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Documento 1
una anonima ÂŤcittadinaÂť sui diritti delle donne, 1797
[...] noi altre donne, o popoli dellâItalia, siamo individui dellâumanitĂ ; siamo una metĂ del genere umano; siamo uguali per natura al rimanente degli uomini; abbiamo un vero diritto naturale di approvare o riprovare le nuove leggi; abbiamo finalmente tutta la propensione necessaria per lâesercizio di questo nostro diritto. Dunque le nostre pretensioni sono giuste e fondate sulla legge naturale; dunque lâesclusione che foste per dare in appresso alle donne in tutti i vostri consessi, sarebbe unâesclusione contraria allâequitĂ . Dunque tutti i progetti che da qui innanzi si maneggieranno, tutte le leggi che si pubblicheranno, saranno invalide senza il nostro concorso. Dunque è vostro dovere il chiamar le donne a Consiglio per dare al sistema di libertĂ ed eguaglianza il conveniente vigore ed autenticitĂ . Non dovrete arrossire dâimitare i dottissimi Ateniesi ed i prudentissimi Spartani, i quali dividevano colle loro donne le pubbliche cure del governo. Voi, o Italiani, siete filosofi, e perciò non potrete lasciar di fare quello che vâinsegna la filosofia e che vi detta la natura. Voi siete gli amanti della libertĂ , e non potrete soffrire che rimanga schiava una metĂ intiera del genere umano. Voi siete i difensori dellâeguaglianza, e non potrete far a meno di sostenere la causa di chi è simile a voi ed eguale vostro. Voi siete politici, e dovete conoscere per necessitĂ che se il nostro sesso vi è amico, lâesecuzione del gran vostro progetto è sicura; se è contrario aâ vostri disegni, questi stessi vostri disegni saranno vani. Voi siete finalmente appassionati e pieghevoli pel nostro sesso, e non potrete fare a meno di non armarvi tutti a difesa delle femine italiane in una causa sĂŹ giusta. CosĂŹ lo speriamo dalla filosofia, dalla giustizia e dallâamorevolezza vostra.
[...] Che se poi non vorrete piegarvi alla ragione; se vorrete far risuonare ad inganno le dolci parole di libertĂ ed eguaglianza, sostenendo nel tempo stesso con incoerenza lâintiera tirannia degli uomini sopra le donne, sappiate in tal caso che, essendo la nostra potenza nota a tutto il mondo, e noto assai a voi medesimi quanto possano i nostri comandi, i nostri sospiri, il nostro contegno, la nostra condiscendenza, siccome insieme con noi distruggereste tutti i nimici dellâuguaglianza, senza di noi non li distruggerete giammai.
Documento 2
le ragioni del centralismo secondo melchiorre gioia, 1796
I disordini delle repubbliche indipendenti, la lentezza e la gelosia delle repubbliche confederate invitano lâItalia ad unirsi in una sola repubblica indivisibile. Difatti la natura del territorio italiano, le cui parti avvicinate tra di loro non sono separate da alcun ostacolo naturale, il clima che poco cangia dallâuna allâaltra estremitĂ , la fertilitĂ delle cittĂ situate nel continente, lo stato precario dâalcune altre poste sulle frontiere, la quantitĂ deâ fiumi che possono far circolare rapidamente e da pertutto le nostre e le altrui derrate, la nostra abbondanza in ogni genere che provocando lâaltrui cupiditĂ mantiene vivo il desiderio dâuna invasione, la moltitudine di porti, la capacitĂ deâ seni che mentre ci trasmettono le estere ricchezze ci rendono accessibili da tutte le parti aglâinvasori, lâimpotenza di ciascuna cittĂ a resistere sola alla forza, allâavvedutezza, allâambizione di costoro, lâunione che può dare alle masse italiane quella soliditĂ onde renderle lo scoglio eterno deâ conquistatori, lâesperienza del passato che ricorda allâItalia che divisa fu conquistata e tiranneggiata dalle estere nazioni; lo stato di depressione in cui giace al presente la nostra marina, che diverrebbe il riparo della libertĂ se fosse sostenuta dallâunione; il commercio che è arrestato da pertutto da mille ostacoli sollevati dalla gelosia di piccoli stati indipendenti e rivali; quella diffidenza indecisa, quella inquietudine attiva che accompagna le rivoluzioni e tende a disorganizzarle, inquietudine che si sminuisce in ragione degli associati ai medesimi pericoli; lâintelletto che si estende a misura che si estende il campo di sua attivitĂ ; la grandezza degli oggetti politici che, togliendo di mezzo le piccole passioni, tiene gli uomini in una distanza che annienta glâinteressi, e le particolari gelosie madri di discordie e di sedizioni; la religione che unisce tutta lâItalia sotto dâuno stendardo comune; gli stessi costumi che danno alla pubblica opinione la direzione stessa e ne costituiscon la forza; la stessa lingua che facilita la comunicazione deâ sentimenti e ci ricorda la stessa origine; lo stesso gusto per le arti, per le manifatture, per le scienze; gli stessi mali, le stesse speranze, gli stessi timori, in una parola il fisico, il morale, il politico, tutto câinvita ad unirci colla massima possibile strettezza nel seno dâuna sola repubblica indivisibile.
