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L'idea di nazione
Armando Saitta, Federico Chabod, Ernesto Sestan
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L'idea di nazione
Armando Saitta, Federico Chabod, Ernesto Sestan
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«Dire senso di nazionalità , significa dire senso di individualità storica. Si giunge al principio di nazione in quanto si giunge ad affermare il principio di individualità , cioÚ ad affermare, contro tendenze generalizzatrici ed universalizzanti, il principio del particolare, del singolo. Per questo, l'idea di nazione sorge e trionfa con il sorgere e il trionfare di quel grandioso movimento di cultura europeo, che ha nome Romanticismo.»Federico Chabod
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TeorĂa y crĂtica histĂłricasLâidea di nazione
Testo del 1943-44
Dire senso di nazionalitĂ , significa dire senso di individualitĂ storica. Si giunge al principio di nazione in quanto si giunge ad affermare il principio di individualitĂ , cioĂš ad affermare, contro tendenze generalizzatrici ed universalizzanti, il principio del particolare, del singolo.
Per questo, lâidea di nazione sorge e trionfa con il sorgere e il trionfare di quel grandioso movimento di cultura europeo, che ha nome Romanticismo: affondando le sue prime radici giĂ nel secolo XVIII, appunto nei primi precorrimenti del modo di sentire e pensare romantico, trionfando in pieno con il secolo XIX, quando il senso dellâindividuale domina il pensiero europeo.
Lâimporsi del senso della «nazione» non Ăš che un particolare aspetto di un movimento generale il quale, contro la «ragione» cara agli illuministi, rivendica i diritti della fantasia e del sentimento, contro il buon senso equilibrato e contenuto proclama i diritti della passione, contro le tendenze a livellare tutto, sotto lâinsegna della filosofia, e contro le tendenze anti-eroe del â700, esalta precisamente lâeroe, il genio, lâuomo che spezza le catene del vivere comune, le norme tradizionali care ai filistei borghesi, e si lancia nellâavventura.
Fantasia e sentimento, morale e amore dellâarte, speranza e tradizioni, poesia e natura, questo il Novalis1, romanticissimo, rimproverava allâIlluminismo di aver cercato di soffocare; questo il Romanticismo volle rimettere in onore. Ma sul terreno politico fantasia e sentimento, speranze e tradizioni, non potevano avere, contrariamente al programma del Novalis, che un nome: nazione. La reazione contro le tendenze universalizzanti dellâIlluminismo (in politica, lâassolutismo illuminato), che aveva cercato leggi valide per ogni governo, in qualsivoglia parte del mondo si fosse, sotto qualunque clima e con tradizioni diversissime, e aveva proclamato uguali le norme per lâuomo saggio, a Pechino come a Parigi; questa reazione non poteva che mettere in luce il particolare, lâindividuale, cioĂš la nazione singola. Dire rivincita della fantasia e del sentimento sulla ragione, significa appunto dire trionfo di ciĂČ che vâĂš di piĂč particolare e differenziato da uomo a uomo contro ciĂČ che devâessere valido per tutti gli uomini: la ragione puĂČ dettar norme di carattere universale, la fantasia e il sentimento ispirano ciascuno in modo diverso, «dittano» dentro con estrema varietĂ di tono e di ritmo. Ora, contro le tendenze cosmopolitiche, universalizzanti, tendenti a dettar leggi astratte, valide per tutti i popoli, la «nazione» significa senso della singolaritĂ di ogni popolo, rispetto per le sue proprie tradizioni, custodia gelosa delle particolaritĂ del suo carattere nazionale.
Lo sviluppo dellâidea di nazione procede quindi di pari passo con lo sviluppo della poetica del sentimento e dellâimmaginazione, che reagisce agli schemi razionalistici e allâArt poĂ©tique del Boileau; e significa, ad un tempo, affermazione di unâidea politica, a cui spetterĂ lâavvenire, e di un criterio di valutazione storica, per cui la storia apparirĂ , appunto, in pieno Romanticismo, come la scena su cui agiscono le nazioni succedentisi lâuna lâaltra, di volta in volta, nel portar la fiaccola della civiltĂ e nel sostenere la parte di primo attore nelle vicende umane.
Ă uno sviluppo che Ăš stato, di recente, studiato con molto acume, per quanto riguarda gli scrittori svizzeri e tedeschi del â700, fino a Kant, in un bel libro di C. Antoni, La lotta contro la ragione (Firenze, Sansoni, 1942): libro di cui consigliamo vivamente la lettura2.
Non Ăš che il termine nazione fosse ignoto per lâinnanzi. Tuttâaltro. Lo troviamo sin dal Medioevo: basti pensare allâuso di esso sia nelle UniversitĂ , divise appunto per nazioni (Bologna, Padova, Parigi), sia nei grandi concili, sia, anche, in altre occasioni, come quando si parla dei mercanti di nazione «lombarda» in Francia nel secolo XIII ecc. Si trova giĂ , anche, in senso politico: cosĂŹ, per es., in Guglielmo di Ockham, lĂ dove si parla3 della translatio imperii, e si discute se i Romani «nullum ius habeant in imperio plus quam ceterae nationes», e si esaminano i modi «ut statuatur quod de certa natione vel gente imperator eligatur» (Dialogus, libro I, cap. 29). Nazione = gens: significato etnico, che si tramuta perĂČ in politico, quando la gens diventa criterio di discriminazione, per stabilire il modo della elezione imperiale4.
