Il Risorgimento italiano
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Il Risorgimento italiano

Alberto Mario Banti

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Il Risorgimento italiano

Alberto Mario Banti

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Scrivere una storia del Risorgimento, inteso nel suo significato di movimento politico-culturale centrale dell'Italia contemporanea, Ú un'opera importante. Che Ú riuscita splendidamente ad Alberto Mario Banti in questo libro.Roberto Coaloa, "Il Sole 24 Ore"Nel 1861 si forma il Regno d'Italia: dopo molti secoli di frammentazione statale la Penisola Ú cosÏ riunita in un'unica compagine, i cui territori vengono completati nei dieci anni seguenti. È un evento rivoluzionario, vissuto in questi termini dai contemporanei, in Italia e fuori d'Italia. In questo libro, il lungo processo di formazione del movimento nazionale dai primi slanci patriottici di fine Settecento alle organizzazioni insurrezionali, ai tentativi rivoluzionari della prima metà dell'Ottocento, fino all'anno cruciale del Regno.

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Informations

Éditeur
Editori Laterza
Année
2013
ISBN
9788858109182

Documenti

Avvertenza
Salvo interventi minimi, di norma si Ăš conservata la grafia dei testi.
Documento 1
una anonima «cittadina» sui diritti delle donne, 179713
[...] noi altre donne, o popoli dell’Italia, siamo individui dell’umanitĂ ; siamo una metĂ  del genere umano; siamo uguali per natura al rimanente degli uomini; abbiamo un vero diritto naturale di approvare o riprovare le nuove leggi; abbiamo finalmente tutta la propensione necessaria per l’esercizio di questo nostro diritto. Dunque le nostre pretensioni sono giuste e fondate sulla legge naturale; dunque l’esclusione che foste per dare in appresso alle donne in tutti i vostri consessi, sarebbe un’esclusione contraria all’equitĂ . Dunque tutti i progetti che da qui innanzi si maneggieranno, tutte le leggi che si pubblicheranno, saranno invalide senza il nostro concorso. Dunque Ăš vostro dovere il chiamar le donne a Consiglio per dare al sistema di libertĂ  ed eguaglianza il conveniente vigore ed autenticitĂ . Non dovrete arrossire d’imitare i dottissimi Ateniesi ed i prudentissimi Spartani, i quali dividevano colle loro donne le pubbliche cure del governo. Voi, o Italiani, siete filosofi, e perciĂČ non potrete lasciar di fare quello che v’insegna la filosofia e che vi detta la natura. Voi siete gli amanti della libertĂ , e non potrete soffrire che rimanga schiava una metĂ  intiera del genere umano. Voi siete i difensori dell’eguaglianza, e non potrete far a meno di sostenere la causa di chi Ăš simile a voi ed eguale vostro. Voi siete politici, e dovete conoscere per necessitĂ  che se il nostro sesso vi Ăš amico, l’esecuzione del gran vostro progetto Ăš sicura; se Ăš contrario a’ vostri disegni, questi stessi vostri disegni saranno vani. Voi siete finalmente appassionati e pieghevoli pel nostro sesso, e non potrete fare a meno di non armarvi tutti a difesa delle femine italiane in una causa sĂŹ giusta. CosĂŹ lo speriamo dalla filosofia, dalla giustizia e dall’amorevolezza vostra.
[...] Che se poi non vorrete piegarvi alla ragione; se vorrete far risuonare ad inganno le dolci parole di libertà ed eguaglianza, sostenendo nel tempo stesso con incoerenza l’intiera tirannia degli uomini sopra le donne, sappiate in tal caso che, essendo la nostra potenza nota a tutto il mondo, e noto assai a voi medesimi quanto possano i nostri comandi, i nostri sospiri, il nostro contegno, la nostra condiscendenza, siccome insieme con noi distruggereste tutti i nimici dell’uguaglianza, senza di noi non li distruggerete giammai.
Documento 2
le ragioni del centralismo secondo melchiorre gioia, 179614
I disordini delle repubbliche indipendenti, la lentezza e la gelosia delle repubbliche confederate invitano l’Italia ad unirsi in una sola repubblica indivisibile. Difatti la natura del territorio italiano, le cui parti avvicinate tra di loro non sono separate da alcun ostacolo naturale, il clima che poco cangia dall’una all’altra estremitĂ , la fertilitĂ  delle cittĂ  situate nel continente, lo stato precario d’alcune altre poste sulle frontiere, la quantitĂ  de’ fiumi che possono far circolare rapidamente e da pertutto le nostre e le altrui derrate, la nostra abbondanza in ogni genere che provocando l’altrui cupiditĂ  mantiene vivo il desiderio d’una invasione, la moltitudine di porti, la capacitĂ  de’ seni che mentre ci trasmettono le estere ricchezze ci rendono accessibili da tutte le parti agl’invasori, l’impotenza di ciascuna cittĂ  a resistere sola alla forza, all’avvedutezza, all’ambizione di costoro, l’unione che puĂČ dare alle masse italiane quella soliditĂ  onde renderle lo scoglio eterno de’ conquistatori, l’esperienza del passato che ricorda all’Italia che divisa fu conquistata e tiranneggiata dalle estere nazioni; lo stato di depressione in cui giace al presente la nostra marina, che diverrebbe il riparo della libertĂ  se fosse sostenuta dall’unione; il commercio che Ăš arrestato da pertutto da mille ostacoli sollevati dalla gelosia di piccoli stati indipendenti e rivali; quella diffidenza indecisa, quella