Guida alla lettura dell'Etica di Spinoza
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Emanuela Scribano

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Guida alla lettura dell'Etica di Spinoza

Emanuela Scribano

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Un'introduzione all'opera fondamentale di uno dei filosofi più discussi, confutati, ammirati e deprecati della storia. Emanuela Scribano conduce alla comprensione del pensiero di Spinoza, a partire dalla metafisica fino alla sua dottrina della salvezza.

L' Etica di Spinoza è un testo complesso, sia per la particolare ampiezza e ricchezza tematica sia per lo stile espositivo scelto dall'autore che, sul modello di Euclide, organizza tutta la materia in definizioni, assiomi e teoremi. L'opera presenta inoltre una suggestiva commistione tra argomentazione razionale e scuola di vita, altro tratto tipico della filosofia classica. Il volume di Emanuela Scribano si presenta come un valido strumento per superare le difficoltà del testo spinoziano e giungere così alla comprensione dei principali argomenti toccati dal filosofo. Troppo spesso si tende a identificare l' Etica con le sue tesi più celebri, su Dio e sul rapporto di Dio con il mondo. Per penetrare il senso dell'opera occorre tenere presente che le cinque parti di cui si compone obbediscono alla logica di un disegno complessivo e si richiamano costantemente tra di loro. Spinoza argomenta dottrine assai elaborate sul rapporto mente-corpo, sulla immaginazione e sulla ragione, sulla psicologia e sulla morale. A ognuno di questi temi, e al progetto filosofico più ampio nel quale si inseriscono, Emanuela Scribano riserva in queste pagine una ricostruzione dettagliata, concludendo la sua panoramica con una sezione dedicata alla fortuna dell' Etica dal suo primo apparire sino agli anni più recenti.

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Information

Year
2014
ISBN
9788858114520

III. Analisi dell’opera

1. Parte prima: Dio

La Parte Prima dell’Etica è dedicata alla metafisica. Vi si dimostra che esiste un’unica sostanza, che Spinoza chiama Dio. Questa sostanza è infinita, e tutto ciò che esiste ne è una modificazione. Dio produce necessariamente tutto quello che è in suo potere, per cui la realtà è infinita e non potrebbe essere diversa da quel che è. Poiché esiste una sola sostanza infinita, e niente si dà al di fuori di essa, Dio si identifica con la natura. Nel Breve Trattato Spinoza aveva ottenuto questo stesso risultato partendo dalla considerazione della natura. Essa è assolutamente infinita, e dunque coincide con Dio, dal momento che tutti intendono con il nome di Dio l’ente assolutamente infinito. C’era qui una chiara allusione alle procedure con le quali Tommaso d’Aquino, sulla scia di Aristotele, aveva dimostrato l’esistenza di Dio: si può dimostrare che esiste un motore immobile, una causa prima, e poiché tutti attribuiscono a Dio la caratteristica di essere causa prima e motore immobile, allora Dio esiste. E Spinoza, ripetendo la struttura di questo argomento, aveva dimostrato, prima, che la natura è infinita, e aveva quindi concluso che essa coincide con quel che tutti intendono essere Dio: «della Natura viene affermato assolutamente tutto e la Natura consiste perciò di infiniti attributi, ciascuno dei quali è perfetto nel suo genere: il che concorda perfettamente con la definizione che si dà di Dio» (KV I, 2, 12). È l’infinità, quindi, la caratteristica fondamentale del divino, e Spinoza, nella sua metafisica, si presenta come il filosofo che ha preso sul serio le conseguenze dell’infinità che la maggior parte dei pensatori ha attribuito a Dio. La rivoluzione scientifica, poi, ha reso corrente la tesi secondo la quale l’universo e le sue leggi sono infinite, contribuendo in modo determinante all’identificazione di Dio con la natura che ora Spinoza rivendica seguendo la logica dell’infinità di Dio.

