La Nazione delle Piante
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La Nazione delle Piante

Stefano Mancuso

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La Nazione delle Piante

Stefano Mancuso

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Finalmente la Nazione delle Piante, la più importante, diffusa e potente nazione della Terra, prende la parola.

«In nome della mia ormai pluridecennale consuetudine con le piante, ho immaginato che queste care compagne di viaggio, come genitori premurosi, dopo averci reso possibile vivere, vengano a soccorrerci osservando la nostra incapacità a garantirci la sopravvivenza. Come? Suggerendoci una vera e propria costituzione su cui costruire il nostro futuro di esseri rispettosi della Terra e degli altri esseri viventi. Sono otto gli articoli della costituzione della Nazione delle Piante, come otto sono i fondamentali pilastri su cui si regge la vita delle piante, e dunque la vita degli esseri viventi tutti.»

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Information

Year
2019
ISBN
9788858136652

articolo 03

la nazione delle piante
non riconosce le gerarchie animali,
fondate su centri di comando
e funzioni concentrate,
e favorisce democrazie vegetali
diffuse e decentralizzate

Piante e animali si sono separati fra 350 e 700 milioni di anni fa in un periodo decisivo per la storia dell’evoluzione sul nostro pianeta. In corrispondenza di questo snodo fondamentale, infatti, la vita prenderà due strade divergenti che porteranno da un lato alla nascita delle piante e dall’altro a quella degli animali. Le prime, grazie alla loro prodigiosa abilità fotosintetica, non avranno bisogno di spostarsi alla ricerca di cibo essendo energeticamente autonome. I secondi, al contrario, obbligati per sopravvivere a predare altri organismi viventi, saranno costretti al movimento, in costante ricerca di quella stessa energia chimica che le piante hanno originariamente fissato dalla luce del Sole. Una scelta iniziale dalla quale deriveranno organismi molto differenti in termini di organizzazione e funzionamento.
Essere radicati al suolo, senza possibilità di spostarsi dal luogo in cui si è nati, ha delle conseguenze fondamentali. Le piante non sfuggono di fronte ad un predatore; non vanno alla ricerca di cibo; non si spostano verso ambienti più confortevoli. Le piante non hanno la possibilità di adoperare la principale soluzione che gli animali utilizzano per risolvere qualunque difficoltà: il movimento. Ma se non si può scappare, come è possibile resistere ai predatori? Il trucco sta nel non avere alcun organo fondamentale singolo o doppio, distribuendo al contempo sull’intero corpo tutte quelle funzioni che gli animali concentrano in organi specializzati. Gli animali vedono con gli occhi, sentono con le orecchie, respirano con i polmoni, ragionano con il cervello ecc., le piante vedono, sentono, respirano e ragionano con tutto il corpo. Una differenza fondamentale: concentrazione contro distribuzione, le cui conseguenze per la vita di noi animali non sono immediatamente intuibili.
Ovviamente, a chiunque è evidente l’estrema fragilità del nostro corpo. Basta un banale malfunzionamento di uno qualsiasi dei nostri organi perché la nostra sopravvivenza sia pregiudicata. È una delle conseguenze della nostra organizzazione; non è l’unica e credo neanche la più importante. L’essere costruiti con un cervello che presiede alle funzioni dei vari organi specializzati ha influenzato in pratica qualunque tipo di organizzazione o struttura l’uomo abbia mai ideato. Replichiamo dappertutto questa organizzazione centralizzata e verticistica. Le nostre società sono costruite secondo lo stesso schema. Le nostre aziende, gli uffici, le scuole, gli eserciti, le associazioni, i partiti, tutto è organizzato secondo strutture piramidali. I nostri stessi strumenti, anche quelli più moderni come il computer, sono dei semplici analoghi sintetici di noi stessi; un processore, che mima le funzioni del nostro cervello, che governa delle schede (hardware) che imitano le funzioni dei nostri organi.
