Storia contemporanea
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Storia contemporanea

L'Ottocento

Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto

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Storia contemporanea

L'Ottocento

Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto

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Dalle grandi rivoluzioni di fine Settecento alla Prima Guerra mondiale. Questa è la periodizzazione del volume, che in questa nuova edizione presenta una signicativa revisione e integrazione dei testi originari. Il manuale si segnala per la struttura agile e rigorosa e per la strumentazione didattica particolarmente efcace: cartine per offrire una visualizzazione dei contesti storici e geopolitici; parole chiave per focalizzare le principali categorie tematico-concettuali del periodo; bibliografie essenziali, ragionate. Anche questi apparati sono stati rinnovati, accresciuti e aggiornati.

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Information

Year
2018
ISBN
9788858134764

1.
La nascita degli Stati Uniti

1.1. Le colonie britanniche nell’America del Nord

La formazione degli Stati Uniti d’America è il primo episodio di quella stagione rivoluzionaria – politica ma anche economica e sociale – che inizia negli ultimi decenni del ’700 e si chiude alla metà dell’800: l’età delle “grandi rivoluzioni”.
Con la nascita degli Stati Uniti fa il suo ingresso sulla scena mondiale un nuovo protagonista, anche se dovranno passare molti decenni, e una drammatica guerra civile, perché il nuovo Stato si consolidi. Ma dalla fine dell’800, prima con la guerra contro la Spagna per l’indipendenza di Cuba (che divenne protettorato americano nel 1898), poi con la partecipazione al primo conflitto mondiale (nel 1917), gli Stati Uniti si affermarono come grande potenza fino a dominare la seconda metà del ’900 e gli anni iniziali del nuovo secolo.
Nessuno poteva immaginare che un conflitto locale tra sudditi della Gran Bretagna, in colonie lontane dalla madrepatria, divenisse motore di una così grande trasformazione.
I primi insediamenti
Agli inizi del ’600 in due diversi punti delle coste atlantiche dell’America settentrionale aveva preso avvio la colonizzazione inglese: nel 1607 nei territori della Virginia e nel 1620 con lo sbarco, molto più a nord – a Cape Cod, nel Massachusetts –, dei “Padri Pellegrini”, una congregazione di puritani inglesi già esuli in Olanda. I nuovi insediamenti furono favoriti dall’assistenza fornita dagli indiani nativi, i pellerossa, nel contribuire alla esplorazione del territorio e nel fornire risorse alimentari prima che le nuove coltivazioni potessero cominciare a dare i loro frutti. Presto però dissodamenti e disboscamenti sarebbero stati all’origine di duri conflitti con le tribù dei pellerossa sul possesso delle terre.
Nell’espansione inglese dei decenni successivi si sommarono l’iniziativa delle compagnie commerciali e una consistente immigrazione di minoranze politiche e religiose dalla Gran Bretagna ma anche da altri paesi europei, come quella degli ugonotti dalla Francia o degli amish dalle regioni di lingua tedesca. Via via gli inglesi risalirono verso nord e discesero verso sud conquistando e mettendo a coltivazione territori sempre più estesi, assorbendo e talora acquistando i precedenti insediamenti olandesi e svedesi.
Le tredici colonie
Nel 1763, alla fine della guerra dei Sette anni contro la Francia, le colonie britanniche si estendevano dal Canada a nord (la Nuova Scozia) alla Florida a sud, mentre a ovest erano delimitate dalla catena montuosa degli Appalachi. Distese su un territorio così lungo, le colonie erano caratterizzate da grandi diversità climatiche, ma differivano anche per composizione sociale e assetti economico-produttivi.
Le quattro colonie settentrionali. La Nuova Inghilterra In Massachusetts, New Hampshire, Rhode Island, Connecticut il clima, simile a quello dell’Europa nord-occidentale, aveva consentito la coltivazione dei cereali e la costituzione di villaggi rurali. Nei centri urbani della costa, però, primo fra tutti Boston, fiorì, grazie alla larga disponibilità di legname, un’importante industria cantieristica, che forniva circa il 50% del tonnellaggio alla flotta britannica.
Le quattro colonie del Centro Nei territori di New York, del New Jersey, della Pennsylvania e del Delaware, che non costituivano un blocco omogeneo, la situazione economica era simile a quella della Nuova Inghilterra, ma con più forti squilibri sociali e una diversa struttura della proprietà terriera – soprattutto nello Stato di New York dominavano infatti i grandi latifondisti.
Le cinque colonie del Sud In Virginia, Maryland, Carolina del Nord e del Sud, Georgia tutta l’economia era incentrata sulle piantagioni (tabacco, riso e, più tardi, cotone), si fondava principalmente sulla grande proprietà e si reggeva sul lavoro degli schiavi di origine africana. Ma era anche diffusa la piccola e media proprietà terriera che si avvaleva anch’essa della manodopera degli schiavi neri.
Le colonie americane alla vigilia della guerra con la Gran Bretagna
Le appartenenze religiose e la mentalità del nuovo “popolo eletto”
Le colonie si differenziavano profondamente anche dal punto di vista religioso, pur essendo tutte protestanti. Nella Nuova Inghilterra prevalevano largamente i dissidenti della Chiesa anglicana (presbiteriani, congregazionalisti, metodisti): qui, negli anni 1730-40, aveva trovato larga diffusione il movimento del Grande risveglio protestante, animato da impetuosi predicatori che volevano rivitalizzare la fede, ritornare alla Bibbia, rafforzare la pratica religiosa. La Pennsylvania ospitava larghe comunità di quaccheri e di amish. Nelle colonie del Sud era dominante invece la fedeltà alla Chiesa anglicana.
Le numerose denominazioni religiose del protestantesimo intransigente erano impegnate nella difesa delle forme di autogoverno, delle libertà dei coloni e alimentavano il dissenso nei confronti delle istituzioni e dei controlli esercitati dall’amministrazione e dalle istituzioni della Corona britannica. Queste posizioni erano fondate sul nesso sempre più stringente tra libertà religiosa e libertà politica nonché sulla convinzione di una nuova missione e di un destino speciale affidato da Dio ai nuovi americani che si consideravano un popolo eletto, chiamato a realizzare il vero cristianesimo.
La popolazione e le tradizioni insediative
Secondo le stime, nel 1770 la popolazione aveva superato i 2 milioni e nel 1780, con un elevato tasso di incremento, avrebbe raggiunto i 2.780.000 individui. Tra la popolazione si contavano oltre 500 mila schiavi neri, concentrati nelle colonie meridionali dove rappresentavano il 40% circa degli abitanti.
Un ruolo rilevante avevano gli indiani pellerossa, dislocati all’interno dei territori e sospinti dalla colonizzazione sempre più verso ovest, non facilmente conteggiabili ma in continua diminuzione. Tra le numerose “nazioni” indiane (questo era il termine con cui venivano chiamate le tribù) spiccavano la confederazione degli Irochesi del Nord-Est, già alleati dei britannici nelle guerre franco-indiane, gli Algonchini, schierati invece con i francesi, e i Cherokee a Sud.
Le colonie non erano caratterizzate da una significativa urbanizzazione, soprattutto nei territori del Sud. Diversa era la situazione nelle colonie del Centro e del Nord. Philadelphia era la città più popolosa, con 40 mila abitanti, mentre gli altri due principali centri urbani, Boston e New York, che pure avevano conosciuto un vistoso incremento demografico del 50% tra il 1760 e il 1775, si fermavano a 18 mila e 21 mila abitanti rispettivamente. Centri, dunque, relativamente piccoli ma vivacissimi per le attività economiche e la vita politica e culturale.

