dagli Annali di Volusio («carta smerdata», buona solo «a incartare gli sgombri»1), al lunghissimo poema di Ortensio («un milione di versi scritti in un anno solo», mentre la Smirna di Cinna «vede la luce dopo nove estati e nove inverni»), agli altri libri pieni di venena che il poeta correrà ad acquistare al mercato per contraccambiare «con questi supplizi» il provocatorio dono di Calvo2. Suffeno non solo scrive di getto migliaia di versi, ma ha l’ardire di pubblicarli – senza alcun filtro né selezione, ma felicemente pago di ammirare la sua sfrenata attitudine alla versificazione – in volumina di pregevole qualità, la cui accurata confezione doveva invece essere la proiezione della raffinatezza formale e contenutistica della nuova poesia, elaborata secondo i canoni della poetica alessandrina:
Suffenus iste, Vare, quem probe nosti
[...]
longe plurimos facit versus.
Puto esse ego illi milia aut decem aut plura
perscripta, nec sic ut fit in palimpsesto
relata: chartae regiae, novi libri,
novi umbilici, lora rubra, membranae,
derecta plumbo et pumice omnia aequata.
Haec cum legas tu, bellus ille et urbanus
Suffenus unus caprimulgus aut fossor
rursus videtur: tantum abhorret ac mutat.
[...]
neque idem umquam
neque est beatus ac poema cum scribit:
tam gaudet in se tamque se ipse miratur.
Quel Suffeno, Varo, che tu conosci bene,
[...]
scrive un barile di versi.
Ne avrà scritti già diecimila
o anche più e non, come tutti, su un palinsesto,
no, su carta di prima qualità, rotoli
nuovi, bastoncini nuovi, nastri rossi, astucci
di pergamena, tutto tracciato a piombo e tirato a lucido.
Ti metti a leggere ed ecco che il raffinato
e civile Suffeno subisce una metamorfosi:
ridiventa uno zappatore o un capraio.
[...]
eppure non è mai
così felice come quando scrive,
tanto si compiace di sé, tanto si ammira3.
Questo passo dimostra che le modificazioni dello statuto del testo non procedono di pari passo con le trasformazioni dello statuto del libro, le quali riflettono il diffondersi di una nuova sensibilità per il suo aspetto materiale. Il discrimine tra la poesia di Suffeno e ­quella di Catullo non è nell’eleganza del contenitore librario che la ­divulga; analoghe sono infatti le caratteristiche estetiche del Liber di Catullo, nel carme di dedica a Cornelio4, ed ancora più calzante alla ­presenta­zione dei volumina di Suffeno è l’aspetto ormai consolidato del libro poetico quale viene ad esempio descritto in un’elegia di Ligdamo:
Lutea sed niveum involvat membrana libellum
pumex et canas tondeat arte comas
summaque praetexat tenuis fastigia charta,
indicet ut nomen littera facta tuum,
atque inter geminas pingantur cornua frontes;
sic enim comptum mittere oportet opus.
Ma una gialla copertina rivesta il candido libretto
e la pomice sfrondi a dovere i fili bianchi in eccesso;
una piccola etichetta di papiro orli il margine superiore
e una scritta tracciata ad arte indichi il nome tuo a mo’ di titolo;
siano dipinte le estremità sporgenti fra le due basi del rotolo:
bisogna infatti che l’opera sia mandata così perfettamente rifinita5.
Il terreno di scontro tra Suffeno e Catullo va invece individuato nel processo compositivo che realizza la loro poesia. Catullo, al pari dei poeti della sua cerchia, scrive di persona su codicilli, pugillaria, tabellae le prime stesure dei carmi6 e usa abitualmente fogli riutilizzati come supporti delle sue minute o copie di lavoro (ut fit in palimpsesto relata7): tipologie di materiali sui quali il testo poteva facilmente essere cancellato e riscritto8 nella lunga fase preeditoriale in cui l’opera, dallo stato di abbozzo, raggiungeva la sua forma definitiva attraverso incessanti controlli e rielaborazioni suggerite da un vaglio critico individuale e collettivo9. I poetae novi trasferiscono nella poesia latina il modo di concepire il testo dei poeti alessandrini; è noto che Callimaco, nel prologo degli Aitia, si rappresenti mentre scrive, ispirato da Apollo, tenendo la tavoletta poggiata sulle ginocchia10. Questa ...

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