L’unico vantaggio di questo tipo di organizzazione è la velocità. Un capo, che sia l’unico intitolato a decidere, dovrebbe essere in grado di stabilire velocemente le azioni da compiere. Questa qualità delle organizzazioni centralizzate, sebbene garantisca la necessaria velocità di azione al corpo animale, fallisce tuttavia malamente nella pratica umana. Ogni organizzazione gerarchica, infatti, evolve una sua burocrazia, ossia un gruppo di persone la cui funzione è di trasformare in consuetudine il meccanismo di trasmissione dei comandi attraverso i diversi livelli della gerarchia. La trasmissione da un livello all’altro della catena gerarchica, oltre che essere inevitabilmente soggetta ad errori, richiede del tempo, eliminando così la velocità di azione, ossia l’unico vero vantaggio ascrivibile ad una organizzazione centralizzata. Rimangono, invece, intatti gli innumerevoli svantaggi: dalla fragilità dell’organizzazione, cui basta rimuovere un qualunque organo fondamentale perché crolli, alla distanza fra il centro che prende le decisioni e il luogo in cui le decisioni stesse hanno effetto. E non è affatto finita qui: i problemi conseguenti alla esistenza della burocrazia, tessuto connettore fondamentale in ogni organizzazione gerarchica, sono numerosi e uno peggiore dell’altro; prenderne coscienza può aiutarci a capire in che ginepraio ci siamo andati a cacciare.
Si tratta di problemi inevitabilmente legati alla esistenza stessa della catena gerarchica. Prendiamo, ad esempio, il principio di Peter, di cui probabilmente avete sentito parlare immaginando si trattasse di una specie di scherzo, un giochetto che descrivesse in maniera umoristica la situazione tipica che si viene a creare all’interno delle peggiori burocrazie e che, invece, descrive una gravissima difficoltà presente in ogni gerarchia. Questo principio, ideato da Laurence J. Peter nel 19691, osserva che le persone in una gerarchia tendono a raggiungere il proprio «livello di incompetenza». Cosa significa? Immaginate una organizzazione gerarchica perfetta, in cui ogni membro dell’organizzazione sia promosso da un livello a quello successivo, soltanto in virtù dei propri meriti. Un’organizzazione utopica, dove le gelosie, la politica, i rancori, le amicizie, la famiglia, il censo, le relazioni, non abbiano alcuna influenza sul modo in cui le persone sono promosse da un livello all’altro. Astraiamoci per un attimo dal nostro squallido mondo di piccoli interessi di carriera, odi e ripicche personali e libriamoci con la mente fino ai livelli empirei di questa miracolosa organizzazione nella quale solo il merito, e soltanto quello, è il motore della carriera dei propri membri.
Sembrerebbe l’organizzazione perfetta, vero? Eppure, per il solo fatto che è gerarchica, ci dice Peter, guardate un po’ come un’organizzazione del genere è incapace di funzionare. Un qualunque membro della piramide, infatti, poiché competente ad un determinato livello della organizzazione, proprio in virtù di queste sue qualità sarebbe promosso ad una posizione più alta nella gerarchia, dove sono richieste competenze diverse. Qualora la persona appena promossa non abbia le competenze adatte al nuovo livello raggiunto, rimarrebbe a questo livello (chiamato Peter’s plateau) o, in alternativa, mostrandosi competente anche in questo nuovo livello raggiunto, proprio in virtù di ciò, verrebbe di nuovo promosso, fino ad arrivare, per forza di cose, ad un livello nel quale non essendo più competente rimarrebbe bloccato. In ogni caso, il risultato inevitabile, alla fine, non potrebbe essere altro che quanto enunciato dal principio di Peter, ossia che in una gerarchia ogni dipendente tende a salire al suo livello di incompetenza.
Un principio già intuito un secolo prima da José Ortega y Gasset, il quale scriveva: «Tutti i dipendenti pubblici dovrebbero essere retrocessi al loro livello immediatamente più basso, poiché sono stati promossi fino a diventare incompetenti». Nonostante il libro in cui Peter per la prima volta espone questo principio sia stato scritto con un intento satirico, le conclusioni cui giunge sono tutt’altro che stravaganti, come confermato da una lunga serie di studi svolti negli anni successivi. Uno dei più recenti, pubblicato nel 2018, ad esempio, ha preso in esame le pratiche utilizzate per la promozione dei dipendenti in 214 aziende americane, scoprendo che tendevano a promuovere in posizioni gestionali persone che nelle loro precedenti mansioni si erano dimostrate molto capaci con le vendite, ma con nessuna o soltanto trascurabile competenza nella gestione2.
