III. Analisi dellâopera
1. Parte prima: Dio
La Parte Prima dellâEtica è dedicata alla metafisica. Vi si dimostra che esiste unâunica sostanza, che Spinoza chiama Dio. Questa sostanza è infinita, e tutto ciò che esiste ne è una modificazione. Dio produce necessariamente tutto quello che è in suo potere, per cui la realtà è infinita e non potrebbe essere diversa da quel che è. PoichĂŠ esiste una sola sostanza infinita, e niente si dĂ al di fuori di essa, Dio si identifica con la natura. Nel Breve Trattato Spinoza aveva ottenuto questo stesso risultato partendo dalla considerazione della natura. Essa è assolutamente infinita, e dunque coincide con Dio, dal momento che tutti intendono con il nome di Dio lâente assolutamente infinito. Câera qui una chiara allusione alle procedure con le quali Tommaso dâAquino, sulla scia di Aristotele, aveva dimostrato lâesistenza di Dio: si può dimostrare che esiste un motore immobile, una causa prima, e poichĂŠ tutti attribuiscono a Dio la caratteristica di essere causa prima e motore immobile, allora Dio esiste. E Spinoza, ripetendo la struttura di questo argomento, aveva dimostrato, prima, che la natura è infinita, e aveva quindi concluso che essa coincide con quel che tutti intendono essere Dio: ÂŤdella Natura viene affermato assolutamente tutto e la Natura consiste perciò di infiniti attributi, ciascuno dei quali è perfetto nel suo genere: il che concorda perfettamente con la definizione che si dĂ di DioÂť (KV I, 2, 12). Ă lâinfinitĂ , quindi, la caratteristica fondamentale del divino, e Spinoza, nella sua metafisica, si presenta come il filosofo che ha preso sul serio le conseguenze dellâinfinitĂ che la maggior parte dei pensatori ha attribuito a Dio. La rivoluzione scientifica, poi, ha reso corrente la tesi secondo la quale lâuniverso e le sue leggi sono infinite, contribuendo in modo determinante allâidentificazione di Dio con la natura che ora Spinoza rivendica seguendo la logica dellâinfinitĂ di Dio.
1.1. Le premesse
Come per ogni parte dellâEtica, la Parte Prima si apre con alcune definizioni e un gruppo di assiomi, che costituiscono il fondamento primo di tutte le dimostrazioni successive. Spinoza può contare su un ampio consenso per alcune definizioni, come la prima, che definisce ÂŤcausa di sĂŠÂť ciò la cui essenza implica lâesistenza. Si tratta di una definizione che affonda le radici nella cultura cartesiana, ed è il primo segno dellâappartenenza di Spinoza a un contesto filosofico nel quale definizioni come questa erano diventate moneta corrente. La nozione di causa di sĂŠ era stata utilizzata da Cartesio per illustrare il rapporto che lega lâesistenza di Dio alla sua essenza, e Spinoza accoglie pienamente questa proposta: è causa di sĂŠ ciò la cui essenza implica lâesistenza, ovvero ciò che esiste necessariamente. Altre definizioni, come la terza, secondo la quale la sostanza è ÂŤciò che è in sĂŠ ed è concepito per sĂŠÂť, riprendono una lunga tradizione. In questo caso, Spinoza si rifĂ a una definizione di derivazione aristotelica, che oppone la sostanza alle sue modificazioni â i âmodiâ di cui parla Spinoza nella quinta definizione â, le quali, invece, sono in altro, ossia nella sostanza, e sono intese attraverso altro, ossia attraverso la sostanza stessa. A questa tradizione aveva attinto anche Cartesio, quando aveva definito la sostanza come ÂŤuna cosa che esiste in tal modo da non aver bisogno che di se medesima per esistereÂť (Principi della filosofia I, 51), e aveva chiamato âmodiâ le modificazioni della sostanza. Come vedremo, però, da queste definizioni tradizionali, o di recente affermazione, e dal loro incrocio, Spinoza trae conseguenze inedite e dirompenti. Anzi, si può dire che Spinoza cerchi programmaticamente di mostrare come da definizioni largamente condivise possano ricavarsi solo le conseguenze che lui stesso ne trae, in opposizione alla tradizione che lâha preceduto. Non è quindi la novitĂ nelle definizioni che Spinoza ricerca, soprattutto in questa Parte Prima, quanto il rigore nel trarre le conseguenze che tali definizioni implicano.
