Rinascimento digitale
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Rinascimento digitale

Gianluca Genovese, Emilio Russo

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Rinascimento digitale

Gianluca Genovese, Emilio Russo

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Quali sono le ragioni della fortunatrasversale e solidissima delRinascimento oggi nell'immaginarioglobale – letterario, filmico, artistico – e negli studi? Quali nessi profondi vi sono tra la rivoluzione dellastampa, decisiva per quel periodostorico, e la nuova rivoluzione nellaquale siamo immersi, ossia il mondodel digitale? E quali sono i rischima soprattutto le opportunità diquesta inedita soglia tecnologica –"da Gutenberg a Google" – per laconservazione e l'interpretazionedell'immenso patrimoniolibrario, artistico, scientifico delRinascimento? A partire da questedomande, che si inscrivono nelvivace dibattito critico odiernosulle digital humanities, e attraversol'illustrazione di alcuni interessantie innovativi progetti di frontiera, il volume intende avanzare proposteconcrete per costruire ambientidi ricerca e di diffusione dellaconoscenza unitari e aperti, conattenzione particolare sia ai nuovi modelli tecnologici e cognitivi siaalla "nuova normalità" della societàdopo la pandemia.

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1

RINASCIMENTO, AMBIENTI DIGITALI, COMPLESSITÀ: PER UNA VISIONE COSTRUTTIVA*

di Emilio Russo

1.1. Tanti Rinascimenti

Poche categorie godono di una fortuna così larga e trasversale nella cultura contemporanea, e persino nel linguaggio quotidiano, come quella di Rinascimento: può capitare di sentir parlare di nuovo Rinascimento in relazione alle esperienze più varie, oppure di vedere il Rinascimento assegnato come etichetta qualificante anche a contesti culturali molto distanti tra loro. Tutto ciò avviene non soltanto in Italia o in Francia, o in genere in Europa, dove la stagione del Rinascimento ha lasciato presenze ancora tangibili, ma anche fuori d’Europa, a testimonianza di una forza profonda del concetto, che sembra trascendere i confini di tradizioni assai differenti.
La nascita e l’applicazione originaria dell’idea risalgono come è noto alla fine dell’Ottocento (una discussione in Huizinga, 2015), quando la formula di Rinascimento fu proiettata su quella ricchissima e controversa stagione della cultura italiana consumatasi tra Quattrocento e Cinquecento. Da allora, senza interruzioni e anzi con un rinnovato vigore negli ultimi decenni, la riflessione su cosa è Rinascimento, sui suoi caratteri essenziali, sui luoghi, sui tempi, sui limiti è diventata una pratica quasi obbligata per gli studiosi (Gardini, 2010; Gargano, 2016). Di qui le diverse letture proposte, a seconda dei contesti e delle discipline: c’è un Rinascimento per gli storici dell’arte e uno per gli storici del pensiero o per gli storici della letteratura, o anche nel solo ambito letterario c’è un Rinascimento di area italiana, che è assai diverso e più contenuto dell’arcata di lungo periodo immaginata dagli studiosi di area anglosassone, per i quali le radici del movimento culturale risalgono indietro fino a Petrarca (Wyatt, 2014). In modo quasi naturale, dunque, il termine è stato in più occasioni declinato al plurale: tanti Rinascimenti (per esempio Goody, 2010; Crouzet Pavan, 2012), per cercare di ricollegare a un’unica categoria, percepita come un elemento qualificante, fenomeni complessi. Eppure, a dispetto di queste declinazioni, e dunque dell’inevitabile margine di ambiguità, il Rinascimento rimane non solo una categoria storiografica non aggirabile, ma anche un oggetto privilegiato degli studi a livello internazionale. Come se, al di là delle differenze, in quella stagione o almeno nel suo nucleo più caldo e seminale, nei suoi capolavori e nella sua dinamica di ripresa congiunta a una stagione di crisi e di guerre a livello europeo, si intravedesse la formazione di elementi decisivi per la successiva storia della cultura occidentale.
Si tratta di una ricchezza di ricerche che, da un quarto di secolo, e secondo una progressione geometrica, si è naturalmente riflessa in ambiente digitale. Le possibilità offerte dagli strumenti informatici hanno stimolato in questi ultimi anni indagini di taglio diverso ma tutte imperniate sulla categoria di Rinascimento. Si può dire anzi che, per un concorso di ragioni (e in primo luogo per la ricchezza dei fenomeni culturali e per la numerosità degli studiosi coinvolti a livello internazionale), nessun periodo storico possa oggi vantare una quantità analoga di ricerche con esiti digitali; con l’effetto di rafforzare quella sorta di rispecchiamento, affascinante e largamente percepito, tra la stagione del Rinascimento e l’età contemporanea, tra gli effetti di lunga durata indotti dalla rivoluzione del libro e il cambio di orizzonti determinato dalla rivoluzione digitale (cfr. quanto detto nell’Introduzione). Nelle pagine che seguono proverò a ragionare sulla nascita e sullo sviluppo di alcuni di questi progetti, sulle loro caratteristiche e sugli sviluppi che paiono possibili, o auspicabili, nell’ottica di una migliore conoscenza allargata della stagione rinascimentale.

