Detto non detto
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Detto non detto

Le forme della comunicazione implicita

Marina Sbisà

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Le forme della comunicazione implicita

Marina Sbisà

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«Studiare i presupposti e i sottintesi, essere in grado di riconoscerli, stanarli, formularli esplicitamente è aumentare la nostra capacità di comprendere tesi. È inoltre aumentare la nostra capacità di usarli per apprendere le informazioni che ci danno ma anche per metterli in discussione. Infine è aumentare il nostro controllo sulla nostra stessa comprensione, ricondurla a delle regole, perché il riconoscimento di impliciti può e deve essere motivato.»

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Information

Year
2015
ISBN
9788858122549

1.
La presupposizione

Cominceremo la nostra esplorazione delle forme di comunicazione implicita dalla presupposizione, cioè da quegli impliciti la cui verità viene data per scontata da chi accetta come appropriato il proferimento di un certo enunciato. Presenterò la nozione di presupposizione ripercorrendone brevemente la storia, poiché le diverse interpretazioni che tale fenomeno ha ricevuto gettano luce su diversi suoi aspetti.

1. Presupposizione e riferimento

La presupposizione, nel senso filosofico-linguistico che qui ci interessa, fa la sua comparsa nel saggio di Gottlob Frege Über Sinn und Bedeutung del 18921. Discutendo l’enunciato complesso
(1) Colui che scoprì la forma ellittica dell’orbita dei pianeti morì in miseria
Frege nota che il suo senso, complessivamente considerato, sembra includere, oltre al pensiero che comunque l’enunciato esprime, anche un altro pensiero esprimibile come
(1a) Ci fu uno che scoprì la forma ellittica dell’orbita dei pianeti.
Ma qual è l’esatta relazione fra questi due enunciati? Il senso dell’uno fa parte del senso dell’altro, oppure i loro sensi sono associati fra loro, pur restando distinti? Frege scarta l’idea che il senso di (1a) faccia parte del senso di (1) per un motivo preciso: se vogliamo negare (1), quello che diciamo è di solito
(2) Colui che scoprì la forma ellittica dell’orbita dei pianeti non morì in miseria
mentre se (1) comprendesse nel suo senso anche (1a), negare (1a) sarebbe a sua volta un modo per negare (1), e per negare veramente e completamente (1) dovremmo dire:
(2a) Colui che scoprì la forma ellittica dell’orbita dei pianeti non morì in miseria, oppure non vi è un individuo che abbia scoperto la forma ellittica dell’orbita dei pianeti.
Ma non lo facciamo. Frege nota invece che (1) può avere un valore di verità, cioè essere vero o falso, solo se il sintagma nominale
(1b) Colui che scoprì la forma ellittica dell’orbita dei pianeti
indica o denota effettivamente un oggetto (Keplero), e cioè se (1a) è vero. Viceversa, se (1a) fosse falso, (1b) non denoterebbe un oggetto, e l’enunciato (1) non potrebbe essere né vero né falso. I due enunciati (1) e (1a) hanno insomma sensi o contenuti comunicativi fra loro distinti, ma sono associati fra loro dal fatto che la verità dell’uno è condizione necessaria sia della verità che della falsità dell’altro2.
A guardar bene, lo stesso avviene per qualunque enunciato contenente descrizioni definite («la matrigna di Biancaneve», «il Presidente della Repubblica Italiana», «la signora con il vestito giallo»), o anche semplicemente nomi propri («Andrea», «Keplero»): quando si afferma qualcosa, è sempre implicita la presupposizione che tali espressioni abbiano una denotazione, cioè che indichino oggetti esistenti. Se riformuliamo (1) come
(3) Keplero morì in miseria
non ci siamo perciò liberati dal presupporre qualcosa, anche se qui la presupposizione non consiste più nell’enunciato (1a) ma in
(3a) Il nome «Keplero» designa un oggetto
o forse, potremmo dire noi,
(3b) Keplero è veramente esistito3
Tuttavia, se si accetta tutto questo si deve anche ammettere che il nostro linguaggio possa produrre enunciati che, pure apparentemente sensati, sono né veri né falsi. Molto sarebbe da dire, o da ricordare, su perché questo rischio spaventi tanto la maggior parte dei logici. Frege si preoccupa di trovare espedienti per esorcizzarlo nel linguaggio delle scienze, ma sulla sua viva presenza nel linguaggio quotidiano si limita a ironizzare, citando l’espressione a suo avviso demagogica «la volontà del popolo». Più drastici provvedimenti saranno presi circa un decennio più tardi da Bertrand Russell.
Russell non accettò la nozione di presupposizione né l’idea che certi enunciati possano risultare né veri né falsi, e diede una nuova analisi dei sintagmi nominali definiti4. Nella sua prospettiva, non sarebbe controintuitivo ritenere che la forma corretta e completa della negazione di
(1) Colui che scoprì la forma ellittica dell’orbita dei pianeti morì in miseria
sia
(2a) Colui che scoprì la forma ellittica dell’orbita dei pianeti non morì in miseria, oppure non vi è un individuo che abbia scoperto la forma ellittica dell’orbita dei pianeti
o almeno non è importante che possa apparire controintuitivo. Anzi, questa è davvero la forma corretta e completa delle negazioni di enunciati che contengono sintagmi nominali definiti dotati di contenuto descrittivo, e riflette un’ambiguità dell’ambito d’applicazione della negazione che regolarmente si presenta in tali enunciati. Infatti può darsi che la negazione di (1) serva a negare soltanto che un certo individuo sia morto in miseria, il che è ciò che normalmente formuliamo come
