Prima lezione di storia contemporanea
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Prima lezione di storia contemporanea

Claudio Pavone

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Prima lezione di storia contemporanea

Claudio Pavone

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Al passato ci si può volgere sotto una duplice spinta: disseppellire i morti e togliere la rena e l'erba che coprono corti e palagi; ricostruire, per compiacercene o dolercene, il percorso che ci ha condotto a ciò che oggi siamo, illustrandone le difficoltà, gli ostacoli, gli sviamenti, ma anche i successi. Appare ovvio che nella storia contemporanea prevalga la seconda motivazione; ma anche la prima vi ha una sua parte.

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Information

Year
2012
ISBN
9788858106433

1. Legittimità della storia contemporanea

1. Specificità, rischi, pregiudizi

Arnaldo Momigliano considera caratteristiche fondamentali del lavoro dello storico l’interesse generale per le cose del passato e il piacere di scoprire in esso fatti nuovi riguardanti l’umanità1. È una definizione che implica uno stretto legame fra presente e passato e che bene si attaglia anche alla ricerca sulle cose e i fatti a noi vicini.
Ma come nascono questo interesse e questo piacere? La prima mediazione fra presente e passato avviene in genere nell’ambito della famiglia, in particolare nel rapporto con i genitori e talvolta, come notava Bloch, ancora più con i nonni, che sfuggono all’immediato antagonismo fra le generazioni2. In questo ambito prevalgono molte volte la nostalgia della vecchia generazione verso il tempo della giovinezza e la spinta a vedere sistematizzata la propria memoria fornendo così di senso, sia pure a posteriori, la propria vita. Per questa strada si può diventare irritanti laudatores temporis acti, ma anche suscitatori di curiosità e di pietas verso quanto vissuto nel passato. E possono nascerne il rifiuto della storia, concentrandosi prevalentemente l’attenzione dei giovani sul presente e sul futuro, oppure il desiderio di conoscere più e meglio il passato proprio in funzione di una migliore comprensione dell’oggi e delle prospettive che esso apre per il domani. I due atteggiamenti sono bene sintetizzati dalle parole di due classici. Ovidio raccomandava Laudamus veteres, sed nostris utemur annis («Elogiamo i tempi antichi, ma sappiamoci muovere nei nostri»); e Tacito: Ulteriora mirari, praesentia sequi («guardare al futuro, stare nel proprio tempo»)3.
L’insegnamento della storia contemporanea si pone dunque con responsabilità particolarmente forti nel punto di sutura fra passato, presente e futuro. Al passato ci si può volgere, in prima istanza, sotto una duplice spinta: disseppellire i morti e togliere la rena e l’erba che coprono corti e palagi; ricostruire, per compiacercene o dolercene, il percorso che ci ha condotto a ciò che oggi siamo, illustrandone le difficoltà, gli ostacoli, gli sviamenti, ma anche i successi. Appare ovvio che nella storia contemporanea prevalga la seconda motivazione; ma anche la prima vi ha una sua parte. Innanzi tutto, i morti da disseppellire possono essere anche recenti. In secondo luogo ciò che viene dissepolto ci affascina non solo perché diverso e sorprendente ma altresì per le sottili e nascoste affinità che scopriamo legarci ad esso. La tristezza che è insieme causa ed effetto del risuscitare Cartagine è di per sé un legame con Cartagine4.
Due scrittori che consideravano indispensabile che la storia assumesse un carattere scientifico facevano anch’essi appello alle emozioni oltre che alla verità obiettiva.
Scriveva lo storico Lacombe:
Che utilità c’è per noi di sapere [...] che un macedone di nome Alessandro ha battuto i Persi nel luogo tale e tale, nell’anno tale e tale [...] quando non se ne trae in fondo una verità o un’emozione?5
Anche chi storico non era, come Max Nordau, scriveva:
ciò che è semi velato sveglia la voglia di svelarlo, ciò che è maceria suscita il desiderio della ricostruzione, ciò che è scomparso adesca al tentativo della evocazione, ciò che non è chiaro dà luogo ad enigmi che attendono la soluzione. In una parola: si può poeticamente sognare con le pallide visioni che sorgono misteriose dal crepuscolo del profondo passato6.