1.2. Schedare il Rinascimento

Gli esempi a disposizione per l’incrocio tra Rinascimento e digitale sono numerosi, e possono essere distinti in funzione delle istituzioni di ricerca, pubbliche o private, che hanno dato vita alle iniziative, a partire dal lungimirante progetto della Mellon Foundation dedicato al Fondo Medici dell’Archivio di Stato di Firenze (Medici Archive Project: www.medici.org), un progetto partito negli anni Novanta del secolo scorso, con una progressiva evoluzione degli obiettivi e degli strumenti digitali, fino alla realizzazione di una piattaforma chiamata MIA, lanciata nel luglio del 2020, che tende a superare i confini pure larghissimi dell’Archivio fiorentino per incrociare i dati relativi alla casata dei Medici e alla sua ramificazione in Europa con quelli appartenenti ad altre collezioni (così la presentazione: «an interactive platform of a much vaster scale and with superior malleability dubbed MIA (www.mia.medici.org). Its principal aim is to allow scholars to organize, store, share, qualify, and preserve the millions of documents pertaining to the Medici»). Passando da Firenze a Ferrara, e sempre assumendo come perno i documenti relativi a una grande corte italiana, grazie alla collaborazione di una serie di istituzioni, dall’Università della California a quella del North Carolina all’Archivio di Stato di Mantova, è stato promosso lo studio mirato dell’archivio di Isabella d’Este, un progetto descritto all’interno di questo stesso volume nelle pagine di Deanna Shemek (cfr. anche Shemek, 2019). Un progetto analogo, per le tante istituzioni coinvolte e per l’apertura europea dell’indagine, viene lanciato in questi mesi sui Farnese, sotto il coordinamento di Paolo Procaccioli: esso mira in prima istanza alla realizzazione di una schedatura su web dell’imponente documentazione di archivio disponibile e insieme alla realizzazione di una Enciclopedia Farnesiana (su questo aspetto cfr. oltre).
Ancora di taglio internazionale e con base soprattutto statunitense, l’iniziativa su una mappatura della repubblica delle lettere nei secoli XVI-XVIII avviata a Stanford, Mapping the Republic of Letters (http://republicofletters.stanford.edu/), dedicata alla ricostruzione di quella rete fittissima di natura epistolare che ha rappresentato per secoli il principale canale di comunicazione tra filosofi e scienziati e di diffusione delle loro idee e delle loro scoperte. Tra gli enti sostenitori di questa iniziativa (insieme al CNRS francese, a un gruppo di ricerca olandese, e al Politecnico di Milano) anche l’Università di Oxford, che si è poi fatta promotrice, a partire dal 2015, di un progetto di scala europea dedicato allo studio sulle reti epistolari di prima età moderna, dal titolo assai simile: Reassembling the Republic of Letters (http://www.republicofletters.net/). I numeri delle lettere censite all’interno sono impressionanti (http://emlo.bodleian.ox.ac.uk/), grazie alla federazione di indagini monografiche che vengono raccordate secondo alcuni elementi comuni e che possono così essere interrogate in modo congiunto.