Ancora alla cultura cartesiana risale lâuso che Spinoza fa della nozione di âattributoâ. Lâattributo costituisce la natura della sostanza, e fa quindi conoscere quel che una sostanza è. Lâattributo, si legge nella quarta definizione, è ÂŤciò che lâintelletto percepisce di una sostanza come costituente la sua essenzaÂť. Il riferimento a ÂŤciò che lâintelletto percepisceÂť non intende introdurre un approccio soggettivistico nella conoscenza dellâessenza della sostanza. Come vedremo meglio in seguito, lâintelletto, in Spinoza, è la facoltĂ della conoscenza adeguata, e quindi vera, perciò lâintelletto umano, e a fortiori lâintelletto divino, coglie veramente quel che costituisce lâessenza di ciò che intende. Senza lâattributo la sostanza sarebbe inconoscibile perchĂŠ non avrebbe una natura determinata. Anche Cartesio aveva utilizzato la nozione di attributo in questa accezione. Nellâuniverso cartesiano si dava una sola sostanza estesa, la materia indefinitamente estesa, di cui i singoli corpi erano modificazioni, e molteplici sostanze pensanti, tante quante sono gli individui dotati di una coscienza. Nei due casi, lâattributo principale, ossia lâessenza, erano rispettivamente lâestensione e il pensiero.
Spinoza parla dellâattributo come di ciò che ÂŤcostituisceÂť lâessenza della sostanza. PiĂš oltre, nella definizione sesta, farĂ invece la sua comparsa un verbo â esprimere â che Spinoza ha caro nel parlare della sostanza e delle sue determinazioni: ÂŤPer Dio intendo lâente assolutamente infinito, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime unâeterna ed infinita essenzaÂť. Dio, essendo sostanza infinita, consta di infiniti attributi, ma Spinoza non parla degli attributi come âcostituentiâ lâessenza della sostanza infinita, e preferisce dire che essi ne âesprimonoâ lâessenza. La scelta terminologica intende evitare che la sostanza infinita possa essere considerata come una somma di attributi, un rischio che non câera quando si parlava in generale della sostanza e dellâattributo â che potrebbe essere anche uno solo â che ne costituisce lâessenza. Ma il rapporto che gli infiniti attributi intrattengono con la sostanza infinita è lo stesso di quello descritto nella definizione quarta: anche quando gli attributi sono piĂš di uno, essi costituiscono lâessenza della sostanza, ed essa non è intellegibile nĂŠ ha una natura al di lĂ di essi. Il rischio che la sostanza alla cui essenza appartengono piĂš attributi sia interpretata come una somma di caratteristiche tra di loro irrelate sarĂ poi evitato grazie al peculiare rapporto che gli attributi che afferiscono a una stessa sostanza intrattengono tra di loro, e che sarĂ al centro dellâattenzione a partire dalla Parte Seconda.
Se nel caso della definizione della sostanza, dei modi e dellâattributo Spinoza era rimasto nel solco di una tradizione largamente condivisa, la definizione di libertĂ si oppone radicalmente alla identificazione, piĂš volte riproposta nella storia del pensiero, della libertĂ con la libertĂ di scelta: ÂŤSi dice libera quella cosa che esiste in virtĂš della sola necessitĂ della sua natura e che è determinata ad agire soltanto da se stessaÂť (I, d7). La libertĂ , in Spinoza, non si oppone alla necessitĂ ma allâessere determinato da altro nellâagire e nellâoperare. GiĂ da questa definizione è chiaro che in Spinoza solo Dio è lâente che propriamente può dirsi libero, poichĂŠ Dio è lâunico ente che esiste e opera solo in virtĂš della necessitĂ della propria natura, come poi Spinoza dirĂ esplicitamente nel secondo corollario della proposizione diciassettesima. Solo allâesistenza di Dio si può applicare anche la definizione ottava, quella di eternitĂ : ÂŤPer eternitĂ intendo la sola esistenza in quanto la si concepisce seguire necessariamente dalla sola definizione della cosa eternaÂť. Come chiarisce ancor meglio la spiegazione della definizione ottava, lâeternitĂ non coincide con lâesistenza in ogni tempo ma con lâassenza di riferimento al tempo. Eterna è solo lâesistenza che segue necessariamente dalla definizione della cosa, come eterne sono le veritĂ necessarie, non perchĂŠ le veritĂ esistono in tutti i tempi, ma perchĂŠ, per definirle e per comprenderle, non si può fare riferimento al tempo. LâeternitĂ , quindi, si oppone alla durata.
