La vita umana in prima persona
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La vita umana in prima persona

Piergiorgio Donatelli

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La vita umana in prima persona

Piergiorgio Donatelli

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Quali sono i confini della libertà? Tradizionalmente si è pensato che si estendessero alle cose che possediamo, all'espressione delle proprie idee, agli incontri con gli altri, e che arrivassero al corpo solo per rifiutare la violenza o la detenzione senza diritto. Gli sviluppi della biotecnologia e i casi della bioetica hanno mostrato che la libertà si estende fin dentro il corpo. Ma per poterlo fare deve affrontare le concezioni religiose e conservatrici che hanno sempre ritenuto il corpo e alcuni suoi momenti cruciali come sfere indisponibili alla scelta e alla libertà. Ma deve affrontare anche avversari nuovi che trattano la vita dal punto di vista medico e degli interessi sociali alla salute. Il libro difende la libertà sulla propria vita, nella sessualità, nella procreazione e nel morire: difende la possibilità che anche questi momenti siano governati in modo radicale dalla propria soggettività.«Rivendicare la libertà significa rivendicare un certo spazio dove ha senso scegliere, significa conquistare uno spazio per sé, come gruppi, come società, come individui. I conservatori presentano lo spazio della natura, della tradizione, della legge divina. I liberali non hanno una loro idea di spazio, ma ce la dovrebbero avere».

