L'idea di nazione
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L'idea di nazione

Armando Saitta, Federico Chabod, Ernesto Sestan

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L'idea di nazione

Armando Saitta, Federico Chabod, Ernesto Sestan

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«Dire senso di nazionalità, significa dire senso di individualità storica. Si giunge al principio di nazione in quanto si giunge ad affermare il principio di individualità, cioè ad affermare, contro tendenze generalizzatrici ed universalizzanti, il principio del particolare, del singolo. Per questo, l'idea di nazione sorge e trionfa con il sorgere e il trionfare di quel grandioso movimento di cultura europeo, che ha nome Romanticismo.»Federico Chabod

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Information

Year
2021
ISBN
9788858145623

L’idea di nazione

Testo del 1943-44
Dire senso di nazionalità, significa dire senso di individualità storica. Si giunge al principio di nazione in quanto si giunge ad affermare il principio di individualità, cioè ad affermare, contro tendenze generalizzatrici ed universalizzanti, il principio del particolare, del singolo.
Per questo, l’idea di nazione sorge e trionfa con il sorgere e il trionfare di quel grandioso movimento di cultura europeo, che ha nome Romanticismo: affondando le sue prime radici già nel secolo XVIII, appunto nei primi precorrimenti del modo di sentire e pensare romantico, trionfando in pieno con il secolo XIX, quando il senso dell’individuale domina il pensiero europeo.
L’imporsi del senso della «nazione» non è che un particolare aspetto di un movimento generale il quale, contro la «ragione» cara agli illuministi, rivendica i diritti della fantasia e del sentimento, contro il buon senso equilibrato e contenuto proclama i diritti della passione, contro le tendenze a livellare tutto, sotto l’insegna della filosofia, e contro le tendenze anti-eroe del ’700, esalta precisamente l’eroe, il genio, l’uomo che spezza le catene del vivere comune, le norme tradizionali care ai filistei borghesi, e si lancia nell’avventura.
Fantasia e sentimento, morale e amore dell’arte, speranza e tradizioni, poesia e natura, questo il Novalis1, romanticissimo, rimproverava all’Illuminismo di aver cercato di soffocare; questo il Romanticismo volle rimettere in onore. Ma sul terreno politico fantasia e sentimento, speranze e tradizioni, non potevano avere, contrariamente al programma del Novalis, che un nome: nazione. La reazione contro le tendenze universalizzanti dell’Illuminismo (in politica, l’assolutismo illuminato), che aveva cercato leggi valide per ogni governo, in qualsivoglia parte del mondo si fosse, sotto qualunque clima e con tradizioni diversissime, e aveva proclamato uguali le norme per l’uomo saggio, a Pechino come a Parigi; questa reazione non poteva che mettere in luce il particolare, l’individuale, cioè la nazione singola. Dire rivincita della fantasia e del sentimento sulla ragione, significa appunto dire trionfo di ciò che v’è di più particolare e differenziato da uomo a uomo contro ciò che dev’essere valido per tutti gli uomini: la ragione può dettar norme di carattere universale, la fantasia e il sentimento ispirano ciascuno in modo diverso, «dittano» dentro con estrema varietà di tono e di ritmo. Ora, contro le tendenze cosmopolitiche, universalizzanti, tendenti a dettar leggi astratte, valide per tutti i popoli, la «nazione» significa senso della singolarità di ogni popolo, rispetto per le sue proprie tradizioni, custodia gelosa delle particolarità del suo carattere nazionale.
Lo sviluppo dell’idea di nazione procede quindi di pari passo con lo sviluppo della poetica del sentimento e dell’immaginazione, che reagisce agli schemi razionalistici e all’Art poétique del Boileau; e significa, ad un tempo, affermazione di un’idea politica, a cui spetterà l’avvenire, e di un criterio di valutazione storica, per cui la storia apparirà, appunto, in pieno Romanticismo, come la scena su cui agiscono le nazioni succedentisi l’una l’altra, di volta in volta, nel portar la fiaccola della civiltà e nel sostenere la parte di primo attore nelle vicende umane.
È uno sviluppo che è stato, di recente, studiato con molto acume, per quanto riguarda gli scrittori svizzeri e tedeschi del ’700, fino a Kant, in un bel libro di C. Antoni, La lotta contro la ragione (Firenze, Sansoni, 1942): libro di cui consigliamo vivamente la lettura2.
Non è che il termine nazione fosse ignoto per l’innanzi. Tutt’altro. Lo troviamo sin dal Medioevo: basti pensare all’uso di esso sia nelle Università, divise appunto per nazioni (Bologna, Padova, Parigi), sia nei grandi concili, sia, anche, in altre occasioni, come quando si parla dei mercanti di nazione «lombarda» in Francia nel secolo XIII ecc. Si trova già, anche, in senso politico: così, per es., in Guglielmo di Ockham, là dove si parla3 della translatio imperii, e si discute se i Romani «nullum ius habeant in imperio plus quam ceterae nationes», e si esaminano i modi «ut statuatur quod de certa natione vel gente imperator eligatur» (Dialogus, libro I, cap. 29). Nazione = gens: significato etnico, che si tramuta però in politico, quando la gens diventa criterio di discriminazione, per stabilire il modo della elezione imperiale4.
