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Detto non detto
Le forme della comunicazione implicita
Marina SbisĂ
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Detto non detto
Le forme della comunicazione implicita
Marina SbisĂ
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«Studiare i presupposti e i sottintesi, essere in grado di riconoscerli, stanarli, formularli esplicitamente Ăš aumentare la nostra capacitĂ di comprendere tesi. Ă inoltre aumentare la nostra capacitĂ di usarli per apprendere le informazioni che ci danno ma anche per metterli in discussione. Infine Ăš aumentare il nostro controllo sulla nostra stessa comprensione, ricondurla a delle regole, perchĂ© il riconoscimento di impliciti puĂČ e deve essere motivato.»
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Sujet
PhilosophySous-sujet
Language in Philosophy1.
La presupposizione
Cominceremo la nostra esplorazione delle forme di comunicazione implicita dalla presupposizione, cioĂš da quegli impliciti la cui veritĂ viene data per scontata da chi accetta come appropriato il proferimento di un certo enunciato. PresenterĂČ la nozione di presupposizione ripercorrendone brevemente la storia, poichĂ© le diverse interpretazioni che tale fenomeno ha ricevuto gettano luce su diversi suoi aspetti.
1. Presupposizione e riferimento
La presupposizione, nel senso filosofico-linguistico che qui ci interessa, fa la sua comparsa nel saggio di Gottlob Frege Ăber Sinn und Bedeutung del 18921. Discutendo lâenunciato complesso
(1) Colui che scoprĂŹ la forma ellittica dellâorbita dei pianeti morĂŹ in miseria
Frege nota che il suo senso, complessivamente considerato, sembra includere, oltre al pensiero che comunque lâenunciato esprime, anche un altro pensiero esprimibile come
(1a) Ci fu uno che scoprĂŹ la forma ellittica dellâorbita dei pianeti.
Ma qual Ăš lâesatta relazione fra questi due enunciati? Il senso dellâuno fa parte del senso dellâaltro, oppure i loro sensi sono associati fra loro, pur restando distinti? Frege scarta lâidea che il senso di (1a) faccia parte del senso di (1) per un motivo preciso: se vogliamo negare (1), quello che diciamo Ăš di solito
(2) Colui che scoprĂŹ la forma ellittica dellâorbita dei pianeti non morĂŹ in miseria
mentre se (1) comprendesse nel suo senso anche (1a), negare (1a) sarebbe a sua volta un modo per negare (1), e per negare veramente e completamente (1) dovremmo dire:
(2a) Colui che scoprĂŹ la forma ellittica dellâorbita dei pianeti non morĂŹ in miseria, oppure non vi Ăš un individuo che abbia scoperto la forma ellittica dellâorbita dei pianeti.
Ma non lo facciamo. Frege nota invece che (1) puĂČ avere un valore di veritĂ , cioĂš essere vero o falso, solo se il sintagma nominale
(1b) Colui che scoprĂŹ la forma ellittica dellâorbita dei pianeti
indica o denota effettivamente un oggetto (Keplero), e cioĂš se (1a) Ăš vero. Viceversa, se (1a) fosse falso, (1b) non denoterebbe un oggetto, e lâenunciato (1) non potrebbe essere nĂ© vero nĂ© falso. I due enunciati (1) e (1a) hanno insomma sensi o contenuti comunicativi fra loro distinti, ma sono associati fra loro dal fatto che la veritĂ dellâuno Ăš condizione necessaria sia della veritĂ che della falsitĂ dellâaltro2.