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Information

Year
2012
ISBN
9788858104675

Capitolo 1. L’etica partendo dal basso

1. Allargare l’immaginazione democratica

In questo libro difendo la libertà in aree cruciali della vita umana come la procreazione, la sessualità e il morire. Perché proprio questi momenti? Perché è lì che tradizionalmente si è sostenuto, e si è imposto con le pratiche sociali e le leggi, che la vita umana non è un campo libero di espressione di sé ma che appartiene a un’altra istanza: a Dio, alla natura, all’ordine sociale, alla normalità medica.
C’è qualcosa di nuovo da dire su questi temi? In effetti la situazione che è di fronte ai nostri occhi oggi sembra essere la seguente. Da una parte vi sono paesi come l’Italia che su questi temi mostrano un’arretratezza spaventosa. È spaventoso lo stato della legislazione su queste materie (che non ha leggi che regolino in modo liberale la procreazione assistita, il rifiuto dei trattamenti, le unioni civili), così come lo è la qualità del discorso pubblico (la grossolana mancanza di sensibilità e intelligenza con cui si è entrati nelle situazioni di fine vita, l’assenza di rispetto e la stupidità con cui alcuni politici e capi religiosi parlano delle persone gay, una volgarità antica con cui si marca la differenza tra donne e uomini). Vi sono voci e gruppi che esprimono concezioni e atteggiamenti diversi ma non sono riusciti a plasmare lo spazio pubblico, a stabilire il livello di sensibilità, di scrupolosità e di correttezza a cui ci si deve attenere. Sulla diagnosi di questa situazione non voglio entrare qui. C’è la storia di lungo periodo, che parte dalla Controriforma, una storia di medio periodo che ha origine nelle fallite rivoluzioni costituzionali sulla scia della Rivoluzione francese, una storia più breve che riguarda la strada intrapresa dopo la fine della Grande Guerra segnata dalle scelte dei due grandi partiti di massa, e una storia di brevissimo periodo che è quella degli ultimi vent’anni. In ciascuna di queste storie è possibile trovare una spiegazione dello stato di cose presente.
D’altra parte non ha certo molto senso fermarsi qui e rimanere imprigionati dentro il nostro paese o, per meglio dire, dentro lo spazio più visibile di esso. In effetti, il carattere della discussione pubblica su questi temi ferisce e amareggia proprio perché viviamo ora in contatto con molti paesi e con molti mondi. Con qualche ora di volo arriviamo a Barcellona, a Parigi, a Londra, a Berlino, leggiamo le notizie e condividiamo punti di vista su internet, siamo accomunati da stili e da interessi culturali molto più di quanto i singoli pubblici nazionali siano consapevoli. Le modalità in cui le persone, tra cui molti giovani e meno giovani, che non si accontentano di ciò che è visibile nella nostra società, formano i loro caratteri, sviluppano il loro gusto per le cose, le loro preferenze e convinzioni sono gli stessi modi di coltivarsi e le stesse preferenze e idee di giovani e meno giovani in molte altre società, in cui la libertà e una distribuzione della ricchezza non del tutto iniqua consente la circolazione di una molteplicità di idee e di modelli di condotta. È sullo sfondo di questa condivisione globale che i contrasti appaiono più forti e inaccettabili. In questi paesi europei e complessivamente nei paesi democratici, anche in quelli che ci appaiono lontani come l’America Latina, forme di vita sociali e giuridiche si sono prese carico delle trasformazioni culturali e morali all’inizio della vita, nella vita sessuale e di relazione e alla fine della vita. Ciò non significa che non vi siano cospicue minoranze che continuano a sostenere posizioni che avversano questi cambiamenti, ma esse non hanno la forza di plasmare lo spazio pubblico.
Non voglio evocare qui semplicemente una questione geografica, un confronto tra nazioni basato su considerazioni storiche e culturali. Come emergerà in seguito, sostengo che l’etica abbia a che fare proprio con l’allargamento continuo dello spazio del confronto, che non si nutre della chiusura alle altrui esperienze e giudizi. Il confronto è sempre su questioni concrete: non riguarda movimenti del pensiero astratti, ma ha come oggetto l’esperienza di coloro – individui, gruppi, collettività, nazioni – che hanno allargato lo spazio dell’immaginazione in merito a opinioni, a condotte, a ciò in cui possiamo credere e che possiamo fare come individui che hanno aspirazioni morali. Il pensiero morale non può farsi imprigionare dall’esperienza di chi è chiuso dentro credenze e condotte ottuse, di chi rifiuta di dialogare e imparare dagli altri, di chi, costretto dall’ipocrisia e dalla mancanza di pensiero riflessivo, percorre una strada in cui le cose che si fanno non collimano con le cose che si vivono. Una vita così esperita è limitata e ottusa e perciò moralmente biasimevole.
