Storia del Giappone
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Storia del Giappone

Rosa Caroli, Francesco Gatti

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Storia del Giappone

Rosa Caroli, Francesco Gatti

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Il Giappone è una realtà culturalmente distante che sfida la nostra conoscenza e le nostre categorie interpretative. Convinzioni e pregiudizi alimentano spesso una visione distorta, dimostrando come la sua percezione in termini di 'Estremo Oriente' continui ad agire a molti livelli della nostra comprensione. Con una metodologia storiografica innovativa, questo libro riduce le distanze narrando la storia del Giappone nei suoi aspetti economici, sociali, politici e culturali, dalle origini sino ai giorni nostri. La parte finale si concentra sulle recenti trasformazioni che hanno peraltro contribuito a ridisegnare la fisionomia della società giapponese nel nuovo millennio: dalle nuove strategie in politica interna ed estera al disastro della centrale nucleare di Fukushima, dai mutamenti nel mondo del lavoro a quelli nella struttura familiare e negli stili di vita.

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Information

Year
2017
ISBN
9788858128398

Capitolo quarto.
Verso un «feudalesimo centralizzato»:
la riunificazione del Paese
e l’istituzione del «bakufu» di Edo

1. L’avvio dell’opera di riunificazione:
dall’ascesa di Oda Nobunaga al regime di Toyotomi Hideyoshi

Il superamento dello stato di decentramento scaturito dalle aspre contese che contraddistinsero il periodo Sengoku, nel corso del quale si assistette al definito collasso delle antiche istituzioni di governo, fu dovuto all’opera di tre daimyō, i quali, dopo aver consolidato una salda base nei propri territori (tutti situati tra la zona della capitale e la grande pianura del Kantō), estesero il controllo sull’area di Kyōto e quindi sul resto del Paese. Ma al di là del singolo apporto fornito da ciascuno di questi personaggi, occorre pure considerare una serie di fattori che, nel loro insieme, concorsero a rendere possibile la riunificazione e, con essa, la trasformazione dell’ordine politico e della struttura sociale ed economica del Paese. Come si è visto, infatti, l’emergere di potenti daimyō che detenevano il governo assoluto nei propri territori fu stimolato dalla sfida lanciata loro dalle classi inferiori, contro cui essi reagirono affermando un controllo capillare ed efficiente entro i confini del proprio dominio. Il crescente ricorso a una nuova e costosa tecnologia militare, inoltre, accrebbe ulteriormente la distanza tra quanti disponevano di risorse da investire nell’attività bellica e chi, invece, non era in grado di accedere all’uso di armi moderne. Da questo continuo e aspro confronto militare, finalizzato ad affermare il controllo su territori sempre più vasti, emersero alcuni importanti capi regionali, i quali, potendo contare sull’appoggio di daimyō minori per dispiegare eserciti ingenti e ben equipaggiati, presero a nutrire l’ambizione di acquisire un potere più esteso.
Alla disgregazione del precedente assetto feudale concorse pure la generale crescita economica scaturita dall’espansione dell’attività commerciale interna ed estera, che immise nel Paese, specie nelle regioni più esposte ai contatti con l’estero, una nuova ricchezza non più legata soltanto alle risorse fornite dalla terra. Infatti, se nel Giappone centrale, nonostante lo sviluppo delle attività artigianali e mercantili verificatosi a livello locale, il potere dei grandi daimyō continuava a fondarsi in buona parte sulle risorse agricole, molti daimyō del Kyūshū dagli scambi con l’estero acquisirono un potere economico che andava ben al di là di quello garantito loro dalle rendite fondiarie di cui disponevano. La stessa protezione accordata da Oda ai missionari fu motivata dalla volontà di attirare verso i propri domìni le navi portoghesi e i profitti derivanti dai traffici con l’estero; anche i suoi successori seguirono il suo esempio, progettando di spostare verso est le basi degli scambi marittimi e di porre il commercio sotto un regime di monopolio. L’incapacità di attuare questa politica – la quale costituiva una condizione necessaria al mantenimento dell’equilibrio di potere, nella misura in cui dall’opera di riunificazione sarebbe scaturito un assetto economico-sociale fondato sulla prio­rità dell’attività agricola – avrebbe condotto a una progressiva riduzione degli scambi con l’estero, sino all’adozione di una politica di chiusura quasi totale. Occorre altresì considerare come, in un Paese al momento privo di una efficace autorità centrale, la presenza degli europei fosse avvertita come un pericolo, peraltro in considerazione del comportamento da loro assunto in altre zone dell’Asia, dove l’opera missionaria aveva aperto la strada alla conquista militare1. Lo stesso Cristianesimo, che si era spesso mostrato intollerante verso il clero buddhista e i culti tradizionali del Giappone, era percepito come una dottrina che possedeva una potenziale carica eversiva rispetto a un ordine sociale rigidamente gerarchico e che proiettava l’obbedienza dei giapponesi convertiti verso un capo straniero residente in un luogo remoto.