inquietudine attiva che accompagna le rivoluzioni e tende a disorganizzarle, inquietudine che si sminuisce in ragione degli associati ai medesimi pericoli; l’intelletto che si estende a misura che si estende il campo di sua attivitĂ ; la grandezza degli oggetti politici che, togliendo di mezzo le piccole passioni, tiene gli uomini in una distanza che annienta gl’interessi, e le particolari gelosie madri di discordie e di sedizioni; la religione che unisce tutta l’Italia sotto d’uno stendardo comune; gli stessi costumi che danno alla pubblica opinione la direzione stessa e ne costituiscon la forza; la stessa lingua che facilita la comunicazione de’ sentimenti e ci ricorda la stessa origine; lo stesso gusto per le arti, per le manifatture, per le scienze; gli stessi mali, le stesse speranze, gli stessi timori, in una parola il fisico, il morale, il politico, tutto c’invita ad unirci colla massima possibile strettezza nel seno d’una sola repubblica indivisibile.
Documento 3
le ragioni del federalismo
secondo giovanni antonio ranza, 1797
15
L’Italia, tutto al contrario della Francia, Ăš divisa in molti Stati da parecchi secoli; stati diversi di costumi, di massime, di dialetto, d’interessi; stati che nutrono (mi rincresce dirlo!) vicendevolmente un’avversione gli uni degli altri. Ora il voler unire questi stati ad un tratto con una rigenerazione politica in un solo governo, in un solo stato, con una sola costituzione, Ăš lo stesso che cercare il moto perpetuo o la pietra filosofale. Non si puĂČ distruggere in pochi giorni, e modificar subito diversamente l’opera di molti secoli avvalorata dall’abitudine di tante generazioni; senza guerra tra popoli e popoli, senza spargimento di sangue, senz’anarchia. Andiamo per grado; e noi otterremo il nostro gran fine con poco disturbo, e col minimo possibile di disordini. La guerra a morte sia solo contro i birbanti coronati, contro gli assassini dei popoli. Si risparmino i popoli; e si cerchi d’avvicinarli, ma gradatamente, al comune interesse, alla generale felicitĂ . [...]
Desidero anch’io ardentemente al pari d’ogni altro Italiano, unitĂ  di governo e di massime, un tutt’insieme repubblicano democratico. Ma torno a dire che questo non puĂČ per ora nĂ© cosĂŹ subito ottenersi. Questo bel giorno lo vedranno i nostri figli e nipoti. Intanto a noi tocca prepararne la strada, spianarne il cammino, agevolarne la marcia. Ogni Stato libero d’Italia formi le sue legioni rivoluzionarie; ogni Stato le faccia marciare alla rigenerazione universale. In tal modo dispariranno senz’avvedersene le antiche antipatie tra stato e stato; i popoli avvicinatisi gli uni agli altri e amalgamati sotto la gran bandiera della libertĂ  e fraternitĂ  generale d’Italia, formeranno un sol tutto indivisibile, perchĂ© uniti d’interessi e di massime nella sostanza; benchĂ© diversi di posizione geografica, e con qualche varietĂ  di colorito istituzionale. [...]
Finisco con ricordare agli Italiani che noi siamo stati i maestri dell’altre nazioni; che le scienze e le arti sono da noi partite ad illuminare e ingentilire gli altri popoli; che il nostro suolo, il nostro clima, i nostri ingegni sono tuttavia i medesimi. Questi furono solamente compressi e avviliti sotto il dispotismo di briganti stranieri venuti a rubarci, e desolarci, non tanto per debolezza dei nostri padri quanto per fatalità di tempi, e di circostanze. Ricordiamoci che con gli ingegni abbiamo pur delle braccia. Non siamo dunque da meno dei nostri padri. Quello che essi furono nelle scienze e nell’arti siamolo noi in rivoluzione. Se non possiamo averne il primato, emuliamo i nostri bravi maestri i Francesi; a loro imitazione facciamo uso dei nostri ingegni, e delle nostre braccia; su la loro carriera corriamo tutti contro i grandi assassini a distruggerne la razza esecrabile e ad annientare l’infame ciurma che li protegge. Questo sia lo scopo sublime del federalismo italiano; questa l’unica meta dei nostri sforzi. Federati tra noi, ma indivisibili; e federati per sempre con i Francesi; dopo avere rigenerata l’Italia, terremo in freno il resto d’Europa, memorabile anzi unico esempio alle future generazioni.
Documento 4
l’appello del cardinale fabrizio ruffo ai sanfedisti, 179916
Fabrizio cardinal Ruffo, vicario generale del Regno di Napoli.
Bravi e coraggiosi Calabresi, un’orda di cospiratori settarii dopo aver rovesciato in Francia altare e trono, dopo aver, con sacrilego attentato, fatto prigione ed asportato in Francia il vicario di GesĂč Cristo, nostro S. Pontefice Pio VI ..., dopo aver con perfidia e tradimenti fatto sbandare il nostro esercito, invadere e ribellare la nostra capitale e le provincie; sta facendo tutti i sforzi per involarci (se fosse possibile) il dono piĂč prezioso del Cielo, la nostra santa religione, per distruggere la divina morale del Vangelo, per depredare le nostre sostanze, per insidiare la pudicizia delle vostre donne.
Bravi e coraggiosi Calabresi! soffrirete voi tante ingiurie? Valorosi soldati di un esercito tradito, vorrete voi lasciare impunita la perfidia che, oscurando la vostra gloria, ha usurpato il trono del nostro legittimo monarca? Ah no! Voi giĂ  fremete di giusto sdegno e s...

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