Storia contemporanea
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Storia contemporanea

Dalla Grande Guerra a oggi

Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto

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Storia contemporanea

Dalla Grande Guerra a oggi

Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto

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La nuova edizione aggiornata di un manuale che ha avuto ottima accoglienza nelle università e nelle scuole.

Il Novecento, un secolo che si apre col trauma originario della Grande Guerra e si chiude con le grandi trasformazioni seguite alla caduta del muro di Berlino: è la periodizzazione di questo manuale, che si spinge ad analizzare gli ultimi eventi dei nostri giorni senza rinunciare a una struttura agile, maneggevole e rigorosa, a una scrittura piana e comprensibile, a una strumentazione didattica particolarmente efficace, dalle numerose cartine alle bibliografie ragionate che guidano l'approfondimento dei temi toccati. In questa nuova edizione, fortemente accresciuta e rivista, sono state inserite numerose nuove Parole chiave, indispensabili per focalizzare le principali categorie tematico-concettuali del periodo.

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Information

Year
2019
ISBN
9788858135747

1. La prima guerra mondiale
e la rivoluzione russa

1.1. Venti di guerra

L’Europa del 1914
Agli inizi del 1914 il predominio dell’Europa su gran parte del mondo era ancora indiscusso, nonostante l’emergere a Oriente e Occidente di nuove potenze, come il Giappone e gli Stati Uniti. Lo straordinario sviluppo nella produzione industriale, nel campo tecnologico e negli scambi commerciali aveva diffuso l’idea di un progresso inarrestabile, che avrebbe portato benessere a tutti. L’integrazione tra le economie più sviluppate e il consolidamento delle istituzioni rappresentative (con l’estensione del diritto di voto) sembravano poter poi realizzare un processo di democratizzazione e scongiurare il pericolo di scossoni rivoluzionari o guerre.
Conflitti latenti
Tuttavia, l’evoluzione politica e i progressi economici e materiali non bastavano a spegnere i conflitti sociali interni ai singoli paesi né a far scomparire le tensioni politiche internazionali. Tra le potenze europee, che pure non si combattevano da quasi mezzo secolo, erano ancora vive vecchie e nuove rivalità: tra l’Austria-Ungheria e la Russia per il controllo dei Balcani; tra la Francia e la Germania per l’Alsazia e la Lorena; tra la Gran Bretagna e la Germania per la corsa agli armamenti navali. L’equilibrio continentale si basava sulla contrapposizione di due blocchi di alleanze: Austria e Germania contro Francia, Russia e Gran Bretagna. In questo quadro, la corsa agli armamenti intrapresa dalle maggiori potenze e la forza distruttiva dei nuovi mezzi bellici rendevano sempre più inquietante l’ipotesi di un conflitto.
La guerra come occasione
La guerra era dunque nell’aria. Ma non tutti la temevano come il peggiore dei mali. Se le minoranze pacifiste si mobilitavano per impedirne lo scoppio, se i socialisti di tutti i paesi la condannavano in nome degli ideali internazionalisti (ma la vedevano anche come l’esito fatale delle contraddizioni del capitalismo), settori non trascurabili delle classi dirigenti e delle opinioni pubbliche nazionali la valutavano come un’opzione praticabile nella logica del confronto fra le potenze, o la concepivano come un dovere patriottico, o addirittura la invocavano come un evento liberatorio. Per molti giovani, che condividevano con i più autorevoli intellettuali dell’epoca l’insofferenza nei confronti dell’ottimismo positivista e progressista, o che erano semplicemente alla ricerca di nuove esperienze e di nuove emozioni, la guerra si presentava come la grande occasione per uscire dagli orizzonti angusti di una mediocre realtà quotidiana. Solo la guerra – si pensava – avrebbe potuto risvegliare una società intorpidita da troppi anni di pace e di ricerca del benessere materiale, restituire alla vita una dimensione eroica, rilanciare l’ideale patriottico e l’etica del sacrificio.
Ma le motivazioni di chi auspicava il conflitto potevano essere anche meno disinteressate: c’erano, infatti, militari, uomini politici, industriali e finanzieri pronti a sfruttare le opportunità di carriera, di successo e di guadagno offerte da una guerra che i più immaginavano breve, sul modello dei conflitti ottocenteschi, e naturalmente vittoriosa per il proprio paese.
Questa somma di aspirazioni ideali e di calcoli sbagliati non basta certo a spiegare lo scoppio della Grande Guerra. Ci aiuta però a capire il clima fra il rassegnato e l’esaltato in cui l’Europa affrontò un evento che le sarebbe costato milioni di morti e avrebbe segnato il declino irreversibile della sua egemonia.