A guardar bene, lo stesso avviene per qualunque enunciato contenente descrizioni definite («la matrigna di Biancaneve», «il Presidente della Repubblica Italiana», «la signora con il vestito giallo»), o anche semplicemente nomi propri («Andrea», «Keplero»): quando si afferma qualcosa, Ú sempre implicita la presupposizione che tali espressioni abbiano una denotazione, cioÚ che indichino oggetti esistenti. Se riformuliamo (1) come
(3) Keplero morĂŹ in miseria
non ci siamo perciĂČ liberati dal presupporre qualcosa, anche se qui la presupposizione non consiste piĂč nellâenunciato (1a) ma in
(3a) Il nome «Keplero» designa un oggetto
o forse, potremmo dire noi,
(3b) Keplero Ăš veramente esistito3
Tuttavia, se si accetta tutto questo si deve anche ammettere che il nostro linguaggio possa produrre enunciati che, pure apparentemente sensati, sono nĂ© veri nĂ© falsi. Molto sarebbe da dire, o da ricordare, su perchĂ© questo rischio spaventi tanto la maggior parte dei logici. Frege si preoccupa di trovare espedienti per esorcizzarlo nel linguaggio delle scienze, ma sulla sua viva presenza nel linguaggio quotidiano si limita a ironizzare, citando lâespressione a suo avviso demagogica «la volontĂ del popolo». PiĂč drastici provvedimenti saranno presi circa un decennio piĂč tardi da Bertrand Russell.
Russell non accettĂČ la nozione di presupposizione nĂ© lâidea che certi enunciati possano risultare nĂ© veri nĂ© falsi, e diede una nuova analisi dei sintagmi nominali definiti4. Nella sua prospettiva, non sarebbe controintuitivo ritenere che la forma corretta e completa della negazione di
(1) Colui che scoprĂŹ la forma ellittica dellâorbita dei pianeti morĂŹ in miseria
sia
(2a) Colui che scoprĂŹ la forma ellittica dellâorbita dei pianeti non morĂŹ in miseria, oppure non vi Ăš un individuo che abbia scoperto la forma ellittica dellâorbita dei pianeti
o almeno non Ăš importante che possa apparire controintuitivo. Anzi, questa Ăš davvero la forma corretta e completa delle negazioni di enunciati che contengono sintagmi nominali definiti dotati di contenuto descrittivo, e riflette unâambiguitĂ dellâambito dâapplicazione della negazione che regolarmente si presenta in tali enunciati. Infatti puĂČ darsi che la negazione di (1) serva a negare soltanto che un certo individuo sia morto in miseria, il che Ăš ciĂČ che normalmente formuliamo come
(2) Colui che scoprĂŹ la forma ellittica dellâorbita dei pianeti non morĂŹ in miseria
ma anche che serva a negare complessivamente tutto lâenunciato (1) e con ciĂČ sia equivalente a:
(2b) Non Ăš vero che colui che scoprĂŹ la forma ellittica dellâorbita dei pianeti morĂŹ in miseria.
In questâultimo caso, per rendere vera la negazione di (1) Ăš sufficiente che nessuno abbia mai scoperto che i pianeti hanno unâorbita ellittica: quando (1a) Ăš falso, anche (1) Ăš falso.
Per Russell, quindi, ciĂČ che (1a) afferma Ăš parte di ciĂČ che afferma (1). Chi afferma (1), infatti, fa in realtĂ le seguenti tre affermazioni congiunte:
(1d) Esiste un individuo tale che ha scoperto lâorbita ellittica dei pianeti, se un individuo ha scoperto lâorbita ellittica dei pianeti allora coincide con questâindividuo, e qualcuno (da identificare con questâindividuo) Ăš morto in miseria.
Trattandosi di tre affermazioni connesse da un operatore logico di congiunzione, Ăš sufficiente che una delle tre sia falsa perchĂ© lâinsieme risulti falso. E il rapporto fra lâenunciato intero e ciascuna delle affermazioni componenti la sua analisi risulta non di presupposizione, ma di implicazione logica.
