Entrarono nel palazzo poco prima di mezzanotte. Dallāingresso principale. La strada era deserta, cadeva una pioggerellina improvvisa, da qualche finestra aperta filtravano la luminescenza dei televisori e il suono ovattato di un allegro battibecco di voci. Il Motaro non credeva ai suoi occhi.
ā Ma allora ĆØ vero che cāhai le chiavi! E te lāha date āsto principe!
ā Te lāavevo detto.
ā Me sei sicura che nun ce sta nessuno?
ā Ho telefonato dieci volte, stai sereno.
ā Certo che āsto principe ĆØ proprio matto! E tu manco ce sei annata a letto?
ā Motaro, tāho detto de statte zitto, va bene?
E cosĆ la Svedese non mentiva. Diciamo che erano ospiti non previsti, ma comunque non intrusi. Cāho una cosa mia da riprendere, ĆØ tutto a posto, aveva detto. Quasi quasi toccava crederle.
Una casa cosĆ il Motaro non lāaveva mai vista. Manco nei video della trap, dove pure abbondavano arredi e simboli del lusso. Intuiva, senza poi rendersene pienamente conto, che quei mobili, i divani, le statue, i quadri, i ninnoli, i marmi, le maioliche, le fotografie nelle cornici ovali, non erano che lontani parenti della roba che, per dire, si comperavano tipi come lāAquilotto o Jimmy. Questa era una ricchezza di genere diverso. Metteva soggezione. Spaventava persino. Con lo zainetto che portava a tracolla, urtĆ² sbadatamente un gattino di cristallo. Cadde su un tappeto, con un rumore sordo.
ā E staā attento!
ā Nun lāho fatto apposta, Sharo!
Si chinĆ² e raccolse lāoggetto. Si era scheggiato da un lato. Pazienza. Lo posĆ² su un tavolino, fra una teiera e una specie di vaso cinese, poi ci ripensĆ² e lo mise nello zaino. Anche se mezzo rovinato, qualcosa ci si poteva tirare su. Sharo non se nāera accorta. Andava dritta per la sua strada. Con una noncuranza che metteva invidia. E si vede che cāera abituata. Beā, a lui stavano venendo altre idee. Tipo, fargli uno sfregio qua, un taglietto lĆ ā¦ cominciava a capire quei ladroni che dopo aver fatto lo sgobbo in certe case lasciavano un ricordino solido e puzzolenteā¦ era un modo di dire: ma chi cazzo ti credi di essere, eh? Io soā passato de qua e te lo faccio sapere, tāho fatto piagne, sta bene? Ma se si fermava davanti a qualche brutta faccia di vecchia di trecento anni prima dipinta con un cane pieno de pulci in braccio, Sharo lo tirava via, nervosa e imperativa.
Lui a Sharo ci teneva, chiaro. Gli era entrata dentro sin dalla prima volta che si erano incontrati. Una pischella linda e pinta di sedici anni con lāaria della studentessa seria, ma dentro agli occhi si leggeva quel fuocoā¦ il Motaro aveva allungato le mani, e si era beccato uno schiaffone. Lei non poteva ricordarselo perchĆ© era carnevale, e lui portava una maschera da teschio. PerĆ² lāaveva capita. Con lei non dovevi scherzare. Moā stavano sotto a quel pecoraio di Jimmy, ma dalle tempo, alla Svedeseā¦ E il principe? ChissĆ che storia cāaveva veramente, coā āsto principe. Dice che gli piacevano i maschi e quindi non cāera stato niente di serio. Il Motaro ci credeva e non ci credeva. Che, si lasciano le chiavi di casa cosĆ a una che te porta la robaā¦ perchĆ© era di questo che si trattava, in fondoā¦
ā Secondo te mi assomiglia?
La domanda di Sharo lo distolse dai suoi pensieri. Era ferma davanti a una specie di busto, sembrava un mezzo manichino di quelli che al centro commerciale ci mettono sopra i cappelli e altre cose di donne. A guardare meglio, era una statua. Con dei capelli curiosi, e dietro uno sbrego sulla schiena, come se portasse un costume da animale.
ā A te? āSta cosa? E chi lo dice?
ā āSta cosa si chiama Lamia, ā spiegĆ² lei, con un certo disprezzo.
ā E che nome sarebbe? Che, ĆØ ebrea?