Ma, anzitutto, nazione non Ăš affatto il termine esclusivo per designare il concetto che per noi moderni Ăš da tal parola indissolubile: generalmente, anzi, gli scrittori si valgono piĂč del termine «provincia» che di quello «nazione», per designare la nazione. Si pensi al dantesco
non donna di provincie, ma bordello
(Purgatorio, VI, v. 78).
Ancor nel Machiavelli il termine «provincia» Ú assai spesso usato nel senso nostro di nazione, mentre il termine «nazione» appare rarissimamente (cfr. Ercole, La politica di Machiavelli, Roma 1926, p. 111)5.
Ma anche a prescindere da simili incertezze di terminologia, che sono pur sempre un prezioso indice di oscillazioni nel concetto stesso che sâintende esprimere, Ăš certo che la «nazione» del basso Medioevo non Ăš ancora quella che esalterĂ il Romanticismo6. Se ne parla, senza dubbio: e basti, per noi, rammentare Dante e Petrarca, prima ancora di Machiavelli. Ma, anzitutto, salvo appunto queste eccezioni, grandi, ma eccezioni, lâidea di nazione non ha ancora alcun influsso sul pensiero complessivo europeo; anzi, spesso in coloro stessi che ne parlano resta un particolare, un momento isolato non accordantesi con lâinsieme delle concezioni. Ă proprio il caso di Dante, il cui senso, tanto vantato, di «italianità » non impedisce che il suo miraggio politico7 sia, ancora e sempre, lâimpero universale, anche se accentrato nellâItalia, nel giardino dello «imperio»; il cui senso della nazione (comunque sia il termine, provincia o altro) non ha, dunque, alcuna capacitĂ di influire sulla veduta dâinsieme. Lo stesso dicasi per il Petrarca.
Col Machiavelli, senza dubbio, le cose mutano, nel senso che egli dellâimpero universale non si cura minimamente, e che il suo sguardo Ăš giĂ fermo sulle grandi unitĂ singole, Francia, Spagna. Ma si deve notare che il suo interesse Ăš per lâunità «statale», piĂč che per la «nazione»: vale a dire, il problema che lo assilla Ăš puramente politico, egli osserva e commenta quel che ha forma e aspetto politico, non altro; quindi la nazione per lui esiste in quanto sia organizzata o stia per organizzarsi in corpo politico, in unitĂ statale, con un governo regolare. CioĂš, ancora, Ăš lo «Stato» che lo preoccupa, e questo solo.
Col Romanticismo ci fu «anche» lâanelito, in alcuni paesi, a far della «nazione» pure il criterio base, la misura di valore della vita politica, in Italia e in Germania, soprattutto: ci fu cioĂš la tendenza a convertire il riconoscimento, teorico, dellâesistenza di una nazione italiana e di una nazione tedesca, con proprie caratteristiche inconfondibili, nella organizzazione pratica di uno «Stato nazionale» italiano e tedesco. Si ebbe lâenunciazione del «principio di nazionalità » come principio supremo della vita dei popoli; si volle lo «Stato nazionale».
Ma non tutto il significato e il valore della nazione si esaurirono in questo: anzi, tali conseguenze politiche si poterono trarre soltanto in quanto, prima, si era scoperta e riconosciuta la «individualità » morale e culturale della nazione. CioĂš: si disse, lâItalia deve essere una e indipendente, deve costituire uno «Stato», in quanto lâItalia Ăš una «nazione», Ăš una individualitĂ storica, che ha proprie caratteristiche, non soltanto etniche e linguistiche, ma di tradizione e di pensiero, in quanto lâItalia ha unâanima sua, ben diversa dallâanima francese, tedesca, spagnola, ecc., e perciĂČ ha diritto di poter liberamente esprimere «anche» sul terreno politico, oltre che su quello letterario, artistico, musicale, ecc., questa sua anima, questo suo spirito, proprio di lei e di nessun altro popolo.
Ma Ăš precisamente nella scoperta di questâanima nazionale che consiste la grande novitĂ dellâidea di nazione della fine del Settecento e dellâOttocento; Ăš nel riconoscimento delle peculiaritĂ incancellabili, morali e spirituali, di ogni popolo, che sta il frutto dellâesperienza preromantica e romantica.
Anche qui, si deve avvertire che, senza dubbio, negli scrittori del Rinascimento vâerano accenni al «carattere» dei vari popoli, alla loro «natura». Ma si tratta, quasi sempre, di una formula che tiene conto essenzialmente di elementi naturalistici, e che in breve diviene formula stereotipa.
Si prendano, per es., le osservazioni del Machiavelli e, in genere, di tutti gli storici fiorentini e poi degli ambasciatori veneti sui rapporti fra aere sottile e ingegno pronto e acuto, rapporto esemplificato proprio nei fiorentini: cosĂŹ in una relazione al Senato veneto di Vincenzo Fedeli, del 1561, si puĂČ leggere: «à tutta questa bellissima regione [Firenze] ben coltivata ed abitata e posta sotto felicissimo cielo, sotto aere benigno e temperato, ma sottilissimo, e per questo fa gli uomini ingegniati, pronti e sottili»...