Le definizioni non sono dunque arbitrarie, ma, o si impongono per la loro larga condivisione o vengono giustificate nel corso dellâopera. Tutte, poi, se sono adeguate, debbono essere tali che da esse possano essere dimostrate le proprietĂ di ciò che viene definito.
Sotto forma di assiomi, ossia di proposizioni intuitivamente vere, Spinoza impone poi alcune opzioni filosofiche assai impegnative. Tra gli assiomi della Parte Prima si segnalano infatti, per il ruolo cruciale che essi giocheranno nelle dimostrazioni, il terzo e il quarto. Il terzo assioma formula il determinismo: se si dĂ una causa lâeffetto ne segue necessariamente: ÂŤDa una data causa determinata segue necessariamente un effetto e, al contrario, se non si dĂ alcuna causa determinata è impossibile che segua un effettoÂť. Non si danno eventi contingenti o incausati. In piĂš, il quarto assioma specifica che il legame tra la causa e lâeffetto è un legame di implicazione logica: ÂŤLa conoscenza dellâeffetto dipende dalla conoscenza della causa e la implicaÂť. Lâeffetto è implicato nella causa. Spinoza intende sostenere che il rapporto di causa ed effetto è traducibile nel rapporto che lega la premessa alla conseguenza, per cui, data la causa, non solo è necessario che segua un determinato effetto, come diceva il terzo assioma, ma sarebbe contraddittorio che quellâeffetto non seguisse. Per questo non si può avere conoscenza dellâeffetto senza conoscere la causa, come non si può conoscere una proprietĂ del triangolo senza conoscere la definizione del triangolo. Torniamo alla prima definizione, quella nella quale la causa di sĂŠ era definita come ÂŤciò la cui essenza implica lâesistenzaÂť. Anche in questa definizione la causalitĂ era tradotta nellâimplicazione logica, sulla scia di quel che aveva fatto Cartesio. Ebbene, la traduzione della causalitĂ nellâimplicazione logica che, in Cartesio, valeva solo per il rapporto tra lâessenza divina e la sua esistenza, diviene, in Spinoza, una teoria generale della causalitĂ , secondo la quale ogni effetto è implicato nella sua causa, tanto che, data la causa, lâeffetto non può non seguire, pena il contraddire la definizione della causa, esattamente come, data la definizione di Dio, sarebbe contraddittorio che non ne seguisse lâesistenza.
Il quinto assioma completa la costellazione degli assiomi causali, asserendo che le cose che non hanno nulla in comune tra di loro non possono essere comprese lâuna per mezzo dellâaltra. Questo assioma, unito al quarto, vieta di instaurare un rapporto causale tra enti che non abbiano la stessa natura: un ente puramente spirituale non potrebbe nĂŠ produrre nĂŠ influire su cose materiali.
Lâuso di questi assiomi supera lâambito delle tesi dimostrate nella Parte Prima. Come vedremo, il quarto assioma sarĂ utilizzato per giustificare la teoria del rapporto mente/corpo esposta nella Parte Seconda.