ā Ć una donna-serpente. Roba dellāantica Grecia.
ā Davero? Me pare Batman vestito da donna! Comunqueā¦ Piacere, Lamia, io soā Luca, ma me chiamano Motaro, ā scherzĆ² lui, ā me dispiace, Lamia, ma secondo me con la Svedese tu non cāentri proprio niente, e lei ĆØ molto, molto mejo de teā¦
A Sharo scappĆ² un sorriso. Il Motaro, Fabioā¦ le voci del suo mondoā¦ qui, nella dimora principescaā¦ comāera tutto stonato, fuori faseā¦
ā Ammazza quanto pesa!
ā Rimettila giĆŗ, Motaā.
ā Sharo, magari vale un sacco di soldi. Se vuoi, ce la portiamo.
ā Ć una copia, non vale la pena.
ā Se lo dici tuā¦
ā Andiamo, vaā.
ā E che fretta cāĆØ? Cāamo le chiavi, il principe ĆØ amico tuo, nun cāĆØ furto, nun cāĆØ dannoā¦
ā Non ĆØ una visita di cortesia. Prendiamo quello che ci serve e ce ne andiamo.
Il Motaro rinunciĆ² a obbiettare. Dopo tutto, il capo della spedizione era lei. Scesero attraverso una scala interna. Il Motaro si aspettava una cantina o qualcosa di simile, e invece era un altro appartamento, anche questo arredato a puntino. Cāera una sala grande con una ventina di poltrone e uno schermo ā morteā, il cinema in casa! ā e una specie di taverna con un camino e un grosso tavolo da biliardo. Sharo si diresse alla rastrelliera, tirĆ² una stecca, svelando un pannello mobile che occultava una piccola cassaforte. Il Motaro non credeva ai suoi occhi. Manco lāultima serie coā Arsenio Lupin! Ma le sorprese non erano finite. Il Motaro cominciava a chiedersi come avrebbero fatto a forzare la serratura, quando Sharo, in pochi secondi, aprĆ la cassaforte.
ā Ma che, sapevi pure la combinazione?
ā Prendi.
Senza degnarsi di rispondere, Sharo gli passĆ² un fascio di banconote.
ā Sharo, a occhio e croce sarannoā¦
ā Conta.
Il Motaro obbedĆ. Erano tutti tagli da cento, duecento e cinquanta euro.
ā Soā quindici sacchiā¦
Sharo, sempre china nel vano della cassaforte, prese altre banconote, le contĆ² e poi le porse al Motaro.
ā Con queste fanno venti.
Le banconote andarono a raggiungere il gattino di cristallo. Il Motaro sbirciĆ² da sopra le spalle di lei.
ā Sharo, lĆ dentro ce stanno almeno altri venti testoni.
ā E allora?
ā E quelle soā bocce de Ā«GinaĀ».
ā Lo vedo da me, Motaro.
ā Voglio dire, visto che se trovamoā¦
ā Non se ne parla. Abbiamo preso quello che ci serviva. I venti per Jimmy e basta cosĆ.
ā Ma perchĆ©?
ā PerchĆ© sĆ, e moā piantala di rompere.
Ma lui non se ne dette per inteso. Le girĆ² intorno, tuffĆ² le mani nel vano della cassaforte, arraffĆ² unāaltra manciata di banconote e una boccia di Ā«GinaĀ» e depositĆ² il tutto nello zainetto.
ā Ma sei scemo? Rimetti a posto, Motaā!
ā Daje, Sharo: questa nun ĆØ roba tua che ti stai riprendendoā¦
ā Cambia qualcosa? Ć un prestito! Prendo quello che mi serve e appena posso lo restituisco.
ā Ma famme ride! ā E qui lui si fece serio, o almeno cercĆ² di sembrarlo. ā Prestito! Qua stamo a rubaāā¦ io nun ce credo che āsto principe la prende a scherzoā¦ ĆØ tanto se non chiama le guardieā¦
ā Non lo farĆ . Rischia troppo.
ā Ć uguale, Sharo. Dopo stasera, col principe hai chiuso. E allora tanto vale portasse avanti col lavoro, no?
Con la sua ruvida logica da coatto, il Motaro la stava riportando alla realtĆ . Ma sĆ, ma che si credeva, povera Svedese! Il principe si sarebbe sentito tradito. Il Motaro non aveva tutti i torti. Eppure, ancora esitava.