Il tempo presente è destinato a sprofondare a sua volta in quello passato, senza peraltro spezzare il filo che ad esso lo lega e senza rinunciare a sgomitolare quello che lo legherà al tempo futuro. La sua rilevanza scema quando compare la «seconda esistenza» di un evento storico, che Gadamer definisce «quella che (come un’opera d’arte) vive nello spirito dei suoi esegeti, e che è diversa dalla prima, perché contiene cose e problemi – per esempio preoccupazioni e illusioni – che la prima non conteneva, non poteva contenere o che conteneva in modo diverso»7.
Ma quali sono dunque i caratteri che contraddistinguono la storia contemporanea all’interno del sapere storico considerato nel suo spaziare sull’intero corso delle vicende umane e nel suo insieme di teorie, metodologie, pratiche di ricerca, canoni espositivi, rapporti con altre discipline? O, in altre parole, quanto la materia da trattare incide sul modo di trattarla? Sono questi gli interrogativi ai quali si tenterà nelle pagine seguenti di dare qualche risposta, avendo come lontano punto di riferimento il principio, caro agli scolastici, che definitio fit per genus proximum et differentiam specificam.
Narrare, descrivere, comprendere, se possibile spiegare, giudicare sono i compiti che lo storico ha di fronte, intrecciandoli e sovrapponendoli in vario modo oppure optando in maniera esclusiva per alcuni a danno di altri, come la storia della storiografia insegna. Questi obiettivi si ritrovano tutti nella storia contemporanea, con alcune peculiarità. La prima sta nel fatto che nella storia contemporanea res gestae e storiografia sono molto ravvicinate e l’oggetto della ricerca è più volte coevo al ricercatore. Quando, come oggi accade, il corso storico diventa sempre più rapido e complicato, e «il presente diviene passato in modo più celere che in qualsiasi epoca precedente»8 avviene quello che Ludwig von Stein scriveva già a metà dell’Ottocento: «È come se la storiografia quasi non fosse più in grado di tenere il passo con la storia»9.
I sommi padri della storiografia, Tucidide e Tacito, sono anche padri della storiografia contemporaneistica; essi non avevano tuttavia alle spalle la lunga elaborazione di storiografie relative a secoli e millenni precedenti. La storiografia contemporaneistica odierna ha dovuto invece innanzi tutto misurarsi, per conquistare una propria autonomia, con le raffinate e consolidate tradizioni della antichistica, della medievistica e della modernistica.
Essere nani sulle spalle dei giganti offre molti vantaggi, ma aumenta le responsabilità. Da quell’altezza la lunga durata si percepisce meglio, ma cresce la tentazione di proiettarla nel futuro. Due grandi storici, Gaetano Salvemini e Gioacchino Volpe, non dimenticarono la loro formazione di medievisti, come allora era consuetudine, quando si volsero alla storia contemporanea, l’uno sotto la spinta dei fatti italiani del 1898, l’altro sotto quella della Grande Guerra10. E nel Federico Chabod delle Premesse alla Storia della politica estera italiana si avverte nell’impianto e nel modo di articolare il dottissimo discorso l’impronta del modernista di vaglia11.
La possibilità stessa di una storia contemporanea culturalmente degna è stata peraltro a lungo messa in dubbio, non soltanto in Italia. Veritas filia temporis, aveva detto Aulo Gellio. Non in tutti i campi del sapere può forse applicarsi questo principio, ma esso va tenuto presente (con discrezione) quando si parla di verità storica. Un autorevole studioso americano ancora qualche anno fa si interrogava sulle cause della soltanto «recente acquisizione della storia contemporanea nell’ambito della rispettabilità accademica», individuandole nella convinzione che il poco tempo trascorso e il perdurante dominio delle passioni ostavano al necessario distacco, garante della obiettività del giudizio12. Il discorso sugli imperatori tiranni, da Tiberio a Nerone, aveva scritto Tacito, «risulta falsato dalla paura quand’erano al potere e, dopo la loro morte, dall’odio ancora vivo»13.