Fra lâidea che le descrizioni definite siano attivatori presupposizionali e lâanalisi russelliana câĂš, nonostante le apparenze, un terreno comune. La seconda infatti offre, anche a chi preferisca la prima, una regola semplice per esplicitare in frasi indipendenti le presupposizioni della descrizione definita contenuta nellâenunciato da analizzare. Dâaltra parte, proprio su questa base ambedue le analisi possono essere criticate. Se qualcuno dice:
(4) La porta Ăš aperta
puĂČ dire qualcosa di comprensibile e di vero anche se non Ăš affatto vero che esista al mondo una e una sola porta, cioĂš anche se il contenuto descrittivo del sintagma nominale definito «la porta» non Ăš sufficiente a individuare lâoggetto cui il parlante intende riferirsi e anzi, perlomeno riguardo alla condizione di unicitĂ , Ăš falso di tale oggetto. Ma quante descrizioni definite dâuso corrente sono in questa stessa situazione? Quante, per giunta, sono anche inesatte? Pensiamo al caso di «la signora vestita in giallo» in
(5) La signora vestita in giallo Ăš una spia.
La descrizione definita qui serve a far sĂŹ che lâinterlocutore identifichi una certa signora e puĂČ essere efficace dal punto di vista comunicativo anche se, poniamo, non Ăš vero che la signora in questione indossa un vestito giallo (potrebbe essere beige, o nocciola, ma dire che Ăš giallo consente ugualmente di identificare la signora che interessa). Secondo una distinzione proposta da Keith Donnellan5, abbiamo qui a che fare con un uso «referenziale» anzichĂ© «attributivo» della descrizione definita: non si individua lâunico oggetto dotato della caratteristica predicata dalla descrizione (qualunque esso sia), ma si fa riferimento a un oggetto dato, indipendentemente dal suo essere veramente lâunico oggetto dotato della caratteristica predicata dalla descrizione, e persino dal suo essere affatto dotato di tale caratteristica. Nel caso delle descrizioni definite con uso referenziale, le implicazioni o presupposizioni dâesistenza e di unicitĂ che secondo Russell e rispettivamente secondo Frege sarebbero associate allâenunciato semplicemente non si danno: ambedue le analisi sarebbero perciĂČ difettose.
A mio avviso, lâanalisi presupposizionale esce piĂč facilmente di quella russelliana dallâobiezione di Donnellan. Anzitutto, la struttura dellâenunciato puĂČ rimanere quella soggetto-predicato (mentre la struttura assegnata allâenunciato dallâanalisi russelliana Ăš incompatibile con gli usi referenziali). In secondo luogo, si puĂČ sostenere che negli usi referenziali la presupposizione dâesistenza non cessa di darsi, ma si sposta, diventando piĂč generica. Se ogni nome proprio comunica la presupposizione dellâesistenza dellâoggetto designato, anche gli usi referenziali di una descrizione definita comunicano che esiste un certo oggetto o individuo, e in particolare un oggetto o individuo di un certo tipo pertinente. Infine, la presupposizione di unicitĂ puĂČ ragionevolmente essere riformulata come presupposizione di unicitĂ nel dominio di oggetti pertinente allâoccasione in cui lâenunciato Ăš usato: non interessa quante porte ci sono al mondo quando nella stanza di cui stiamo parlando ce nâĂš una sola oppure quando stiamo parlando di una porta dâingresso e di una casa che ne ha una sola. Del resto questo vale anche per i nomi propri: per quanti «Andrea» conosciate, quello di cui comunicate la presupposizione dâesistenza dicendo «Andrea» Ăš lâAndrea contestualmente saliente.
2. Presupposizione e atto linguistico
Si deve a Peter F. Strawson, nel quadro della filosofia del linguaggio ordinario, un rilancio della nozione fregeana di presupposizione6. Strawson obietta a Russell di non considerare la dimensione dellâuso dellâenunciato, a cui solo appartiene il riferimento, e in cui solo, di conseguenza, diventano rilevanti le presupposizioni dâesistenza. Per Strawson, Ăš solo nellâuso che unâenunciato diventa valutabile come vero o falso, e possono esserci usi in cui non riesce ad essere tale, casi in cui la questione della veritĂ o falsitĂ non si pone. Tali sono i casi in cui la presupposizion...