Dobbiamo allargare l’immaginazione democratica e considerare la vita associata di paesi diversi che hanno veramente recepito le trasformazioni nei nostri modi di vivere, e tenere conto, al contempo, della riflessione teorica e della discussione intellettuale acquisita. Solo così possiamo chiederci cosa possiamo dire e volere riguardo ai valori e alle condotte. Ma c’è qualcosa di nuovo da dire? Non è forse già tutto acquisito tanto sul piano teorico quanto sul piano della vita concreta, e, semplicemente, dobbiamo muovere verso altri obiettivi? Per un verso bisogna rispondere di sì. È una società matura quella che regola le aree dell’esistenza umana dove si muovono interessi e progetti di vita cruciali: mettere al mondo bambini con autonomia e responsabilità facendo uso di tecnologie diagnostiche e riproduttive; scegliere i modi in cui ci accingiamo a morire nell’ampia gamma di strumenti e circostanze che coinvolgono l’intervento del personale medico e l’uso o il rifiuto della tecnologia; vivere la propria vita sessuale e intima nei modi che rispondono alla nostra persona, scalzando la centralità dell’antiquato modello del matrimonio eterosessuale; crescere i bambini in varie forme, come coppie e come singoli. È il segno di una società matura che in queste aree vi siano regolamentazioni nel diritto e pratiche sociali acquisite che accolgono gli interessi degli individui e che rendono efficace il rispetto della loro libertà, in modo analogo a come ci aspettiamo che una qualsiasi società decente consideri materie acquisite l’eguaglianza dei cittadini riguardo al sesso, colore della pelle o tipo di lavoro che svolgono. È certamente segno di una società seria e solida che alcune questioni diventino patrimonio comune, siano esse questioni di conoscenza o di valore. Questa era la posizione, ad esempio, di John Stuart Mill. Mettiamo alla prova e sperimentiamo opinioni, teorie, regole di condotta e istituzioni e arriviamo a un certo punto alla convinzione che una credenza o un modo di organizzare la società sono fondati perché li abbiamo esposti a ogni possibile critica e a ogni confronto con la realtà. Interrogarsi sulle proprie convinzioni e sui modi di organizzare la vita non significa minare i fondamenti della nostra condotta morale ma al contrario, sostiene Mill, è l’unico modo che ci consente di considerarli fondati[1].
Il percorso delle nostre società nelle aree della vita umana che ho citato è storicamente disomogeneo e le trasformazioni tecnologiche che hanno mutato l’inizio e la fine della vita con l’uso delle tecniche di procreazione assistita e delle macchine vicarianti è recente; ma abbiamo certamente acquisito sufficienti prove e sperimentazioni che hanno mostrato che solo rispettando la libertà individuale e promuovendo gli interessi delle persone coinvolte garantiamo la scrupolosità morale. Suicidio, sessualità e procreazione disegnano storie disomogenee e varie: il tema del suicidio razionale è antico quanto la tradizione filosofica occidentale, con i suoi difensori (da Seneca a Montaigne a Hume) e i suoi detrattori (da Platone a Tommaso a Kant); la sessualità è trattata nei modi più vari e discontinui nonostante i lunghi secoli di predominio cristiano; il tema della libertà procreativa è, invece, recente quanto quello della libertà femminile (esordisce nel Rinascimento italiano e fiorisce nel Settecento e nell’Ottocento). Tuttavia, una volta acquisite le forme di vita caratteristiche delle società democratiche questi percorsi hanno trovato un esito solido. Possiamo mai pensare ora che le nostre società democratiche regolino queste aree della vita (nel diritto e nelle pratiche sociali) in modo difforme da come regolano le altre sfere dell’esistenza? Perché le nostre società dovrebbero regolare il lavoro, la rappresentanza politica, l’espressione delle proprie idee e così via in un modo e la procreazione, la relazione sessuale, il morire in un altro? Acquisito il quadro democratico non sembra molto ragionevole pensare che vi siano aree della vita che gli possano essere sottratte.
Questo è ancora una volta un argomento sostenuto da Mill e che egli avanzava in difesa di una riforma radicale dell’istituto del matrimonio[2]. Si chiede Mill: come è possibile che regoliamo la società intera secondo i principi di giustizia e di prudenza e sottraiamo la famiglia a questi principi, un luogo così importante e cruciale per l’educazione dei sentimenti e delle opinioni delle persone che dovranno (i figli) e che devono già (i genitori) prendersi carico della società alla luce di questi stessi principi? Come è possibile giustificare un’asimmetria tra la famiglia e il resto della società? Questo ragionamento di Mill vale tuttora anche in relazione ai nuovi temi della vita umana che discuto qui. Ma ora, rispetto a Mill, abbiamo alle spalle una storia ricca e articolata: l’immaginazione può allargarsi non solo nel presente, con lo sguardo internazionale che ho suggerito all’inizio, ma anche indietro nella storia, e può considerare le acquisizioni maturate dalle nostre società e che ora fanno parte integrante di esse. Da questo punto di vista l’estensione della libertà e della considerazione degli interessi a queste aree della vita – alla nascita, alla sessualità e al morire – ci appare ora ovvio e indiscutibile.

