1. LegittimitĂ della storia contemporanea
1. SpecificitĂ , rischi, pregiudizi
Arnaldo Momigliano considera caratteristiche fondamentali del lavoro dello storico lâinteresse generale per le cose del passato e il piacere di scoprire in esso fatti nuovi riguardanti lâumanitĂ 1. Ă una definizione che implica uno stretto legame fra presente e passato e che bene si attaglia anche alla ricerca sulle cose e i fatti a noi vicini.
Ma come nascono questo interesse e questo piacere? La prima mediazione fra presente e passato avviene in genere nellâambito della famiglia, in particolare nel rapporto con i genitori e talvolta, come notava Bloch, ancora piĂč con i nonni, che sfuggono allâimmediato antagonismo fra le generazioni2. In questo ambito prevalgono molte volte la nostalgia della vecchia generazione verso il tempo della giovinezza e la spinta a vedere sistematizzata la propria memoria fornendo cosĂŹ di senso, sia pure a posteriori, la propria vita. Per questa strada si puĂČ diventare irritanti laudatores temporis acti, ma anche suscitatori di curiositĂ e di pietas verso quanto vissuto nel passato. E possono nascerne il rifiuto della storia, concentrandosi prevalentemente lâattenzione dei giovani sul presente e sul futuro, oppure il desiderio di conoscere piĂč e meglio il passato proprio in funzione di una migliore comprensione dellâoggi e delle prospettive che esso apre per il domani. I due atteggiamenti sono bene sintetizzati dalle parole di due classici. Ovidio raccomandava Laudamus veteres, sed nostris utemur annis («Elogiamo i tempi antichi, ma sappiamoci muovere nei nostri»); e Tacito: Ulteriora mirari, praesentia sequi («guardare al futuro, stare nel proprio tempo»)3.
Lâinsegnamento della storia contemporanea si pone dunque con responsabilitĂ particolarmente forti nel punto di sutura fra passato, presente e futuro. Al passato ci si puĂČ volgere, in prima istanza, sotto una duplice spinta: disseppellire i morti e togliere la rena e lâerba che coprono corti e palagi; ricostruire, per compiacercene o dolercene, il percorso che ci ha condotto a ciĂČ che oggi siamo, illustrandone le difficoltĂ , gli ostacoli, gli sviamenti, ma anche i successi. Appare ovvio che nella storia contemporanea prevalga la seconda motivazione; ma anche la prima vi ha una sua parte. Innanzi tutto, i morti da disseppellire possono essere anche recenti. In secondo luogo ciĂČ che viene dissepolto ci affascina non solo perchĂ© diverso e sorprendente ma altresĂŹ per le sottili e nascoste affinitĂ che scopriamo legarci ad esso. La tristezza che Ăš insieme causa ed effetto del risuscitare Cartagine Ăš di per sĂ© un legame con Cartagine4.
Due scrittori che consideravano indispensabile che la storia assumesse un carattere scientifico facevano anchâessi appello alle emozioni oltre che alla veritĂ obiettiva.
Scriveva lo storico Lacombe:
Che utilitĂ câĂš per noi di sapere [...] che un macedone di nome Alessandro ha battuto i Persi nel luogo tale e tale, nellâanno tale e tale [...] quando non se ne trae in fondo una veritĂ o unâemozione?5
Anche chi storico non era, come Max Nordau, scriveva:
ciĂČ che Ăš semi velato sveglia la voglia di svelarlo, ciĂČ che Ăš maceria suscita il desiderio della ricostruzione, ciĂČ che Ăš scomparso adesca al tentativo della evocazione, ciĂČ che non Ăš chiaro dĂ luogo ad enigmi che attendono la soluzione. In una parola: si puĂČ poeticamente sognare con le pallide visioni che sorgono misteriose dal crepuscolo del profondo passato6.
Il tempo presente Ăš destinato a sprofondare a sua volta in quello passato, senza peraltro spezzare il filo che ad esso lo lega e senza rinunciare a sgomitolare quello che lo legherĂ al tempo futuro. La sua rilevanza scema quando compare la «seconda esistenza» di un evento storico, che Gadamer definisce «quella che (come unâopera dâarte) vive nello spirito dei suoi esegeti, e che Ăš diversa dalla prima, perchĂ© contiene cose e problemi â per esempio preoccupazioni e illusioni â che la prima non conteneva, non poteva contenere o che conteneva in modo diverso»7.