1.1. Le premesse

Come per ogni parte dell’Etica, la Parte Prima si apre con alcune definizioni e un gruppo di assiomi, che costituiscono il fondamento primo di tutte le dimostrazioni successive. Spinoza può contare su un ampio consenso per alcune definizioni, come la prima, che definisce «causa di sé» ciò la cui essenza implica l’esistenza. Si tratta di una definizione che affonda le radici nella cultura cartesiana, ed è il primo segno dell’appartenenza di Spinoza a un contesto filosofico nel quale definizioni come questa erano diventate moneta corrente. La nozione di causa di sé era stata utilizzata da Cartesio per illustrare il rapporto che lega l’esistenza di Dio alla sua essenza, e Spinoza accoglie pienamente questa proposta: è causa di sé ciò la cui essenza implica l’esistenza, ovvero ciò che esiste necessariamente. Altre definizioni, come la terza, secondo la quale la sostanza è «ciò che è in sé ed è concepito per sé», riprendono una lunga tradizione. In questo caso, Spinoza si rifà a una definizione di derivazione aristotelica, che oppone la sostanza alle sue modificazioni – i ‘modi’ di cui parla Spinoza nella quinta definizione –, le quali, invece, sono in altro, ossia nella sostanza, e sono intese attraverso altro, ossia attraverso la sostanza stessa. A questa tradizione aveva attinto anche Cartesio, quando aveva definito la sostanza come «una cosa che esiste in tal modo da non aver bisogno che di se medesima per esistere» (Principi della filosofia I, 51), e aveva chiamato ‘modi’ le modificazioni della sostanza. Come vedremo, però, da queste definizioni tradizionali, o di recente affermazione, e dal loro incrocio, Spinoza trae conseguenze inedite e dirompenti. Anzi, si può dire che Spinoza cerchi programmaticamente di mostrare come da definizioni largamente condivise possano ricavarsi solo le conseguenze che lui stesso ne trae, in opposizione alla tradizione che l’ha preceduto. Non è quindi la novità nelle definizioni che Spinoza ricerca, soprattutto in questa Parte Prima, quanto il rigore nel trarre le conseguenze che tali definizioni implicano.
Ancora alla cultura cartesiana risale l’uso che Spinoza fa della nozione di ‘attributo’. L’attributo costituisce la natura della sostanza, e fa quindi conoscere quel che una sostanza è. L’attributo, si legge nella quarta definizione, è «ciò che l’intelletto percepisce di una sostanza come costituente la sua essenza». Il riferimento a «ciò che l’intelletto percepisce» non intende introdurre un approccio soggettivistico nella conoscenza dell’essenza della sostanza. Come vedremo meglio in seguito, l’intelletto, in Spinoza, è la facoltà della conoscenza adeguata, e quindi vera, perciò l’intelletto umano, e a fortiori l’intelletto divino, coglie veramente quel che costituisce l’essenza di ciò che intende. Senza l’attributo la sostanza sarebbe inconoscibile perché non avrebbe una natura determinata. Anche Cartesio aveva utilizzato la nozione di attributo in questa accezione. Nell’universo cartesiano si dava una sola sostanza estesa, la materia indefinitamente estesa, di cui i singoli corpi erano modificazioni, e molteplici sostanze pensanti, tante quante sono gli individui dotati di una coscienza. Nei due casi, l’attributo principale, ossia l’essenza, erano rispettivamente l’estensione e il pensiero.
Spinoza parla dell’attributo come di ciò che «costituisce» l’essenza della sostanza. Più oltre, nella definizione sesta, farà invece la sua comparsa un verbo – esprimere – che Spinoza ha caro nel parlare della sostanza e delle sue determinazioni: «Per Dio intendo l’ente assolutamente infinito, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un’eterna ed infinita essenza». Dio, essendo sostanza infinita, consta di infiniti attributi, ma Spinoza non parla degli attributi come ‘costituenti’ l’essenza della sostanza infinita, e preferisce dire che essi ne ‘esprimono’ l’essenza. La scelta terminologica intende evitare che la sostanza infinita possa essere considerata come una somma di attributi, un rischio che non c’era quando si parlava in generale della sostanza e dell’attributo – che potrebbe essere anche uno solo – che ne costituisce l’essenza. Ma il rapporto che gli infiniti attributi intrattengono con la sostanza infinita è lo stesso di quello descritto nella definizione quarta: anche quando gli attributi sono più di uno, essi costituiscono l’essenza della sostanza, ed essa non è intellegibile né ha una natura al di là di essi. Il rischio che la sostanza alla cui essenza appartengono più attributi sia interpretata come una somma di caratteristiche tra di loro irrelate sarà poi evitato grazie al peculiare rapporto che gli attributi che afferiscono a una stessa sostanza intrattengono tra di loro, e che sarà al centro dell’attenzione a partire dalla Parte Seconda.