2. L’etica e le basi ampie dell’esperienza

Ho seguito finora un ragionamento secondo il quale dovremmo considerare semplicemente acquisite le pratiche sociali e le regolamentazioni che attengono alle aree della vita umana che ho citato. La tesi di questo libro però è che questa linea di pensiero non basta. Non basta per vari motivi. Ne voglio indicare qui due: comincio ora con l’esporre il primo e introdurrò il secondo nel prossimo paragrafo.
Il primo motivo riguarda la natura stessa dell’etica, intesa in senso lato come ciò che si sedimenta in atteggiamenti e in forme di approvazione e disapprovazione varie come i sentimenti, il linguaggio, ma anche le pratiche e le regole e che può arrivare anche a essere codificata e trovare espressione nelle leggi. Nella prospettiva che sviluppo, la quale considera l’etica come l’espressione di forme di vita, di processi di civilizzazione, di intrecci di risposte umane che ravvisiamo sul piano dei rapporti tra le persone, ogni acquisizione che si consolida in qualsiasi forma – nelle leggi o anche nell’accettazione generale di una credenza (per fare un esempio banale, secondo cui è malvagio e ottuso discriminare le persone in base a presunte distinzioni razziali) – riceve la sua solidità da questa base sottostante e non ne possiede una indipendente. Che ci sia invece una solidità indipendente delle credenze morali è una tesi molto influente nel pensiero filosofico, avanzata da prospettive diverse: ad esempio da quelle che ritengono che vi siano verità eterne nella natura delle cose che la ragione può scoprire (nella tradizione metafisica, ad esempio quella tomista) o da quelle che ritengono che, sebbene non si tratti di scoprire alcunché, la ragione ha la capacità di renderci consapevoli dei doveri che ci caratterizzano a priori come esseri razionali (nella tradizione kantiana). Ma se riteniamo al contrario che questa solidità non possa essere messa al sicuro in questi modi, non possa essere sottratta così facilmente dalla massa vasta di contingenze che costituiscono le nostre vite, allora non possiamo disconnettere ciò che ci appare giustificatamente solido e indiscutibile dalla massa più mobile di atteggiamenti, di relazioni umane, di attività che ne costituisce la base. Ciò che ci appare indiscutibile è ciò a cui teniamo in questi modi così convinti: la base della sua solidità è anche la base dei nostri atteggiamenti e del nostro mondo.
La tesi secondo cui, per comprendere le credenze morali, le istituzioni e tutto ciò che si è rappreso in forme apparentemente purificate dalla massa di atteggiamenti e attività umane, dobbiamo cominciare dal basso, da quella massa di risposte e relazioni umane, è stata espressa in diversi modi. Amartya Sen ha fornito recentemente una descrizione molto efficace di una tradizione che ha sviluppato questa tesi, che egli chiama antitrascendentale, e che riconduce alla linea filosofica scozzese con protagonisti come David Hume e Adam Smith[3]. Mill stesso ne faceva parte anche se integrava questa concezione con altri punti di vista su cui tornerò in seguito. Io stesso in questo libro elaboro argomenti e idee sia sulla scia dell’elaborazione originale che Mill ha fatto della tradizione antitrascendentale sia sulla scia di una tradizione del tutto indipendente che ha preso le mosse nel Novecento dal pensiero di Wittgenstein e che sviluppa egualmente la tesi secondo cui in etica si deve cominciare dal basso[4].
In questa prospettiva, quindi, le credenze e le istituzioni a cui più teniamo e che consideriamo indiscutibili sono viste, appunto, come ciò a cui più teniamo, vale a dire sono ricondotte alla base di atteggiamenti e al mondo di attività e di risposte umane in cui esse hanno questo ruolo. Questo punto è chiaramente espresso da Mill[5]. Egli sostiene due tesi apparentemente in tensione l’una con l’altra, ma che possiamo mettere assieme se facciamo nostra la spiegazione difesa dalla prospettiva antitrascendentale di cosa rende solida e fondata una credenza. Da una parte Mill sostiene che le credenze messe alla prova dal confronto con le critiche e con l’esperienza si guadagnano il nostro rispetto, diventano solide e abbiamo quindi tutte le ragioni di considerarle vere. Una società avanzata e complessa è fondata su una base crescente di credenze di questo tipo che ha sempre meno senso mettere in discussione. Questa è una tesi che afferma sia il fatto sia il valore positivo dell’accumulazione del sapere e delle convinzioni in tutti i campi, scientifico e pratico. Sperimentiamo, ad esempio, le nostre concezioni in merito alla natura del mondo fisico ma sperimentiamo anche le nostre concezioni su quale sia una buona organizzazione della rappresentanza politica: una società civilizzata ha accantonato un deposito cospicuo di concezioni di questo tipo messe alla prova dell’esperienza. Ma Mill aggiunge anche una tesi molto diversa. Sostiene che ogniqualvolta trattiamo una credenza o una regola di condotta come qualcosa di acquisito, di dato per scontato, quella credenza e quella regola cominciano a perdere il contatto con la base sottostante che le ha espresse: con i ragionamenti, con le sperimentazioni, con l’incontro con l’esperienza che esse hanno fatto e che le hanno conferito la loro solidità. Come scrive Mill, una credenza non è fondata perché la consideriamo al di sopra delle critiche e delle prove ma è fondata proprio perché continua a vincere la prova di queste sfide. Invece, se la consideriamo semplicemente acquisita invertiamo l’ordine e immaginiamo che essa sia fondata su basi proprie che non hanno bisogno di altre prove, di altre sfide con la realtà.
Troviamo qui una linea di ragionamento chiara che ci spinge a fare due cose allo stesso tempo: apprezzare la nostra capacità di mettere da parte credenze e regole di condotta fondate, che è una caratteristica dei processi di civilizzazione, e al contempo non arrestarci nella nostra richiesta di vederle messe alla prova e interrogate da un’esperienza sempre nuova. Questa è una prima linea di ragionamento con cui affrontare i temi della vita umana che discuto qui. Le acquisizioni democratiche e liberali su questi temi sono preziose e irrinunciabili, ma lo sono proprio nei limiti in cui non le mettiamo semplicemente da parte sottraendole all’incontro con nuove esperienze. Il valore e la fondatezza di queste acquisizioni che ci sembrano ovvie sarebbe corrotto e diventerebbe solo un guscio vuoto se non fosse continuamente nutrito dall’incontro con l’esperienza e quindi con il pensiero e la critica (che è ciò che succede ai dogmi, scrive Mill, lasciati agire solo come sentinelle contro la possibilità che l’esperienza getti nuova luce sulle menti che li proclamano)[6]. Se una credenza ci appare semplicemente acquisita, significa che abbiamo cominciato a tagliare i fili che la connettono con il mondo di atteggiamenti e di attività che la rendono viva e attiva.