Ma quali sono dunque i caratteri che contraddistinguono la storia contemporanea allâinterno del sapere storico considerato nel suo spaziare sullâintero corso delle vicende umane e nel suo insieme di teorie, metodologie, pratiche di ricerca, canoni espositivi, rapporti con altre discipline? O, in altre parole, quanto la materia da trattare incide sul modo di trattarla? Sono questi gli interrogativi ai quali si tenterĂ nelle pagine seguenti di dare qualche risposta, avendo come lontano punto di riferimento il principio, caro agli scolastici, che definitio fit per genus proximum et differentiam specificam.
Narrare, descrivere, comprendere, se possibile spiegare, giudicare sono i compiti che lo storico ha di fronte, intrecciandoli e sovrapponendoli in vario modo oppure optando in maniera esclusiva per alcuni a danno di altri, come la storia della storiografia insegna. Questi obiettivi si ritrovano tutti nella storia contemporanea, con alcune peculiaritĂ . La prima sta nel fatto che nella storia contemporanea res gestae e storiografia sono molto ravvicinate e lâoggetto della ricerca Ăš piĂč volte coevo al ricercatore. Quando, come oggi accade, il corso storico diventa sempre piĂč rapido e complicato, e «il presente diviene passato in modo piĂč celere che in qualsiasi epoca precedente»8 avviene quello che Ludwig von Stein scriveva giĂ a metĂ dellâOttocento: «à come se la storiografia quasi non fosse piĂč in grado di tenere il passo con la storia»9.
I sommi padri della storiografia, Tucidide e Tacito, sono anche padri della storiografia contemporaneistica; essi non avevano tuttavia alle spalle la lunga elaborazione di storiografie relative a secoli e millenni precedenti. La storiografia contemporaneistica odierna ha dovuto invece innanzi tutto misurarsi, per conquistare una propria autonomia, con le raffinate e consolidate tradizioni della antichistica, della medievistica e della modernistica.
Essere nani sulle spalle dei giganti offre molti vantaggi, ma aumenta le responsabilitĂ . Da quellâaltezza la lunga durata si percepisce meglio, ma cresce la tentazione di proiettarla nel futuro. Due grandi storici, Gaetano Salvemini e Gioacchino Volpe, non dimenticarono la loro formazione di medievisti, come allora era consuetudine, quando si volsero alla storia contemporanea, lâuno sotto la spinta dei fatti italiani del 1898, lâaltro sotto quella della Grande Guerra10. E nel Federico Chabod delle Premesse alla Storia della politica estera italiana si avverte nellâimpianto e nel modo di articolare il dottissimo discorso lâimpronta del modernista di vaglia11.
La possibilitĂ stessa di una storia contemporanea culturalmente degna Ăš stata peraltro a lungo messa in dubbio, non soltanto in Italia. Veritas filia temporis, aveva detto Aulo Gellio. Non in tutti i campi del sapere puĂČ forse applicarsi questo principio, ma esso va tenuto presente (con discrezione) quando si parla di veritĂ storica. Un autorevole studioso americano ancora qualche anno fa si interrogava sulle cause della soltanto «recente acquisizione della storia contemporanea nellâambito della rispettabilitĂ accademica», individuandole nella convinzione che il poco tempo trascorso e il perdurante dominio delle passioni ostavano al necessario distacco, garante della obiettivitĂ del giudizio12. Il discorso sugli imperatori tiranni, da Tiberio a Nerone, aveva scritto Tacito, «risulta falsato dalla paura quandâerano al potere e, dopo la loro morte, dallâodio ancora vivo»13.
Subito dopo la Liberazione si accese in Italia un vivace dibattito su questo tema: sembrava frustrante per i protagonisti e colpevole verso le nuove generazioni negare la conoscibilitĂ storica delle esperienze appena concluse del fascismo, della guerra e della Resistenza14. Ancora oggi in Italia la discussione sullâinsegnamento della storia del Novecento non si Ăš spenta, sia per una residua opposizione di principio alla storia contemporanea in quanto tale, sia per il timore di un suo appiattimento sul secolo XX, come Ăš in parte avvenuto.