1.2. Unâunica sostanza infinita (Proposizioni 1-11)
La metafisica spinoziana ruota attorno al progetto di assumere nel loro rigore le conseguenze dellâinfinitĂ di Dio, sempre affermata e, secondo Spinoza, sempre tradita. Prima di introdurre lâinfinitĂ , è comunque giĂ la nozione di sostanza che, a parere di Spinoza, implica necessariamente conseguenze di cui non si è mai voluto prendere atto. La definizione di sostanza aveva giĂ dato qualche problema a Cartesio. Se la sostanza è ciò che non dipende da altro, lâunica sostanza in senso proprio è Dio, le sostanze create essendo tali solo se il significato di sostanza, nel loro caso, venga modificato: Dio è detto sostanza perchĂŠ non dipende da altro, ma gli enti finiti sono chiamati sostanze perchĂŠ non dipendono da altri se non da Dio, al contrario dei modi, che dipendono, oltre che da Dio, anche dalle sostanze create (Cartesio, Principi della filosofia I, 51). Spinoza, invece, intende assumere nel loro rigore tutte le conseguenze della definizione di sostanza: una sostanza, se è tale, non può essere causata da altro. Una sostanza creata è una contraddizione in termini: ÂŤse una sostanza potesse essere prodotta da altro, la sua conoscenza dovrebbe dipendere dalla conoscenza della sua causa, e perciò non sarebbe una sostanzaÂť (I, p6, altrimenti); ovvero ÂŤse qualcuno stabilisse che una sostanza viene creata, contemporaneamente stabilirebbe che unâidea falsa è diventata veraÂť (I, p8s2).
Malgrado sia evidente per definizione che la sostanza non può essere causata da altro, Spinoza decide di stabilire questa caratteristica della sostanza attraverso una dimostrazione che consta di due passaggi: tra cose che non hanno nulla in comune non può darsi un rapporto causale (I, p3); non si possono dare due sostanze di una stessa natura o attributo (I, p5). Il secondo passaggio si appoggia su un principio che è comunemente conosciuto, secondo la formulazione datane da Leibniz, come âidentitĂ degli indiscernibiliâ: due enti la cui definizione coincide non sono distinguibili, quindi non sono due ma uno solo. Ă il trionfo del razionalismo: ciò che distingue due enti non è la loro collocazione temporale o spaziale, ma la loro definizione; a definizione identica corrisponde un solo individuo. Ne segue che, essendo lâattributo ciò che costituisce la natura di una sostanza, per ogni attributo si dĂ una sola sostanza.
Se due enti che non hanno nulla in comune non possono essere lâuno causa dellâaltro, e se non si possono dare due sostanze con uno stesso attributo, Spinoza può concludere che una sostanza non può essere prodotta da unâaltra sostanza, perchĂŠ o questâaltra sostanza avrĂ unâaltra natura e non potrĂ quindi intrattenere un rapporto di causalitĂ con una sostanza con la quale non ha niente in comune, oppure lâaltra sostanza avrĂ la sua stessa natura e si identificherĂ con la sostanza che avrebbe dovuto produrre. Se la sostanza non può essere causata da altro, allora essa sarĂ causa di se stessa, e dunque esisterĂ necessariamente (I, p7). Si potrebbe obiettare che questa conclusione può essere solo ipotetica: se esiste una sostanza, allora, dal momento che una sostanza non può essere causata da altro, sarĂ causa di se stessa e dunque esisterĂ necessariamente. Ma lâinterpretazione logica della causalitĂ toglie spazio a questa obiezione: se un ente può essere inteso solo come causa di se stesso, questo vuol dire che la sua essenza implica lâesistenza, e, se è cosĂŹ, non câè piĂš spazio per chiedere se esso esista, dal momento che la sua stessa definizione implica la sua esistenza. Tutta la dimostrazione dellâesistenza necessaria della sostanza utilizza lâequivalenza tra causalitĂ e implicazione logica: ciò che è inteso di per sĂŠ è causa di sĂŠ, ma lâessenza di ciò che è causa di sĂŠ ne implica lâesistenza, quindi ciò che è inteso per sĂŠ esiste necessariamente.