1.2. Una reazione a catena

Nell’Europa del 1914 esistevano dunque tutte le premesse che rendevano possibile, anzi probabile, una guerra. Imprevedibile, e per molti aspetti casuale, fu però la dinamica degli eventi da cui scaturì il casus belli, ovvero l’occasione, o il pretesto, per lo scatenamento del conflitto.
L’attentato di Sarajevo
Il 28 giugno 1914, uno studente bosniaco di nome Gavrilo Princip uccise con due colpi di pistola l’erede al trono d’Austria, l’arciduca Francesco Ferdinando, e sua moglie, mentre attraversavano in auto scoperta le vie di Sarajevo, capitale della Bosnia. L’attentatore faceva parte di un’organizzazione ultranazionalista che si batteva affinché la Bosnia, annessa all’Austria-Ungheria nel 1908 ma abitata in maggioranza da popolazioni slave, entrasse a far parte di una “grande Serbia” indipendente dall’Impero asburgico. L’organizzazione, detta “Mano nera”, aveva la sua base operativa proprio in Serbia e godeva di larghe complicità nella classe politica e nei vertici militari di quel paese. Tanto bastò per suscitare la reazione del governo e dei circoli dirigenti austriaci, da tempo convinti della necessità di impartire una lezione alla Serbia e alle sue ambizioni espansionistiche che minacciavano l’integrità dell’Impero. Un attentato terroristico, molto simile a quelli di matrice anarchica che avevano già mietuto numerose vittime fra governanti e sovrani, si trasformò così in un caso internazionale e mise in moto una catena di reazioni e controreazioni che precipitarono l’Europa in un conflitto di proporzioni mai viste. Un conflitto che avrebbe segnato una svolta decisiva nella storia dell’Europa e del mondo, ridisegnando i confini e mutando i rapporti di forza fra gli Stati, trasformando la stessa società, aprendo infine una fase di guerre e rivolgimenti interni durata più di trent’anni e conclusasi col definitivo tramonto della centralità europea.
Il caso e la storia
La vicenda dell’attentato di Sarajevo è dunque un tipico esempio di come il corso della “grande storia” possa essere influenzato da eventi singoli, da decisioni individuali, da circostanze del tutto accidentali: nessuno può dire che cosa sarebbe accaduto se a Sarajevo i servizi di sicurezza imperiali fossero stati più efficienti o se l’attentatore avesse mancato il suo bersaglio. Ma Princip non sbagliò la mira. E l’attentato di Sarajevo fece esplodere tensioni che altrimenti avrebbero potuto restare latenti. Furono le decisioni prese da governanti e capi militari a trasformare una crisi locale in un conflitto generale, il primo combattuto sul Vecchio Continente dopo la fine delle guerre napoleoniche.
Ultimatum e dichiarazioni di guerra
L’Austria compì la prima mossa inviando, il 23 luglio, un durissimo ultimatum alla Serbia. Il secondo passo lo fece la Russia promettendo sostegno alla Serbia, sua principale alleata nei Balcani. Forte dell’appoggio russo, il governo serbo accettò solo in parte l’ultimatum, respingendo la clausola che prevedeva la partecipazione di funzionari austriaci alle indagini sui mandanti dell’attentato. L’Austria giudicò la risposta insufficiente e, il 28 luglio, dichiarò guerra alla Serbia. Immediata fu la reazione del governo russo che, il giorno successivo, ordinò la mobilitazione delle forze armate. Dichiarare la mobilitazione significava dare il via a tutta quella serie di operazioni che costituivano la necessaria premessa di una guerra: operazioni particolarmente lunghe e complesse in un paese delle dimensioni dell’Impero zarista. Ma la mobilitazione – che i generali russi vollero estesa all’intero confine occidentale (e non solo alle frontiere con l’Austria-Ungheria) per prevenire un eventuale attacco da parte della Germania – fu interpretata dal governo tedesco come un atto di ostilità.
Il 31 luglio la Germania inviò un ultimatum alla Russia intimandole l’immediata sospensione dei preparativi bellici. L’ultimatum non ottenne risposta e fu seguito, a ventiquattro ore di distanza, dall...

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