Nella UniversitĂ italiana la prima cattedra di storia contemporanea fu introdotta soltanto allâinizio degli anni Sessanta. Eppure Benedetto Croce non solo aveva coniato la famosa formula secondo cui ogni storia Ăš storia contemporanea, nel senso che allo storico i problemi vengono sollecitati da quanto «vibra» nel suo animo15, ma aveva egli stesso dato la prova della sua realizzabilitĂ con la Storia dâItalia dal 1861 al 1915, scritta nel 1927 ad appena dodici anni dal terminus ad quem prescelto, quando nel petto dellâautore stava cominciando a vibrare la passione antifascista. Croce aveva ad ogni modo lo scrupolo di avvertire che si era arrestato al 1915 perchĂ© la data gli appariva periodizzante:
Il periodo che si apre con questa, per ciĂČ stesso che Ăš ancora aperto, non Ăš di competenza dello storico, ma del politico. NĂ© io vorrĂČ mai confondere e contaminare lâindagine storica con la polemica politica, la quale si fa, e si deve certamente fare, ma in altro luogo16.
Angelo Tasca, uno dei fondatori del Partito comunista dâItalia, pubblicĂČ nel 1938 sulle origini del fascismo un libro considerato ancora oggi un classico17. Era del resto nella tradizione marxista, fin dai suoi iniziatori, lâambizione di scrivere a caldo saggi in cui la interpretazione storica fosse funzionale alla battaglia politica18.
Marc Bloch sostenne che ogni generazione ha il diritto di scrivere per prima la storia degli eventi di cui Ăš stata partecipe, di darne cioĂš una prima sistemazione, che diventerĂ poi una fonte privilegiata per i futuri storici. Tradizionalmente si riteneva invece che almeno una generazione dovesse passare prima che gli eventi entrassero nella storia, mentre â notava ironicamente Schlesinger â «gli storici di una volta richiedevano almeno un millennio»19. Bloch stesso diede la prova della sua asserzione scrivendo nel 1940 un appassionato e limpido libro sulla catastrofe patita dalla Francia20. Era il medesimo Bloch che nel 1914 agli studenti del liceo di Amiens si era presentato con queste parole:
Il passato costituisce la materia del mio insegnamento. Vi racconto battaglie cui non ho assistito, vi descrivo monumenti scomparsi ben prima della mia nascita, vi parlo di uomini che non ho mai visto21.
I vecchi pregiudizi contro la storia contemporanea vanno in veritĂ trasformati in problemi che aiutino a porre su basi piĂč critiche e piĂč solide questo ramo della storiografia. Ad esempio, avere partecipato ai fatti accresce la attendibilitĂ dello storico? oppure i posteri sanno comprendere meglio dei protagonisti? non puĂČ anche accadere che talvolta la posteritĂ , come diceva Thompson, pecchi di «enorme alterigia»?22
Alla prima domanda la storiografia greca tendeva a dare una risposta positiva, in seguito da essa stessa superata23. Uno scrittore tardo latino, spostando lâaccento dallâavere visto allâavere partecipato, scrisse che
Si ritiene che la «storia» differisca dagli «annali» in questo: in entrambi i casi si tratta di narrazione di cose avvenute, tuttavia la «storia» tratta in specifico di quelle alle quali colui che narra abbia partecipato in prima persona24.
Ă questa una formula che ben si attaglia a quegli uomini politici che sono anche storici e non solo memorialisti. Era convinzione di Adolphe Thiers che
il momento in certo qual modo ideale per scrivere la storia Ăš forse quello in cui i protagonisti, svincolati dallâazione e liberati dalle passioni che li hanno mossi, conservano il ricordo degli avvenimenti sui quali hanno esercitato la loro influenza25.
Oggi non Ăš proponibile una posizione che, invertendo i vecchi pregiudizi, da una parte darebbe alla contemporaneistica, o meglio ai contemporanei in senso stretto, un assurdo monopolio della correttezza storica, dal...