Guardando a questi e a molti altri progetti, sono diversi gli aspetti che meritano una riflessione. In primo luogo, l’indirizzo comune, nel senso di una complessiva schedatura e archiviazione di grandi quantità di dati, poi resi disponibili per una consultazione a diversi livelli da parte degli utenti. Sul versante del Rinascimento la prima istanza è stata dunque quella di una raccolta indirizzata sui filoni principali delle fonti storiche, e innanzitutto sui bacini epistolari come fattori di connessione tra i diversi poli geografici, tra i diversi protagonisti di quella cultura. Gli strumenti della rete informatica si sono dunque presto indirizzati a un’archiviazione e valorizzazione della rete di contatti, e innanzitutto di contatti epistolari che ha rappresentato il tessuto connettivo della cultura europea di prima età moderna; esperimenti di visualizzazione dinamica di questa rete consentono di coglierne l’ampiezza, gli snodi più importanti, di tessere in modo dinamico i fili della corrispondenza di Galileo, in prospettiva di Bembo o di Erasmo (su questo versante si possono ricordare in particolare le ricerche e l’elaborazione teorica portate avanti al Density Design del Politecnico di Milano).
Si è venuta così a creare un’infrastruttura ormai abbastanza solida e che consente di procedere verso ulteriori ricerche. In questa primaria azione di schedatura colpisce la scarsa rappresentanza, in proporzione, di iniziative sul versante storico-artistico del Rinascimento, anche in ragione di precise condizioni nella diffusione digitale del patrimonio, la cui realizzazione viene svolta soprattutto dagli enti conservatori. Fra le eccezioni meritano una segnalazione i progetti portati avanti dalla Fondazione Memofonte tra Pisa e Firenze (www. https://www.memofonte.it/), con schedature di storici progetti editoriali centrati su Michelangelo e Vasari; si tratta di un bagaglio che si ricollega al magistero di Paola Barocchi (tra le sue iniziative un pionieristico Centro di Ricerche Informatiche per i Beni Culturali, CRIBeCu, avviato alla Scuola Normale di Pisa già negli anni Novanta del Novecento, cfr. Carrara, 2020), e poi all’origine di una serie di esperienze successive (per un quadro, Bolzoni, 2017).
A un livello generale va poi sottolineata la centralità della materia italiana in progetti promossi a livello internazionale, che può considerarsi l’effetto del riconoscimento generale di una fase d’avvio del Rinascimento che muove appunto dalla nostra cultura e che trova i punti di irradiazione nelle sue principali corti, da Firenze a Ferrara, da Parma a Mantova, ma soprattutto a Roma, nell’avvicendarsi dei diversi pontefici. A livello italiano, d’altra parte, pare potersi registrare una programmazione meno vivace, con la significativa eccezione dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, un istituto fondato già nel 1937 e che negli ultimi anni ha portato avanti diversi progetti all’interno di una Biblioteca Digitale, rivolta però in primo luogo a studiosi e specialisti (https://www.insr.it/). Ultimo aspetto preliminare, collegato a quanto appena detto, è l’apertura internazionale che si riscontra in modo naturale nella creazione di questi ambienti digitali, in progetti che vedono la collaborazione di studiosi e istituzioni di paesi diversi, e che mirano alla realizzazione di strutture policentriche e modulari, con un’efficacia assai maggiore di quanto non avvenisse in passato in sede di ricerca tradizionale, destinata alle pubblicazioni cartacee.