Da quanto detto, è chiaro che, in realtĂ , lâesistenza necessaria della sostanza potrebbe essere ricavata direttamente dalla sua definizione, senza passare dallâevidenza, o dalla dimostrazione, che la sostanza non può essere causata da altro. Infatti, non si può avere idea vera della sostanza senza che la sostanza esista: ÂŤSe qualcuno dicesse di avere unâidea chiara e distinta, cioè vera, di una sostanza, e tuttavia di dubitare che tale sostanza esista, sarebbe [...] come se dicesse di avere unâidea vera e tuttavia di dubitare che sia falsaÂť (I, p8s2). La sostanza è per definizione intesa per sĂŠ, dunque, se essa non esistesse, non potrebbe essere intesa attraverso altro, ovvero non potrebbe essere intesa affatto. Ma noi intendiamo il significato di âsostanzaâ, dunque la sostanza esiste necessariamente. Proprio perchĂŠ deriva dalla stessa definizione della sostanza, la sua esistenza necessaria potrebbe essere considerata un assioma ed ÂŤessere annoverata tra le nozioni comuniÂť (I, p8s2).
Spinoza applica alla sostanza un ragionamento che, nella storia della filosofia, è stato proposto per dimostrare a priori che Dio esiste: lâesistenza di Dio è una conseguenza necessaria della sua definizione vera. Chi accetta la definizione di Dio come ente perfettissimo o come ente la cui essenza implica lâesistenza non può poi negare che egli esista, perchĂŠ lâesistenza è contenuta nella definizione stessa. Ă lâargomento che Kant, criticandolo, definirĂ âontologicoâ. Lâunica precauzione, nella dimostrazione dellâesistenza di Dio, è quella di assumere di Dio una definizione vera, che ne descriva adeguatamente la natura, ed è ugualmente lâunica precauzione di cui tener conto nel caso dellâesistenza necessaria della sostanza. Ma, da Aristotele in poi, tutti concordano nel definire la sostanza come ciò che è inteso per sĂŠ, dunque tutti devono concordare sul fatto che la sostanza esiste necessariamente.
Possiamo allora chiederci come mai Spinoza non abbia davvero posto lâesistenza necessaria della sostanza tra gli assiomi. Il fatto è che, passando attraverso la dimostrazione che la sostanza non può essere causata da altro, Spinoza ha potuto ottenere altri risultati che saranno molto importanti nella costruzione della sua metafisica: tra attributi diversi non può esserci un rapporto causale e due sostanze con uno stesso attributo sarebbero una stessa cosa. Questi due risultati, ridondanti per stabilire lâesistenza necessaria della sostanza, saranno invece indispensabili per i successivi passaggi verso la dimostrazione che la sostanza è unica e per stabilire il rapporto che gli attributi della sostanza infinita hanno lâuno verso lâaltro.
Se non possono darsi due sostanze con uno stesso attributo, per ogni attributo si darĂ una sola sostanza e questa sarĂ infinita nel suo genere. Per infinito nel suo genere, Spinoza intende qualcosa che non è limitato da altro che abbia la sua stessa natura (I, d2). Nel caso, lâattributo che caratterizza una sostanza non può essere limitato da altro, dal momento che non possono darsi due sostanze con lo stesso attributo. NĂŠ una sostanza può essere limitata da una sostanza di natura diversa: lâestensione può essere limitata solo da altra estensione e non dal pensiero, quindi per ogni attributo si dĂ una sola sostanza e questo attributo è infinito (I, p8). Fin qui è ancora possibile che si diano molteplici sostanze, ognuna con un attributo diverso dalle altre, e infinito nel suo genere. Questa eventualità è esclusa dalla successiva dimostrazione dellâesistenza di una sostanza non piĂš infinita solo nel suo genere, ma assolutamente infinita, ossia dotata di infiniti attributi: ÂŤDio, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime unâessenza eterna e infinita, esiste necessariamenteÂť (I, p11).
In realtĂ le dimostrazioni secondo le quali esiste una sostanza assolutamente infinita sono tre, due a priori e una a posteriori, riformulata poi in modo da divenire anchâessa una dimostrazione a priori. E non potrebbe che essere cosĂŹ, dal momento che Spinoza intende dimostrare che Dio esiste a partire dalla sua definizione. Il fatto è che le tre prove vivono tutte del privilegio della prova a priori valorizzata da Cartesio, contro la tradizione tomista, che aveva invece escluso di poter dimostrare che Dio esiste a partire dalla conoscenza della sua natura, dal momento che questa conoscenza sarebbe interdetta alla mente finita. Spinoza pensa invece che la mente umana abbia una conoscenza addirittura adeguata della n...