ā Che poi, ā il Motaro incalzava, eccitato, ā ripaghiamo Jimmy, e con quello che avanza e tutta āsta Ā«GinaĀ» possiamo alzare altri venti-venticinque sacchi solo per noiā¦ cambiamo zona, lassamo perdeā le Torriā¦ lāhai sempre detto, no, che le Torri te fanno schifoā¦
ā Il ragionamento del tuo amico non fa una piega, Svedeseā¦
La voce del principe suonava beffarda, con un fondo di amarezza. Sharo lāaveva riconosciuta subito. Mentre il Motaro si girava, fra lo spaventato e lo sbigottito, lei se ne restĆ² ostinatamente di spalle, fissando la cassaforte aperta.
ā Oh, ā strillĆ² il Motaro, ā faā piano cor cannone, a coso!
ā Ti sei portata appresso la guardia del corpo, Sharo? ā ancora il principe, tagliente, questa volta.
Lei si voltĆ² con lentezza. Il principe era su una sedia a rotelle. Indossava un kimono di seta azzurra. Accanto a lui cāera Renzino, maglietta nera e jeans. E un fucile puntato contro il Motaro.
ā Oh! Ma io te conosco! Tu sei quello della televisione che ĆØ venuto alla festa der Tovajaā¦ ā sbottĆ² il Motaro. ā Ma che niente nienteā¦
ā SĆ, sono io il famigerato principe. Complimenti per la memoriaā¦ ma vorrei essere lasciato solo con la mia amica Svedese, se possibile.
Renzino agitĆ² il fucile, indicando la direzione della sala di proiezione. Il Motaro si avviĆ².
ā Le consiglio di non azzardare pericolose iniziative, ā ammonĆ il principe, rivolto al Motaro. ā Renzino viene dai corpi speciali, ha unāottima mira e credo che non gli dispiacerebbe darvene concreta dimostrazioneā¦ vi raggiungeremo fra qualche minuto nel salottino della Lamia.
Renzino scortĆ² il Motaro, annuendo. Per un istante il suo sguardo sarcastico incrociĆ² quello della Svedese. Lei non riuscĆ a sostenerlo. Il principe girĆ² la carrozzina e le fece segno di sedere su una delle poltroncine davanti al camino.
ā Sta male, principe? ā domandĆ² Sharo.
ā Una recrudescenza di un problema che credevo di essermi lasciato alle spalle. Ma niente di irrimediabile, spero. Allora, Svedeseā¦
ā Non avevo scelta, principe. Per me ĆØ diventata una questione di vita o di morte.
ā Una scelta cāĆØ sempre, Sharo. Bastava chiedere. Ti avrei dato tutto ciĆ² che ti serviva.
ā Chiedere? E a chi? AvrĆ² telefonato cento volte, non risponde mai!
ā Esistono i messaggi, cara. Principe, mi servonoā¦ quanto ti serve, esattamente?
ā Ventimila.
ā Ecco. Mi servono ventimila, potrebbe aiutarmi? Ti avrei risposto subito.
Ora che lo osservava meglio, si rendeva conto di quanto fosse sciupato, sofferente. Quella magrezza, quelle grinze sul voltoā¦ No, non aveva pensato a lasciare un messaggio, perĆ² lui non lāaveva mai richiamata. Se cāera un legame fra loro, perchĆ© lo aveva interrotto? Era stato lui a interromperlo!
ā PerchĆ©, stava sempre col telefono attaccato allāorecchio?
ā Aspettavo un tuo segnale, Sharo.
Ah, ecco. Aspettava il segnale. Ah, ecco come stavano le cose. Lāaveva osservata, studiata, e infine lāaveva presa in trappola. Se era vero quanto le stava dicendo ā e non cāera motivo di dubitarne ā per tutto quel lungo silenzio era sempre stato al corrente dei suoi tentativi di mettersi in contatto. Lāaveva lasciata fare, senza mai manifestarsi. Aspettava un segnale, chiaro. E il segnale era arrivato. Era lāirruzione con Motaro. Quello era il segnale. Sharo capĆ che si era trattato di una specie di prova dāesame. Faceva tutto parte di un disegno programmato: Lamia, Pigmalione, le chiavi di casa, la combinazione...