Il principio di Peter non è certamente l’unico problema connesso alle burocrazie e quindi, indirettamente, ad ogni organizzazione gerarchica. Una volta creata, infatti, per rispondere alla necessità di veicolare gli ordini fra livelli diversi dell’organizzazione, ogni burocrazia tende a crescere senza controllo, moltiplicando i propri membri fino a che ne esiste la possibilità, ovvero finché esistano risorse da consumare. Nel 1955 Cyril Northcote Parkinson, in un celebre saggio pubblicato originariamente su «The Economist» e, in seguito, in volume3, enunciava quella che verrà, in seguito, conosciuta come la legge di Parkinson. Formulata sulla base del comportamento dei gas, che si espandono fintanto ci sia volume disponibile, la legge di Parkinson afferma che la burocrazia si espande sempre finché le è possibile. A sostegno della sua legge, Parkinson cita una serie di esempi e di conseguenti dati empirici molto efficaci. Fra questi, l’aumento continuo e senza flessioni del numero di impiegati presso l’ufficio delle colonie dell’impero britannico – nonostante negli anni il numero delle colonie si riducesse –, che raggiunse il suo massimo quando, non essendoci più colonie da amministrare, fu assorbito dal ministero degli Esteri. Secondo la legge di Parkinson questo accade inevitabilmente in ogni burocrazia, a prescindere dal fatto che il lavoro rimanga lo stesso, diminuisca o, addirittura, scompaia. Il motivo è da ricercarsi nella semplicissima ragione che i membri di una burocrazia tendono a moltiplicare i subordinati e non i possibili rivali.
Vediamo di chiarire questo punto. Un lavoratore che abbia una certa quantità di lavoro da svolgere e che si accorga di non riuscire più a portarlo a termine, perché il lavoro è aumentato o, semplicemente, perché non ha più voglia di farlo, si trova di fronte a tre possibili strategie per risolvere il problema: 1) può dimettersi, 2) può decidere di dimezzare il lavoro con un collega o, infine, 3) può decidere di assumere due dipendenti (devono essere necessariamente due; se fosse uno solo diventerebbe infatti un rivale e ci ritroveremmo in una situazione da caso 2), che lavorino alle sue dipendenze. Ora analizziamo, velocemente, le conseguenze di ognuna di queste tre opzioni. La prima è presto scartata, in quanto lascerebbe il lavoratore senza lavoro. La seconda porterebbe alla creazione di un potenziale rivale in vista di una promozione, mentre la terza è l’unica strategia che consentirebbe al lavoratore di mantenere inalterata la sua posizione e le sue possibilità di carriera, lavorando di meno. Inevitabilmente, dopo poco, anche i due dipendenti neoassunti si troveranno nella stessa situazione, e la sola soluzione possibile sarà di assumere due persone subordinate per ciascuno di loro. Ecco che, seguendo queste dinamiche diaboliche, in breve, sette persone si troveranno a svolgere la stessa quantità di lavoro che prima era svolta da una sola.
È possibile esprimere la legge di Parkinson anche in forma matematica, attraverso una semplicissima formuletta la cui risoluzione ci dice che in accordo con Parkinson la crescita percentuale annua dei membri di un’organizzazione sarà, invariabilmente, compresa fra il 5,17 e il 6,56%. Ed è straordinario vedere come molti apparati burocratici davvero crescano con tassi prossimi a quelli previsti dalla legge di Parkinson. Insomma, la burocrazia è una delle peggiori conseguenze delle organizzazioni animali, ossia centralizzate, piramidali e con una catena di comando. Alla fine, scrive Max Weber, ogni burocrazia cessa di servire la società che l’ha creata diventando fine a sé stessa, crescendo come un corpo estraneo, prendendo provvedimenti che la proteggano e imponendo regole non funzionali che servono esclusivamente a giustificare le proprie dimensioni4. Basterebbero i soli danni prodotti dalle burocrazie perché l’articolo 3 della costituzione della Nazione delle Piante, che non riconosce le organizzazioni basate su gerarchie, ispirate all’architettura animale, risplendesse per la sua saggezza.
Purtroppo, le burocrazie sono soltanto uno, e niente affatto il peggiore, dei molti problemi che affliggono le organizzazioni gerarchiche e centralizzate. Altri ne vedremo nelle prossime pagine. Uno dei problemi meno conosciuti delle organizzazioni gerarchiche è che fanno male alla salute. Nel 1967, in Gran Bretagna venne avviato uno studio sullo stato di salute fisica e mentale dei dipendenti pubblici britannici. Lo studio, chiamato Whitehall, si focalizzò sui dipendenti pubblici in quanto rappresentanti di una classe media, in buona salute e non...

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