1. La prima guerra mondiale
e la rivoluzione russa
1.1. Venti di guerra
LâEuropa del 1914
Agli inizi del 1914 il predominio dellâEuropa su gran parte del mondo era ancora indiscusso, nonostante lâemergere a Oriente e Occidente di nuove potenze, come il Giappone e gli Stati Uniti. Lo straordinario sviluppo nella produzione industriale, nel campo tecnologico e negli scambi commerciali aveva diffuso lâidea di un progresso inarrestabile, che avrebbe portato benessere a tutti. Lâintegrazione tra le economie piĂč sviluppate e il consolidamento delle istituzioni rappresentative (con lâestensione del diritto di voto) sembravano poter poi realizzare un processo di democratizzazione e scongiurare il pericolo di scossoni rivoluzionari o guerre.
Conflitti latenti
Tuttavia, lâevoluzione politica e i progressi economici e materiali non bastavano a spegnere i conflitti sociali interni ai singoli paesi nĂ© a far scomparire le tensioni politiche internazionali. Tra le potenze europee, che pure non si combattevano da quasi mezzo secolo, erano ancora vive vecchie e nuove rivalitĂ : tra lâAustria-Ungheria e la Russia per il controllo dei Balcani; tra la Francia e la Germania per lâAlsazia e la Lorena; tra la Gran Bretagna e la Germania per la corsa agli armamenti navali. Lâequilibrio continentale si basava sulla contrapposizione di due blocchi di alleanze: Austria e Germania contro Francia, Russia e Gran Bretagna. In questo quadro, la corsa agli armamenti intrapresa dalle maggiori potenze e la forza distruttiva dei nuovi mezzi bellici rendevano sempre piĂč inquietante lâipotesi di un conflitto.
La guerra come occasione
La guerra era dunque nellâaria. Ma non tutti la temevano come il peggiore dei mali. Se le minoranze pacifiste si mobilitavano per impedirne lo scoppio, se i socialisti di tutti i paesi la condannavano in nome degli ideali internazionalisti (ma la vedevano anche come lâesito fatale delle contraddizioni del capitalismo), settori non trascurabili delle classi dirigenti e delle opinioni pubbliche nazionali la valutavano come unâopzione praticabile nella logica del confronto fra le potenze, o la concepivano come un dovere patriottico, o addirittura la invocavano come un evento liberatorio. Per molti giovani, che condividevano con i piĂč autorevoli intellettuali dellâepoca lâinsofferenza nei confronti dellâottimismo positivista e progressista, o che erano semplicemente alla ricerca di nuove esperienze e di nuove emozioni, la guerra si presentava come la grande occasione per uscire dagli orizzonti angusti di una mediocre realtĂ quotidiana. Solo la guerra â si pensava â avrebbe potuto risvegliare una societĂ intorpidita da troppi anni di pace e di ricerca del benessere materiale, restituire alla vita una dimensione eroica, rilanciare lâideale patriottico e lâetica del sacrificio.
Ma le motivazioni di chi auspicava il conflitto potevano essere anche meno disinteressate: câerano, infatti, militari, uomini politici, industriali e finanzieri pronti a sfruttare le opportunitĂ di carriera, di successo e di guadagno offerte da una guerra che i piĂč immaginavano breve, sul modello dei conflitti ottocenteschi, e naturalmente vittoriosa per il proprio paese.
Questa somma di aspirazioni ideali e di calcoli sbagliati non basta certo a spiegare lo scoppio della Grande Guerra. Ci aiuta perĂČ a capire il clima fra il rassegnato e lâesaltato in cui lâEuropa affrontĂČ un evento che le sarebbe costato milioni di morti e avrebbe segnato il declino irreversibile della sua egemonia.
1.2. Una reazione a catena
NellâEuropa del 1914 esistevano dunque tutte le premesse che rendevano possibile, anzi probabile, una guerra. Imprevedibile, e per molti aspetti casuale, fu perĂČ la dinamica degli eventi da cui scaturĂŹ il casus belli, ovvero lâoccasione, o il pretesto, per lo scatenamento del conflitto.