1.3. Condizioni, limiti, possibilità

Questo panorama sul Rinascimento digitale si è determinato soprattutto nel corso degli ultimi dieci anni, in una fase di più decisa esplorazione delle possibilità offerte dall’intreccio tra ricerca umanistica e mondo informatico, una fase che ha visto a livello generale il riversamento su web di enormi quantità di dati. Un orizzonte del tutto inedito, effetto non soltanto delle varie iniziative di ricerca, ma soprattutto da interventi di portata più generale: la proiezione su web dei cataloghi delle maggiori biblioteche nazionali europee (basta pensare all’ampiezza del progetto Gallica, realizzato dalla Bibliothèque Nationale de France) e la massiccia operazione di scansione e pubblicazione su web di opere e manoscritti relativi ai secoli del Rinascimento, prima lanciata da Google (per gli effetti su lettori e studenti cfr. Italia, 2016) e che ha oggi il suo punto di riferimento più avanzato dal punto di vista tecnologico, e forse anche il più rilevante in termini di collezioni storiche, nella digitalizzazione in corso dei manoscritti e delle stampe antiche della Biblioteca Apostolica Vaticana (https://digi.vatlib.it/). Non è difficile immaginare che questa dinamica possa proseguire anche nei prossimi anni, con un effetto di copertura esaustiva della produzione culturale dei secoli di antico regime, anche in una situazione nella quale la digitalizzazione massiva non sembra essere più l’indirizzo privilegiato a livello di istituzioni internazionali, e soprattutto in termini di linee guida nei programmi della Comunità Europea.
È un quadro in continua evoluzione, ma che nei suoi tratti generali può essere analizzato da prospettive diverse e che si presta a valutazioni in qualche misura antitetiche. Appare possibile da un lato sottolineare il rischio di semplificazione e di appiattimento di progetti mirati in primo luogo alla raccolta e alla schedatura di un gran numero di dati (persone, relazioni, oggetti), con un approccio quantitativo che rischia di andare a discapito delle più raffinate indagini qualitative necessarie per valorizzare i fenomeni culturali. Connesso, poi, c’è d’altra parte il rischio che la proiezione su web di materiali dei secoli passati sia condotta all’insegna dell’eccessiva attualizzazione, producendo anacronismi e prospettive distorte. Anche qui gli esempi non mancano: merito di Lorenzo Tomasin è aver sottolineato l’aspetto di banalizzazione potenzialmente insito in un progetto dal titolo pure affascinante, Venice Time Machine; promosso dall’Università di Losanna, il progetto prometteva una sorta di immersione nella macchina del tempo, con la possibilità di muoversi per le vie della Venezia del Rinascimento a partire da una digitalizzazione massiva e da una codifica semiautomatica dei documenti conservati all’Archivio di Stato di Venezia. Altrettanto vistosa la discrasia presente nell’accostamento proposto alcuni anni fa tra le dinamiche culturali relative alle accademie dei secoli XVI-XVII, studiate in un importante progetto sostenuto dalla British Library e coordinato da Jane Everson (https://www.bl.uk/catalogues/ItalianAcademies/Default.aspx), e il meccanismo degli odierni social-network in termini di reti di relazioni, di contatto, di scambi. Si tratta di avvicinamenti utili magari per sollecitare curiosità e lanci giornalistici, ma che possono legittimare uno sguardo semplificato rivolto all’indagine sul passato, vista soltanto in chiave di una valorizzazione del presente. Con il rischio che il presente senza storia di cui parlano preoccupate diagnosi di diversi studiosi come tratto dominante nella cultura contemporanea possa diventare un presente transtemporale, unica unità di misura per leggere ogni epoca (Prosperi, 2021). Non, dunque, ogni storia come storia contemporanea, secondo la celebre proposta di Croce, ma il contemporaneo come unica storia possibile.
Più in generale, come già detto, in questa impetuosa crescita dell’intreccio tra strumenti informatici e ricerca umanistica, e nel rilievo crescente degli elementi quantitativi come criteri impiegati per la valutazione e il finanziamento dei diversi progetti, è stato visto un elemento di ulteriore indebolimento dello statuto delle scienze umane. Anche dunque sul versante degli studi storici, su quelli della storia della letteratura come su quelli della storia dell’arte, si potrebbero determinare nel medio periodo, in un contesto non troppo lontano, quegli effetti potenzialmente negativi che sono stati in più occasioni segnalati (cfr. Tomasin, 2017) come conseguenze nell’ambito delle scienze umane della “quarta rivoluzione” (Roncaglia, 2010; ma soprattutto Floridi, 2017).