(2) Colui che scoprì la forma ellittica dell’orbita dei pianeti non morì in miseria
ma anche che serva a negare complessivamente tutto l’enunciato (1) e con ciò sia equivalente a:
(2b) Non è vero che colui che scoprì la forma ellittica dell’orbita dei pianeti morì in miseria.
In quest’ultimo caso, per rendere vera la negazione di (1) è sufficiente che nessuno abbia mai scoperto che i pianeti hanno un’orbita ellittica: quando (1a) è falso, anche (1) è falso.
Per Russell, quindi, ciò che (1a) afferma è parte di ciò che afferma (1). Chi afferma (1), infatti, fa in realtà le seguenti tre affermazioni congiunte:
(1d) Esiste un individuo tale che ha scoperto l’orbita ellittica dei pianeti, se un individuo ha scoperto l’orbita ellittica dei pianeti allora coincide con quest’individuo, e qualcuno (da identificare con quest’individuo) è morto in miseria.
Trattandosi di tre affermazioni connesse da un operatore logico di congiunzione, è sufficiente che una delle tre sia falsa perché l’insieme risulti falso. E il rapporto fra l’enunciato intero e ciascuna delle affermazioni componenti la sua analisi risulta non di presupposizione, ma di implicazione logica.
Fra l’idea che le descrizioni definite siano attivatori presupposizionali e l’analisi russelliana c’è, nonostante le apparenze, un terreno comune. La seconda infatti offre, anche a chi preferisca la prima, una regola semplice per esplicitare in frasi indipendenti le presupposizioni della descrizione definita contenuta nell’enunciato da analizzare. D’altra parte, proprio su questa base ambedue le analisi possono essere criticate. Se qualcuno dice:
(4) La porta è aperta
può dire qualcosa di comprensibile e di vero anche se non è affatto vero che esista al mondo una e una sola porta, cioè anche se il contenuto descrittivo del sintagma nominale definito «la porta» non è sufficiente a individuare l’oggetto cui il parlante intende riferirsi e anzi, perlomeno riguardo alla condizione di unicità, è falso di tale oggetto. Ma quante descrizioni definite d’uso corrente sono in questa stessa situazione? Quante, per giunta, sono anche inesatte? Pensiamo al caso di «la signora vestita in giallo» in
(5) La signora vestita in giallo è una spia.
La descrizione definita qui serve a far sì che l’interlocutore identifichi una certa signora e può essere efficace dal punto di vista comunicativo anche se, poniamo, non è vero che la signora in questione indossa un vestito giallo (potrebbe essere beige, o nocciola, ma dire che è giallo consente ugualmente di identificare la signora che interessa). Secondo una distinzione proposta da Keith Donnellan5, abbiamo qui a che fare con un uso «referenziale» anziché «attributivo» della descrizione definita: non si individua l’unico oggetto dotato della caratteristica predicata dalla descrizione (qualunque esso sia), ma si fa riferimento a un oggetto dato, indipendentemente dal suo essere veramente l’unico oggetto dotato della caratteristica predicata dalla descrizione, e persino dal suo essere affatto dotato di tale caratteristica. Nel caso delle descrizioni definite con uso referenziale, le implicazioni o presupposizioni d’esistenza e di unicità che secondo Russell e rispettivamente secondo Frege sarebbero associate all’enunciato semplicemente non si danno: ambedue le analisi sarebbero perciò difettose.
A mio avviso, l’analisi presupposizionale esce più facilmente di quella russelliana dall’obiezione di Donnellan. Anzitutto, la struttura dell’enunciato può rimanere quella soggetto-predicato (mentre la struttura assegnata all’enunciato dall’analisi russelliana è incompatibile con gli usi referenziali). In secondo luogo, si può sostenere che negli usi referenziali la presupposizione d’esistenza non cessa di darsi, ma si sposta, diventando più generica. Se ogni nome proprio comunica la presupposizione dell’esistenza dell’oggetto designato, anche gli usi referenziali di una descrizione definita comunicano che esiste un certo oggetto o individuo, e in particolare un oggetto o individuo di un certo tipo pertinente. Infine, la presupposizione di unicità può ragionevolmente essere riformulata come presupposizione di unicità nel dominio di oggetti pertinente all’occasione in cui l’enunciato è usato: non interessa quante porte ci sono al mondo quando nella stanza di cui stiamo parlando ce n’è una sola oppure quando stiamo parlando di una porta d’ingresso e di una casa che ne ha una sola. Del resto questo vale anche per i nomi propri: per quanti «Andrea» conosciate, quello di cui comunicate la presupposizione d’esistenza dicendo «Andrea» è l’Andrea contestualmente saliente.

2. Presupposizione e atto linguistico

Si deve a Peter F. Strawson, nel quadro della filosofia del linguaggio ordinario, un rilancio della nozione fregeana di presupposizione6. Strawson obietta a Russell di non considerare la dimensione dell’uso dell’enunciato, a cui solo appartiene il riferimento, e in cui solo, di conseguenza, diventano rilevanti le presupposizioni d’esistenza. Per Strawson, è solo nell’uso che un’enunciato diventa valutabile come vero o falso, e possono esserci usi in cui non riesce ad essere tale, casi in cui la questione della verità o falsità non si pone. Tali sono i casi in cui la presupposizion...

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