Fu, dunque, all’interno di questo contesto che prese corpo il progetto di riunificare militarmente il Paese e di ristabilire un unico, legittimo centro di potere. Alcuni tentativi vennero compiuti in tal senso dalla metà del XVI secolo, ma fu l’esercito guidato da Oda Nobunaga che riuscì a conquistare Kyōto nel 1568. Discendente da una famiglia guerriera minore insediatasi a Owari (la zona attorno a Nagoya) e dotato di grandi capacità militari, egli emerse come un importante personaggio sconfiggendo nel 1560 un potente daimyō rivale che aveva tentato di occupare i suoi territori2. Da allora, Nobunaga si dedicò a consolidare il potere attraverso alleanze e matrimoni e raggiunse un prestigio tale da attirare l’attenzione dell’Imperatore, che si appellò a lui per pacificare la zona della capitale, nonché di Ashikaga Yoshiaki (1537-1597), desideroso di assicurarsi la successione alla guida del bakufu. Ergendosi a difensore della nobile causa, egli conquistò Kyōto e garantì a Yoshiaki la carica di quindicesimo shōgun della dinastia Ashikaga, pur non rinunciando a privarlo delle sue prerogative al fine di assumere poteri sempre più estesi. Lo shōgun iniziò così a cospirare per eliminare il suo ex protettore, il quale reagì costringendolo, nel 1573, a lasciare la carica e segregandolo lontano dalla capitale, anche se Yoshiaki rinunciò formalmente al titolo solo quindici anni dopo. Questi avvenimenti segnarono la fine del bakufu degli Ashikaga, ovvero del periodo Muromachi.
L’affermazione del potere di Nobunaga procedette con il consolidamento del controllo sulla zona della capitale, che affermò ricorrendo a metodi di violenza estrema per eliminare quanti si opponevano alla sua ascesa. I daimyō rivali, spesso coalizzati con monasteri e templi e con i mercanti di Sakai (all’epoca il principale porto del Giappone), furono via via sconfitti e costretti a divenire suoi vassalli. Una particolare efferatezza fu impiegata per sopprimere la resistenza monastica. Nel 1571 egli attaccò l’Enryakuji, sul Monte Hiei (v. cap. II § 2), distruggendo tremila edifici e sterminando migliaia di monaci; con metodi analoghi furono annientati gli altri centri religiosi rivali, i cui territori furono in buona parte confiscati e la cui guida fu assunta da figure a lui legate. In tal modo, fu posta fine all’autonomia e al potere che queste istituzioni religiose avevano tradizionalmente detenuto, e furono gettare le basi per l’assoggettamento del Buddhismo e dello Shintoismo al governo militare. Diverso fu l’atteggiamento riservato al Cristianesimo – che egli favorì attirando molti missionari nella zona della capitale – e, più in generale, verso gli europei e le loro innovazioni tecnologiche in campo militare, di cui fece un abile impiego. In effetti, Nobunaga fu il primo giapponese a usare le nuove armi per scopi offensivi e difensivi, e a impiegare rivestimenti di ferro nelle sue navi da guerra; inoltre, fece erigere fortezze di pietra in grado di resistere agli assalti di armi da fuoco. Il primo esempio di questo genere di costruzione è rappresentato dal castello che fece edificare nel 1576 ad Azuchi, sulla sponda nord-orientale del lago Biwa, per porvi la sede del suo quartier generale3. Nobunaga inaugurò così la tradizione di concentrare gli eserciti in quartier generali fortificati, che proseguì nel corso di tutto il periodo Azuchi-Momoyama e fu simboleggiata in primo luogo dall’edificazione di solidi castelli riccamente adornati da esperti artisti, la cui magnificenza suggerisce come il loro scopo non fosse meramente difensivo, ma servisse anche alla glorificazione del signore che vi abitava4. Il favore mostrato da Nobunaga nei confronti di mercanti e missionari giunti dall’Europa gli fruttò una grande notorietà, al punto che fu il primo capo giapponese ad apparire nella storia occidentale.
L’improvvisa scomparsa del primo «riunificatore», assassinato a tradimento da un suo vassallo nel 1582, impedì che il suo progetto di porre «tutto il Paese sotto un’unica autorità militare» (tenka fubu) fosse portato a termine. La riunificazione, infatti, era stata realizzata solo in parte e, alla vigilia della sua morte, Nobunaga aveva stabilito il proprio controllo su circa trenta delle sessantotto province del Giappone5. La sua attività aveva avuto un carattere prettamente militare, ma nell’ambito dei territori conquistati egli diede avvio a una ristrutturazione dell’amministrazione e all’introduzione di alcune importanti innovazioni che ridussero il potere indipendente delle province e posero le basi per la successiva riunificazione politica. Infatti, pur riservandosi le terre migliori, Nobunaga assegnò ai suoi vassalli i feudi confiscati ai nemici sconfitti, nei quali fu ricalcato il modello, già sperimentato ad Azuchi, di un quartier generale fortificato dove si concentravano le truppe armate. Ciò favorì l’allontanamento dei guerrieri dalle zone rurali e contribuì ad avviare la separazione della classe militare da quella contadina, nota come heinō bunri. Tale processo proseguì con una serie di provvedimenti, adottati a partire dal 1576 in alcune regioni controllate da Nobunaga, che furono finalizzati a confiscare le armi della popolazione non guerriera; oltre che contro le comunità religiose ribelli, essi erano rivolti ai contadini, i quali furono vincolati al proprio status e obbligati a dedicarsi esclusivame...

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