3. Modernità e tradizione

C’è anche una diversa di linea di ragionamento che ci spinge a non accontentarci di considerare le credenze e le regolamentazioni sui temi della vita umana come semplicemente acquisite. Come abbiamo visto, ciò che ci appare semplicemente acquisito ha bisogno di essere compreso in una luce nuova: questo compito fa parte del bisogno di ravvivare qualsiasi verità acquisita di cui parla Mill. Ma voglio presentare ora una tesi specifica che riguarda i temi che discuto qui. Abbiamo acquisito – dal punto di vista largo dell’immaginazione che non si fa imprigionare dentro un certo paese, ad esempio il nostro – le libertà e gli scrupoli che attengono alla nascita, alla sessualità e al morire come parte integrante della nostra vita democratica. Ma il modo in cui li abbiamo acquisiti ha contribuito a nascondere le basi che hanno reso vive e che rendono vive tali acquisizioni, le vaste aree dell’esperienza che rendono queste acquisizioni cose importanti e irrinunciabili. C’è un’immagine dominante di cosa ha significato acquisire queste libertà e questi scrupoli nelle aree della vita umana, un’immagine che nasconde le basi di queste acquisizioni. È questa immagine che voglio criticare in questo libro. Secondo l’immagine dominante, avere acquisito la libertà della donna nella procreazione, la libertà del morente di scegliere quando andarsene, la libertà di costruire una vita sessuale che sia espressione della propria concezione soggettiva e creativa delle relazioni, dei corpi e dei piaceri, avere guadagnato questi passaggi ha comportato il sottrarre queste zone della vita da un intero mondo di percezioni, significati, atteggiamenti e relazioni, il liberarle da tutto ciò e il portarle sotto l’unico cono di luce rappresentato dai principi moderni e civili del rispetto della libertà e della considerazione degli interessi.
Lo scontro che ha caratterizzato la modernità, e il cui esito ci ha consegnato le acquisizioni liberali sui temi della vita umana, è ritratto in questo modo. Da una parte vi sono i difensori del mondo tradizionale, dato un tempo per acquisito, che parlano di spazi oggettivi come quello della natura umana e lo fanno in particolare con gli strumenti caratteristici della visione del mondo premoderna, che possiamo riassumere, seguendo ad esempio Alasdair MacIntyre, in tre assi: una concezione finalistica della natura, una concezione gerarchica e intrinseca dell’ordine sociale, una concezione teologica eteronoma[7]. Quindi, le aree della vita umana, ad esempio le tre centrali che discuto qui, la procreazione, la sessualità e la morte, sono state considerate come l’espressione di fini intrinseci nella natura; come parte di uno spazio sociale gove...

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