Lâattentato di Sarajevo
Il 28 giugno 1914, uno studente bosniaco di nome Gavrilo Princip uccise con due colpi di pistola lâerede al trono dâAustria, lâarciduca Francesco Ferdinando, e sua moglie, mentre attraversavano in auto scoperta le vie di Sarajevo, capitale della Bosnia. Lâattentatore faceva parte di unâorganizzazione ultranazionalista che si batteva affinchĂ© la Bosnia, annessa allâAustria-Ungheria nel 1908 ma abitata in maggioranza da popolazioni slave, entrasse a far parte di una âgrande Serbiaâ indipendente dallâImpero asburgico. Lâorganizzazione, detta âMano neraâ, aveva la sua base operativa proprio in Serbia e godeva di larghe complicitĂ nella classe politica e nei vertici militari di quel paese. Tanto bastĂČ per suscitare la reazione del governo e dei circoli dirigenti austriaci, da tempo convinti della necessitĂ di impartire una lezione alla Serbia e alle sue ambizioni espansionistiche che minacciavano lâintegritĂ dellâImpero. Un attentato terroristico, molto simile a quelli di matrice anarchica che avevano giĂ mietuto numerose vittime fra governanti e sovrani, si trasformĂČ cosĂŹ in un caso internazionale e mise in moto una catena di reazioni e controreazioni che precipitarono lâEuropa in un conflitto di proporzioni mai viste. Un conflitto che avrebbe segnato una svolta decisiva nella storia dellâEuropa e del mondo, ridisegnando i confini e mutando i rapporti di forza fra gli Stati, trasformando la stessa societĂ , aprendo infine una fase di guerre e rivolgimenti interni durata piĂč di trentâanni e conclusasi col definitivo tramonto della centralitĂ europea.
Il caso e la storia
La vicenda dellâattentato di Sarajevo Ăš dunque un tipico esempio di come il corso della âgrande storiaâ possa essere influenzato da eventi singoli, da decisioni individuali, da circostanze del tutto accidentali: nessuno puĂČ dire che cosa sarebbe accaduto se a Sarajevo i servizi di sicurezza imperiali fossero stati piĂč efficienti o se lâattentatore avesse mancato il suo bersaglio. Ma Princip non sbagliĂČ la mira. E lâattentato di Sarajevo fece esplodere tensioni che altrimenti avrebbero potuto restare latenti. Furono le decisioni prese da governanti e capi militari a trasformare una crisi locale in un conflitto generale, il primo combattuto sul Vecchio Continente dopo la fine delle guerre napoleoniche.
Ultimatum e dichiarazioni di guerra
LâAustria compĂŹ la prima mossa inviando, il 23 luglio, un durissimo ultimatum alla Serbia. Il secondo passo lo fece la Russia promettendo sostegno alla Serbia, sua principale alleata nei Balcani. Forte dellâappoggio russo, il governo serbo accettĂČ solo in parte lâultimatum, respingendo la clausola che prevedeva la partecipazione di funzionari austriaci alle indagini sui mandanti dellâattentato. LâAustria giudicĂČ la risposta insufficiente e, il 28 luglio, dichiarĂČ guerra alla Serbia. Immediata fu la reazione del governo russo che, il giorno successivo, ordinĂČ la mobilitazione delle forze armate. Dichiarare la mobilitazione significava dare il via a tutta quella serie di operazioni che costituivano la necessaria premessa di una guerra: operazioni particolarmente lunghe e complesse in un paese delle dimensioni dellâImpero zarista. Ma la mobilitazione â che i generali russi vollero estesa allâintero confine occidentale (e non solo alle frontiere con lâAustria-Ungheria) per prevenire un eventuale attacco da parte della Germania â fu interpretata dal governo tedesco come un atto di ostilitĂ .
Il 31 luglio la Germania inviĂČ un ultimatum alla Russia intimandole lâimmediata sospensione dei preparativi bellici. Lâultimatum non ottenne risposta e fu seguito, a ventiquattro ore di distanza, dall...