Ma, anzitutto, nazione non è affatto il termine esclusivo per designare il concetto che per noi moderni è da tal parola indissolubile: generalmente, anzi, gli scrittori si valgono più del termine «provincia» che di quello «nazione», per designare la nazione. Si pensi al dantesco
non donna di provincie, ma bordello
(Purgatorio, VI, v. 78).
Ancor nel Machiavelli il termine «provincia» è assai spesso usato nel senso nostro di nazione, mentre il termine «nazione» appare rarissimamente (cfr. Ercole, La politica di Machiavelli, Roma 1926, p. 111)5.
Ma anche a prescindere da simili incertezze di terminologia, che sono pur sempre un prezioso indice di oscillazioni nel concetto stesso che s’intende esprimere, è certo che la «nazione» del basso Medioevo non è ancora quella che esalterà il Romanticismo6. Se ne parla, senza dubbio: e basti, per noi, rammentare Dante e Petrarca, prima ancora di Machiavelli. Ma, anzitutto, salvo appunto queste eccezioni, grandi, ma eccezioni, l’idea di nazione non ha ancora alcun influsso sul pensiero complessivo europeo; anzi, spesso in coloro stessi che ne parlano resta un particolare, un momento isolato non accordantesi con l’insieme delle concezioni. È proprio il caso di Dante, il cui senso, tanto vantato, di «italianità» non impedisce che il suo miraggio politico7 sia, ancora e sempre, l’impero universale, anche se accentrato nell’Italia, nel giardino dello «imperio»; il cui senso della nazione (comunque sia il termine, provincia o altro) non ha, dunque, alcuna capacità di influire sulla veduta d’insieme. Lo stesso dicasi per il Petrarca.
Col Machiavelli, senza dubbio, le cose mutano, nel senso che egli dell’impero universale non si cura minimamente, e che il suo sguardo è già fermo sulle grandi unità singole, Francia, Spagna. Ma si deve notare che il suo interesse è per l’unità «statale», più che per la «nazione»: vale a dire, il problema che lo assilla è puramente politico, egli osserva e commenta quel che ha forma e aspetto politico, non altro; quindi la nazione per lui esiste in quanto sia organizzata o stia per organizzarsi in corpo politico, in unità statale, con un governo regolare. Cioè, ancora, è lo «Stato» che lo preoccupa, e questo solo.
Col Romanticismo ci fu «anche» l’anelito, in alcuni paesi, a far della «nazione» pure il criterio base, la misura di valore della vita politica, in Italia e in Germania, soprattutto: ci fu cioè la tendenza a convertire il riconoscimento, teorico, dell’esistenza di una nazione italiana e di una nazione tedesca, con proprie caratteristiche inconfondibili, nella organizzazione pratica di uno «Stato nazionale» italiano e tedesco. Si ebbe l’enunciazione del «principio di nazionalità» come principio supremo della vita dei popoli; si volle lo «Stato nazionale».
Ma non tutto il significato e il valore della nazione si esaurirono in questo: anzi, tali conseguenze politiche si poterono trarre soltanto in quanto, prima, si era scoperta e riconosciuta la «individualità» morale e culturale della nazione. Cioè: si disse, l’Italia deve essere una e indipendente, deve costituire uno «Stato», in quanto l’Italia è una «nazione», è una individualità storica, che ha proprie caratteristiche, non soltanto etniche e linguistiche, ma di tradizione e di pensiero, in quanto l’Italia ha un’anima sua, ben diversa dall’anima francese, tedesca, spagnola, ecc., e perciò ha diritto di poter liberamente esprimere «anche» sul terreno politico, oltre che su quello letterario, artistico, musicale, ecc., questa sua anima, questo suo spirito, proprio di lei e di nessun altro popolo.
Ma è precisamente nella scoperta di quest’anima nazionale che consiste la grande novità dell’idea di nazione della fine del Settecento e dell’Ottocento; è nel riconoscimento delle peculiarità incancellabili, morali e spirituali, di ogni popolo, che sta il frutto dell’esperienza preromantica e romantica.
Anche qui, si deve avvertire che, senza dubbio, negli scrittori del Rinascimento v’erano accenni al «carattere» dei vari popoli, alla loro «natura». Ma si tratta, quasi sempre, di una formula che tiene conto essenzialmente di elementi naturalistici, e che in breve diviene formula stereotipa.
Si prendano, per es., le osservazioni del Machiavelli e, in genere, di tutti gli storici fiorentini e poi degli ambasciatori veneti sui rapporti fra aere sottile e ingegno pronto e acuto, rapporto esemplificato proprio nei fiorentini: così in una relazione al Senato veneto di Vincenzo Fedeli, del 1561, si può leggere: «È tutta questa bellissima regione [Firenze] ben coltivata ed abitata e posta sotto felicissimo cielo, sotto aere benigno e temperato, ma sottilissimo, e per questo fa gli uomini ingegniati, pronti e sottili»...

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