Se nel caso della definizione della sostanza, dei modi e dell’attributo Spinoza era rimasto nel solco di una tradizione largamente condivisa, la definizione di libertà si oppone radicalmente alla identificazione, più volte riproposta nella storia del pensiero, della libertà con la libertà di scelta: «Si dice libera quella cosa che esiste in virtù della sola necessità della sua natura e che è determinata ad agire soltanto da se stessa» (I, d7). La libertà, in Spinoza, non si oppone alla necessità ma all’essere determinato da altro nell’agire e nell’operare. Già da questa definizione è chiaro che in Spinoza solo Dio è l’ente che propriamente può dirsi libero, poiché Dio è l’unico ente che esiste e opera solo in virtù della necessità della propria natura, come poi Spinoza dirà esplicitamente nel secondo corollario della proposizione diciassettesima. Solo all’esistenza di Dio si può applicare anche la definizione ottava, quella di eternità: «Per eternità intendo la sola esistenza in quanto la si concepisce seguire necessariamente dalla sola definizione della cosa eterna». Come chiarisce ancor meglio la spiegazione della definizione ottava, l’eternità non coincide con l’esistenza in ogni tempo ma con l’assenza di riferimento al tempo. Eterna è solo l’esistenza che segue necessariamente dalla definizione della cosa, come eterne sono le verità necessarie, non perché le verità esistono in tutti i tempi, ma perché, per definirle e per comprenderle, non si può fare riferimento al tempo. L’eternità, quindi, si oppone alla durata.
Le definizioni non sono dunque arbitrarie, ma, o si impongono per la loro larga condivisione o vengono giustificate nel corso dell’opera. Tutte, poi, se sono adeguate, debbono essere tali che da esse possano essere dimostrate le proprietà di ciò che viene definito.
Sotto forma di assiomi, ossia di proposizioni intuitivamente vere, Spinoza impone poi alcune opzioni filosofiche assai impegnative. Tra gli assiomi della Parte Prima si segnalano infatti, per il ruolo cruciale che essi giocheranno nelle dimostrazioni, il terzo e il quarto. Il terzo assioma formula il determinismo: se si dà una causa l’effetto ne segue necessariamente: «Da una data causa determinata segue necessariamente un effetto e, al contrario, se non si dà alcuna causa determinata è impossibile che segua un effetto». Non si danno eventi contingenti o incausati. In più, il quarto assioma specifica che il legame tra la causa e l’effetto è un legame di implicazione logica: «La conoscenza dell’effetto dipende dalla conoscenza della causa e la implica». L’effetto è implicato nella causa. Spinoza intende sostenere che il rapporto di causa ed effetto è traducibile nel rapporto che lega la premessa alla conseguenza, per cui, data la causa, non solo è necessario che segua un determinato effetto, come diceva il terzo assioma, ma sarebbe contraddittorio che quell’effetto non seguisse. Per questo non si può avere conoscenza dell’effetto senza conoscere la causa, come non si può conoscere una proprietà del triangolo senza conoscere la definizione del triangolo. Torniamo alla prima definizione, quella nella quale la causa di sé era definita come «ciò la cui essenza implica l’esistenza». Anche in questa definizione la causalità era tradotta nell’implicazione logica, sulla scia di quel che aveva fatto Cartesio. Ebbene, la traduzione della causalità nell’implicazione logica che, in Cartesio, valeva solo per il rapporto tra l’essenza divina e la sua esistenza, diviene, in Spinoza, una teoria generale della causalità, secondo la quale ogni effetto è implicato nella sua causa, tanto che, data la causa, l’effetto non può non seguire, pena il contraddire la definizione della causa, esattamente come, data la definizione di Dio, sarebbe contraddittorio che non ne seguisse l’esistenza.
Il quinto assioma completa la costellazione degli assiomi causali, asserendo che le cose che non hanno nulla in comune tra di loro non possono essere comprese l’una per mezzo dell’altra. Questo assioma, unito al quarto, vieta di instaurare un rapporto causale tra enti che non abbiano la stessa natura: un ente puramente spirituale non potrebbe né produrre né influire su cose materiali.
L’uso di questi assiomi supera l’ambito delle tesi dimostrate nella Parte Prima. Come vedremo, il quarto assioma sarà utilizzato per giustificare la teoria del rapporto mente/corpo esposta nella Parte Seconda.