1.4. Prove di collaborazione

È possibile, d’altra parte, assumere una visione costruttiva, cogliere nel quadro degli studi una serie di elementi incoraggianti, sia pure al netto di ogni facile ottimismo. Ed è una prospettiva che si fonda sul medesimo dato di partenza, sull’addensarsi dei progetti, sulle enormi quantità di dati a disposizione. Osservando, come dall’alto, quanto avvenuto a partire da inizio secolo, e assumendo come perimetro appunto i progetti dedicati al Rinascimento, si ha la sensazione di una iniziale colonizzazione di un territorio vastissimo, potenzialmente infinito, svoltasi in modo spontaneo e irregolare. Dopo questa prima stagione, come riflesso di fronte all’improvvisa disponibilità di una massa di dati difficile da comprendere, è maturata una spinta di natura opposta, centripeta, verso la riorganizzazione e il coordinamento. Man mano che si sono infittite le foreste digitali, o che si sono accumulati progetti ormai inerti, a popolare quelli che, con un’immagine forte, vengono definiti i cimiteri informatici si è fatta strada una tensione alla coesione tra le diverse iniziative: divenuto presto chiaro che l’eccessiva parcellizzazione e la possibile deperibilità delle indagini si ponevano come rischi a bilanciare la tendenziale facilità nell’accendere progetti digitali, sembra essere dunque in corso un’inversione di tendenza.
È, va detto, una fase appena avviata, non tanto un risultato quanto piuttosto ancora una linea in via di definizione, suggerita da riflessioni che si levano da più parti. Gli esempi nell’ambito degli studi sul Rinascimento sono ancora limitati, ma alcuni modelli sono già disponibili. Penso, su un segmento storico precedente, al lavoro di coordinamento di progetti e ricerche realizzato dalla Fondazione Franceschini e dalla Sismel e reso disponibile nel portale Mirabile (http://www.mirabileweb.it/), con il sottotitolo eloquente di Archivio digitale della cultura medievale. Il portale offre una messe assai ricca di notizie sui manoscritti, pubblicazioni scientifiche, digitalizzazioni di materiali che consente un attraversamento a più livelli della stagione medievale e che arriva fino alle porte dell’età rinascimentale. Penso anche all’immagine evocativa di Aracne. Red de Humanidades Digitales y Letras Hispánicas, costruita in ambito iberico attraverso una connessione di diverse risorse relative ai secoli XVI-XVII (http://www.red-aracne.es/presentacion; una riflessione in Pena Sueiro, Saavedra Places, 2019), oppure alle Bibliothèques virtuelles humanistes messe insieme da un centro di ricerca francese a Tours coordinato da Chiara Lastraioli, con indagini che spaziano da Rabelais a Montaigne fino alla diffusione di libri e autori italiani nell’Europa del Rinascimento.
Un’iniziativa italiana che si muove nella stessa direzione è quella del progetto di Archivi del Rinascimento (https://www.archivirinascimento.it/), nato della federazione di progetti di ricerca italiani, inglesi, svizzeri, dedicati ai manoscritti, alle edizioni, alle lettere degli scrittori italiani tra fine Quattrocento e inizio Seicento. Un progetto che, seppure agli inizi (l’avvio è della primavera 2019) e ancora in fase di allargamento, presenta due elementi significativi: la collaborazione con l’ICCU, l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico, struttura del Ministero dei Beni culturali italiano, e insieme con le Università di Oxford e Warwick, e dunque una concreta collaborazione tra atenei italiani, atenei stranieri e istituzioni centrali, e un numero di accessi già adesso molto significativo, a conferma dell’esistenza di un bacino larghissimo di interessi e di pubblico sulla cultura del Rinascimento.
Sono esempi diversi ma che appaiono concordi nello spirito di partenza, nella scelta di collegare insieme, entro cornici condivise, progetti nati in forma autonoma; esprimono dunque bene la necessità di un superamento della frammentazione. Si tratta di una tendenza che può essere vista come un elemento di discrimine, proiettando anche su questo versante, sulle questioni del Rinascimento europeo, lo sviluppo prospettato da Gino Roncaglia in un volume recente (Roncaglia, 2018). Nella valutazione di questa dinamica non occorre pensare al solo dato iniziale, pure rilevante, della fusione di banche dati separate, al determinarsi cioè di una sorta di sostegno reciproco tra progetti di ricerca che, attraverso la collaborazione, acquisiscono forza e visibilità. Lo scarto quantitativo potrebbe preludere a uno scarto qualitativo, determinando la nascita di ambienti digitali nei quali l’integrazione dei dati si possa accompagnare con l’elaborazione e con la diffusione di nuove conoscenze: questi ambienti digitali potranno allo stesso tempo offrire l’accesso a fonti manoscritte e materiali d’archivio, con il supporto di una descrizione scientifica e allo stesso tempo con una presentazione destinata a un pubblico più vasto. Non solo dunque strumenti di ricerca, ma anche luoghi di presentazione delle ricerche sul versante specialistico, e insieme luoghi di “disseminazione” delle conoscenze in termini di divulgazione alta e qualificata. Il coordinamento tra progetti autonomi, attraverso la condivisione di alcune caratteristiche strutturali, e nel rispetto degli standard internazionali oramai definiti, potrebbe inoltre determinare nei prossimi anni un consolidamento anche in termini schiettamente scientifici, con una migliore focalizzazione del Rinascimento europeo, grazie anche all’accostamento di prosp...

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