Documento 3
le ragioni del federalismo
secondo giovanni antonio ranza, 1797
LâItalia, tutto al contrario della Francia, è divisa in molti Stati da parecchi secoli; stati diversi di costumi, di massime, di dialetto, dâinteressi; stati che nutrono (mi rincresce dirlo!) vicendevolmente unâavversione gli uni degli altri. Ora il voler unire questi stati ad un tratto con una rigenerazione politica in un solo governo, in un solo stato, con una sola costituzione, è lo stesso che cercare il moto perpetuo o la pietra filosofale. Non si può distruggere in pochi giorni, e modificar subito diversamente lâopera di molti secoli avvalorata dallâabitudine di tante generazioni; senza guerra tra popoli e popoli, senza spargimento di sangue, senzâanarchia. Andiamo per grado; e noi otterremo il nostro gran fine con poco disturbo, e col minimo possibile di disordini. La guerra a morte sia solo contro i birbanti coronati, contro gli assassini dei popoli. Si risparmino i popoli; e si cerchi dâavvicinarli, ma gradatamente, al comune interesse, alla generale felicitĂ . [...]
Desidero anchâio ardentemente al pari dâogni altro Italiano, unitĂ di governo e di massime, un tuttâinsieme repubblicano democratico. Ma torno a dire che questo non può per ora nĂŠ cosĂŹ subito ottenersi. Questo bel giorno lo vedranno i nostri figli e nipoti. Intanto a noi tocca prepararne la strada, spianarne il cammino, agevolarne la marcia. Ogni Stato libero dâItalia formi le sue legioni rivoluzionarie; ogni Stato le faccia marciare alla rigenerazione universale. In tal modo dispariranno senzâavvedersene le antiche antipatie tra stato e stato; i popoli avvicinatisi gli uni agli altri e amalgamati sotto la gran bandiera della libertĂ e fraternitĂ generale dâItalia, formeranno un sol tutto indivisibile, perchĂŠ uniti dâinteressi e di massime nella sostanza; benchĂŠ diversi di posizione geografica, e con qualche varietĂ di colorito istituzionale. [...]
Finisco con ricordare agli Italiani che noi siamo stati i maestri dellâaltre nazioni; che le scienze e le arti sono da noi partite ad illuminare e ingentilire gli altri popoli; che il nostro suolo, il nostro clima, i nostri ingegni sono tuttavia i medesimi. Questi furono solamente compressi e avviliti sotto il dispotismo di briganti stranieri venuti a rubarci, e desolarci, non tanto per debolezza dei nostri padri quanto per fatalitĂ di tempi, e di circostanze. Ricordiamoci che con gli ingegni abbiamo pur delle braccia. Non siamo dunque da meno dei nostri padri. Quello che essi furono nelle scienze e nellâarti siamolo noi in rivoluzione. Se non possiamo averne il primato, emuliamo i nostri bravi maestri i Francesi; a loro imitazione facciamo uso dei nostri ingegni, e delle nostre braccia; su la loro carriera corriamo tutti contro i grandi assassini a distruggerne la razza esecrabile e ad annientare lâinfame ciurma che li protegge. Questo sia lo scopo sublime del federalismo italiano; questa lâunica meta dei nostri sforzi. Federati tra noi, ma indivisibili; e federati per sempre con i Francesi; dopo avere rigenerata lâItalia, terremo in freno il resto dâEuropa, memorabile anzi unico esempio alle future generazioni.
Documento 4
lâappello del cardinale fabrizio ruffo ai sanfedisti, 1799
Fabrizio cardinal Ruffo, vicario generale del Regno di Napoli.
Bravi e coraggiosi Calabresi, unâorda di cospiratori settarii dopo aver rovesciato in Francia altare e trono, dopo aver, con sacrilego attentato, fatto prigione ed asportato in Francia il vicario di GesĂš Cristo, nostro S. Pontefice Pio VI ..., dopo aver con perfidia e tradimenti fatto sbandare il nostro esercito, invadere e ribellare la nostra capitale e le provincie; sta facendo tutti i sforzi per involarci (se fosse possibile) il dono piĂš prezioso del Cielo, la nostra santa religione, per distruggere la divina morale del Vangelo, per depredare le nostre sostanze, per insidiare la pudicizia delle vostre donne.
Bravi e coraggiosi Calabresi! soffrirete voi tante ingiurie? Valorosi soldati di un esercito tradito, vorrete voi lasciare impunita la perfidia che, oscurando la vostra gloria, ha usurpato il trono del nostro legittimo monarca? Ah no! Voi giĂ fremete di giusto sdegno e s...