1.2. Un’unica sostanza infinita (Proposizioni 1-11)

La metafisica spinoziana ruota attorno al progetto di assumere nel loro rigore le conseguenze dell’infinità di Dio, sempre affermata e, secondo Spinoza, sempre tradita. Prima di introdurre l’infinità, è comunque già la nozione di sostanza che, a parere di Spinoza, implica necessariamente conseguenze di cui non si è mai voluto prendere atto. La definizione di sostanza aveva già dato qualche problema a Cartesio. Se la sostanza è ciò che non dipende da altro, l’unica sostanza in senso proprio è Dio, le sostanze create essendo tali solo se il significato di sostanza, nel loro caso, venga modificato: Dio è detto sostanza perché non dipende da altro, ma gli enti finiti sono chiamati sostanze perché non dipendono da altri se non da Dio, al contrario dei modi, che dipendono, oltre che da Dio, anche dalle sostanze create (Cartesio, Principi della filosofia I, 51). Spinoza, invece, intende assumere nel loro rigore tutte le conseguenze della definizione di sostanza: una sostanza, se è tale, non può essere causata da altro. Una sostanza creata è una contraddizione in termini: «se una sostanza potesse essere prodotta da altro, la sua conoscenza dovrebbe dipendere dalla conoscenza della sua causa, e perciò non sarebbe una sostanza» (I, p6, altrimenti); ovvero «se qualcuno stabilisse che una sostanza viene creata, contemporaneamente stabilirebbe che un’idea falsa è diventata vera» (I, p8s2).
Malgrado sia evidente per definizione che la sostanza non può essere causata da altro, Spinoza decide di stabilire questa caratteristica della sostanza attraverso una dimostrazione che consta di due passaggi: tra cose che non hanno nulla in comune non può darsi un rapporto causale (I, p3); non si possono dare due sostanze di una stessa natura o attributo (I, p5). Il secondo passaggio si appoggia su un principio che è comunemente conosciuto, secondo la formulazione datane da Leibniz, come ‘identità degli indiscernibili’: due enti la cui definizione coincide non sono distinguibili, quindi non sono due ma uno solo. È il trionfo del razionalismo: ciò che distingue due enti non è la loro collocazione temporale o spaziale, ma la loro definizione; a definizione identica corrisponde un solo individuo. Ne segue che, essendo l’attributo ciò che costituisce la natura di una sostanza, per ogni attributo si dà una sola sostanza.
Se due enti che non hanno nulla in comune non possono essere l’uno causa dell’altro, e se non si possono dare due sostanze con uno stesso attributo, Spinoza può concludere che una sostanza non può essere prodotta da un’altra sostanza, perché o quest’altra sostanza avrà un’altra natura e non potrà quindi intrattenere un rapporto di causalità con una sostanza con la quale non ha niente in comune, oppure l’altra sostanza avrà la sua stessa natura e si identificherà con la sostanza che avrebbe dovuto produrre. Se la sostanza non può essere causata da altro, allora essa sarà causa di se stessa, e dunque esisterà necessariamente (I, p7). Si potrebbe obiettare che questa conclusione può essere solo ipotetica: se esiste una sostanza, allora, dal momento che una sostanza non può essere causata da altro, sarà causa di se stessa e dunque esisterà necessariamente. Ma l’interpretazione logica della causalità toglie spazio a questa obiezione: se un ente può essere inteso solo come causa di se stesso, questo vuol dire che la sua essenza implica l’esistenza, e, se è così, non c’è più spazio per chiedere se esso esista, dal momento che la sua stessa definizione implica la sua esistenza. Tutta la dimostrazione dell’esistenza necessaria della sostanza utilizza l’equivalenza tra causalità e implicazione logica: ciò che è inteso di per sé è causa di sé, ma l’essenza di ciò che è causa di sé ne implica l’esistenza, quindi ciò che è inteso per sé esiste necessariamente.