Subito dopo la Liberazione si accese in Italia un vivace dibattito su questo tema: sembrava frustrante per i protagonisti e colpevole verso le nuove generazioni negare la conoscibilità storica delle esperienze appena concluse del fascismo, della guerra e della Resistenza14. Ancora oggi in Italia la discussione sull’insegnamento della storia del Novecento non si è spenta, sia per una residua opposizione di principio alla storia contemporanea in quanto tale, sia per il timore di un suo appiattimento sul secolo XX, come è in parte avvenuto.
Nella Università italiana la prima cattedra di storia contemporanea fu introdotta soltanto all’inizio degli anni Sessanta. Eppure Benedetto Croce non solo aveva coniato la famosa formula secondo cui ogni storia è storia contemporanea, nel senso che allo storico i problemi vengono sollecitati da quanto «vibra» nel suo animo15, ma aveva egli stesso dato la prova della sua realizzabilità con la Storia d’Italia dal 1861 al 1915, scritta nel 1927 ad appena dodici anni dal terminus ad quem prescelto, quando nel petto dell’autore stava cominciando a vibrare la passione antifascista. Croce aveva ad ogni modo lo scrupolo di avvertire che si era arrestato al 1915 perché la data gli appariva periodizzante:
Il periodo che si apre con questa, per ciò stesso che è ancora aperto, non è di competenza dello storico, ma del politico. Né io vorrò mai confondere e contaminare l’indagine storica con la polemica politica, la quale si fa, e si deve certamente fare, ma in altro luogo16.
Angelo Tasca, uno dei fondatori del Partito comunista d’Italia, pubblicò nel 1938 sulle origini del fascismo un libro considerato ancora oggi un classico17. Era del resto nella tradizione marxista, fin dai suoi iniziatori, l’ambizione di scrivere a caldo saggi in cui la interpretazione storica fosse funzionale alla battaglia politica18.
Marc Bloch sostenne che ogni generazione ha il diritto di scrivere per prima la storia degli eventi di cui è stata partecipe, di darne cioè una prima sistemazione, che diventerà poi una fonte privilegiata per i futuri storici. Tradizionalmente si riteneva invece che almeno una generazione dovesse passare prima che gli eventi entrassero nella storia, mentre – notava ironicamente Schlesinger – «gli storici di una volta richiedevano almeno un millennio»19. Bloch stesso diede la prova della sua asserzione scrivendo nel 1940 un appassionato e limpido libro sulla catastrofe patita dalla Francia20. Era il medesimo Bloch che nel 1914 agli studenti del liceo di Amiens si era presentato con queste parole:
Il passato costituisce la materia del mio insegnamento. Vi racconto battaglie cui non ho assistito, vi descrivo monumenti scomparsi ben prima della mia nascita, vi parlo di uomini che non ho mai visto21.
I vecchi pregiudizi contro la storia contemporanea vanno in verità trasformati in problemi che aiutino a porre su basi più critiche e più solide questo ramo della storiografia. Ad esempio, avere partecipato ai fatti accresce la attendibilità dello storico? oppure i posteri sanno comprendere meglio dei protagonisti? non può anche accadere che talvolta la posterità, come diceva Thompson, pecchi di «enorme alterigia»?22
Alla prima domanda la storiografia greca tendeva a dare una risposta positiva, in seguito da essa stessa superata23. Uno scrittore tardo latino, spostando l’accento dall’avere visto all’avere partecipato, scrisse che
Si ritiene che la «storia» differisca dagli «annali» in questo: in entrambi i casi si tratta di narrazione di cose avvenute, tuttavia la «storia» tratta in specifico di quelle alle quali colui che narra abbia partecipato in prima persona24.
È questa una formula che ben si attaglia a quegli uomini politici che sono anche storici e non solo memorialisti. Era convinzione di Adolphe Thiers che
il momento in certo qual modo ideale per scrivere la storia è forse quello in cui i protagonisti, svincolati dall’azione e liberati dalle passioni che li hanno mossi, conservano il ricordo degli avvenimenti sui quali hanno esercitato la loro influenza25.
Oggi non è proponibile una posizione che, invertendo i vecchi pregiudizi, da una parte darebbe alla contemporaneistica, o meglio ai contemporanei in senso stretto, un assurdo monopolio della correttezza storica, dal...

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