1.2. Una rivoluzione per l’indipendenza

Le premesse del conflitto
Le colonie americane, largamente inserite nel sistema di scambi atlantici, dovevano sottostare alle leggi commerciali imposte da Londra. Solo le navi britanniche potevano accedere ai porti del Nord America e tutte le merci dirette alle colonie dovevano passare per la Gran Bretagna. La quasi totalità della produzione coloniale – il tabacco e il riso del Sud, il legname della Nuova Inghilterra, il pesce e l’olio di balena, il rhum e le pellicce – era destinata ai mercati britannici, mentre l’industria locale, salvo quella cantieristica, era ostacolata per evitare che entrasse in concorrenza con quella della madrepatria.
Sul piano politico-amministrativo, invece, le colonie, pur sottoposte al controllo di un governatore di nomina regia, si erano date assemblee legislative elette dai cittadini che nel corso del tempo avevano assunto poteri sempre maggiori. Questo dualismo di poteri di fatto lasciava spazio a continui conflitti, intensificatisi soprattutto dopo la fine dell’ultima guerra franco-indiana: a partire dal 1763 le tredici colonie cominciarono a sentirsi come un’unità autonoma, diversa dalla madrepatria, con una propria identità e non più come parte integrante di un impero britannico unitario.
Il boicottaggio delle merci britanniche
Questi sentimenti si accentuarono fino a trasformarsi in diffusa opposizione politica quando la Gran Bretagna intensificò il prelievo fiscale. Si trattava di rimettere in sesto le finanze statali dissanguate dalle guerre e di pagare i funzionari e le truppe stanziate nei territori americani. Ma se ai vincoli commerciali le colonie avevano risposto con il contrabbando o eludendo le norme, ora all’inasprimento fiscale risposero con il boicottaggio delle merci provenienti dalla madrepatria.
L’imposizione di una serie di dazi doganali – come quello sullo zucchero del 1764 – e dello Stamp Act (1765), l’obbligo di una marca da bollo non solo sui documenti ma anche su giornali e riviste, provocò la dura reazione dei coloni. Della protesta si fecero interpreti le assemblee legislative e i numerosi periodici politici delle colonie, che potevano contare su un larghissimo consenso in tutti i ceti sociali, dai grandi proprietari del Sud agli artigiani del Nord, agli intellettuali. Venne richiamata con forza la stessa tradizione del parlamentarismo britannico: in particolare il principio secondo cui nessuna tassa poteva essere imposta senza l’approvazione di un’assemblea in cui i diritti dei tassati trovassero adeguata rappresentanza. In base a questo principio – no taxation without representation il Parlamento di Londra, dove i coloni non erano rappresentati, non aveva diritto di imporre tasse ai territori d’oltreoceano.
Dalla ribellione alla guerra
La tensione, già alta, si accentuò quando un provvedimento del 1773 assegnò alla Compagnia delle Indie il monopolio della vendita del tè nel continente americano, danneggiando gravemente i commercianti locali. Nel dicembre 1773, nel porto di Boston – centro principale dell’agitazione antibritannica – furono assalite alcune navi della Compagnia e fu gettato in mare il carico di tè. All’atto, passato alla storia come Boston Tea Party, il governo centrale rispose con dure misure di ritorsione: nel 1774 il porto di Boston fu chiuso, il Massachusetts fu privato delle sue autonomie, in tutte le colonie...

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