Da quanto detto, è chiaro che, in realtà, l’esistenza necessaria della sostanza potrebbe essere ricavata direttamente dalla sua definizione, senza passare dall’evidenza, o dalla dimostrazione, che la sostanza non può essere causata da altro. Infatti, non si può avere idea vera della sostanza senza che la sostanza esista: «Se qualcuno dicesse di avere un’idea chiara e distinta, cioè vera, di una sostanza, e tuttavia di dubitare che tale sostanza esista, sarebbe [...] come se dicesse di avere un’idea vera e tuttavia di dubitare che sia falsa» (I, p8s2). La sostanza è per definizione intesa per sé, dunque, se essa non esistesse, non potrebbe essere intesa attraverso altro, ovvero non potrebbe essere intesa affatto. Ma noi intendiamo il significato di ‘sostanza’, dunque la sostanza esiste necessariamente. Proprio perché deriva dalla stessa definizione della sostanza, la sua esistenza necessaria potrebbe essere considerata un assioma ed «essere annoverata tra le nozioni comuni» (I, p8s2).
Spinoza applica alla sostanza un ragionamento che, nella storia della filosofia, è stato proposto per dimostrare a priori che Dio esiste: l’esistenza di Dio è una conseguenza necessaria della sua definizione vera. Chi accetta la definizione di Dio come ente perfettissimo o come ente la cui essenza implica l’esistenza non può poi negare che egli esista, perché l’esistenza è contenuta nella definizione stessa. È l’argomento che Kant, criticandolo, definirà ‘ontologico’. L’unica precauzione, nella dimostrazione dell’esistenza di Dio, è quella di assumere di Dio una definizione vera, che ne descriva adeguatamente la natura, ed è ugualmente l’unica precauzione di cui tener conto nel caso dell’esistenza necessaria della sostanza. Ma, da Aristotele in poi, tutti concordano nel definire la sostanza come ciò che è inteso per sé, dunque tutti devono concordare sul fatto che la sostanza esiste necessariamente.
Possiamo allora chiederci come mai Spinoza non abbia davvero posto l’esistenza necessaria della sostanza tra gli assiomi. Il fatto è che, passando attraverso la dimostrazione che la sostanza non può essere causata da altro, Spinoza ha potuto ottenere altri risultati che saranno molto importanti nella costruzione della sua metafisica: tra attributi diversi non può esserci un rapporto causale e due sostanze con uno stesso attributo sarebbero una stessa cosa. Questi due risultati, ridondanti per stabilire l’esistenza necessaria della sostanza, saranno invece indispensabili per i successivi passaggi verso la dimostrazione che la sostanza è unica e per stabilire il rapporto che gli attributi della sostanza infinita hanno l’uno verso l’altro.
Se non possono darsi due sostanze con uno stesso attributo, per ogni attributo si darà una sola sostanza e questa sarà infinita nel suo genere. Per infinito nel suo genere, Spinoza intende qualcosa che non è limitato da altro che abbia la sua stessa natura (I, d2). Nel caso, l’attributo che caratterizza una sostanza non può essere limitato da altro, dal momento che non possono darsi due sostanze con lo stesso attributo. Né una sostanza può essere limitata da una sostanza di natura diversa: l’estensione può essere limitata solo da altra estensione e non dal pensiero, quindi per ogni attributo si dà una sola sostanza e questo attributo è infinito (I, p8). Fin qui è ancora possibile che si diano molteplici sostanze, ognuna con un attributo diverso dalle altre, e infinito nel suo genere. Questa eventualità è esclusa dalla successiva dimostrazione dell’esistenza di una sostanza non più infinita solo nel suo genere, ma assolutamente infinita, ossia dotata di infiniti attributi: «Dio, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un’essenza eterna e infinita, esiste necessariamente» (I, p11).
In realtà le dimostrazioni secondo le quali esiste una sostanza assolutamente infinita sono tre, due a priori e una a posteriori, riformulata poi in modo da divenire anch’essa una dimostrazione a priori. E non potrebbe che essere così, dal momento che Spinoza intende dimostrare che Dio esiste a partire dalla sua definizione. Il fatto è che le tre prove vivono tutte del privilegio della prova a priori valorizzata da Cartesio, contro la tradizione tomista, che aveva invece escluso di poter dimostrare che Dio esiste a partire dalla conoscenza della sua natura, dal momento che questa conoscenza sarebbe interdetta alla mente finita. Spinoza pensa invece che la mente umana abbia una conoscenza addirittura adeguata della n...

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