Il populismo gesuita
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Il populismo gesuita

Perón, Fidel, Bergoglio

Loris Zanatta

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Il populismo gesuita

Perón, Fidel, Bergoglio

Loris Zanatta

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Perón, Castro, Chávez, i grandi leader populisti dell'America Latina sono uniti da un filo rosso che attraversa la storia del continente: l'utopia cristiana del Regno di Dio sulla terra. Una teologia politica che ora, con papa Francesco, è arrivata fino al soglio di Pietro.

Un filo rosso attraversa la storia latinoamericana. Risale alla Conquista, passa per le missioni del Paraguay, subisce l'espulsione borbonica, incrocia le spade col liberalismo, risorge coi populismi fino ad approdare a Roma, al soglio pontificio. È il filo gesuita, custode di una poderosa visione del mondo che impregna l'universo morale e materiale dell'America Latina.Suo cardine è l'utopia cristiana, il sogno del Regno di Dio in terra, impermeabile alla corruzione del mondo e della storia; suo modello la cristianità coloniale, Stato cristiano dove si fondevano unità politica e unità spirituale, suddito e fedele. L'ordine sociale? Un organismo naturale conforme alla volontà di Dio. Gerarchia, unanimità, corporativismo erano i pilastri; la fede il collante; lo Stato etico il guardiano. Peronismo, castrismo, chavismo: i più potenti populismi latini sono uniti da quel filo. Da esso emana la teologia del popolo che ispira papa Francesco. C'era una volta, predicano, un popolo puro che viveva in armonia e condivideva una cultura formata dalla sua fede. Ma ecco le idee 'straniere', il liberalismo senza patria, i protestanti individualisti, il capitalismo egoista, il secolarismo indifferente a Dio corromperne l'anima, disgregarne l'unità, minacciarne l'identità. Contro tali eterni nemici dei popoli d'America s'erge il leader populista, redentore che brandendo la croce della fede e la spada della giustizia sottrae il popolo eletto alla schiavitù e lo conduce alla terra promessa. Non tutti i populismi latini sono gesuiti, né tutti i gesuiti sono populisti. In tutti i 'populismi gesuiti' è però evidente l'impronta gesuita. Per tutti combattere la ricchezza, fonte di corruzione, è più importante che estirpare la 'santa povertà', garanzia di moralità. Studiandoli, questo libro indaga le radici culturali delle grandi piaghe storiche dell'America Latina: autoritarismo, povertà, disuguaglianza.

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Information

Year
2020
ISBN
9788858142813

1.
L’età del sacro

Il populismo, nostalgia di unanimità

Per iniziare un libro sul populismo, seppur “gesuita”, meglio precisare come userò la parola. Giusto per capirci: è sulla bocca di tutti e più se ne parla meno ci s’intende. Capita con le parole come coi cibi: l’eccesso stomaca, finché l’abuso porta al disuso; basta, non se ne può più. Le scienze sociali fanno il loro mestiere: misurano, teorizzano, definiscono. Spiegano cos’è il populismo. Ma questo è un libro di storia: per capire cos’è, meglio spiegare da dove viene, andare alla ricerca delle radici, del senso profondo, del nucleo più intimo.
A costo di mettere il carro davanti ai buoi, di anticipare l’approdo del viaggio attraverso il “populismo gesuita”, lo chiarisco subito: penso che il populismo esprima il rimpianto di un’unità smarrita, un’innocenza perduta, un’identità dissolta; e che ambisca a restaurarle. È, in breve, una nostalgia di unanimità. So bene che è una formula letteraria: non misura, non calcola, non perimetra. Eppure evocare è talvolta meglio che definire; meno preciso, più profondo.
Così inteso, il populismo s’innesta su un antico e robusto ceppo. Alla caducità dell’uomo e all’imperfezione della storia oppone il richiamo a un popolo mitico, eterno, incontaminato. L’unanimità, l’unità organica del popolo che il populismo evoca non è un patto razionale, ma una comunità di fede che protegge dal peccato e dai pericoli del mondo. In tal senso, il populismo è un fenomeno d’origine religiosa; o meglio: è un modo religioso d’intendere la vita e la storia.
Come tale, prima ancora che un regime o un movimento, il populismo è un immaginario: una vaga galassia di credenze e valori, pulsioni e aspettative, eterea ma radicata, che si esprime in una mentalità. Assai meno strutturato di un’ideologia, tale immaginario richiama un universo morale antico adeguato a nuove epoche, contesti, congiunture, aggrappandosi, come un rampicante sui muri, a ideologie più elaborate. È un immaginario semplice, potente, malleabile: invoca la protezione di un’identità primigenia, il recupero di un’armonia naturale, il riscatto di una comunità ideale e idealizzata. A tale comunità allude la parola popolo, perno lessicale intorno a cui ruota il populismo.
Nel mondo pervaso dal sacro, tale ambizione di salvare il popolo si chiamava redenzione; nel mondo secolare prende il nome di rivoluzione, parola magica dei populismi. La fede che animava la prima diventa religione politica nella seconda: ideologia eretta a verità divina, a certificato di superiorità morale. Tale è l’ideologia dei “populismi gesuiti”. La loro crociata contro coloro cui imputano di corrompere il popolo è di tipo morale; è una guerra di religione più che uno scontro politico. Il populismo è dunque il moto redentivo attraverso il quale il popolo eletto ambisce a ritrovare la terra promessa, dove ogni frattura sarà sanata ed ogni peccato espiato. Armonia, innocenza, unità; di più, unanimità: così è il Regno, così stabilisce il piano di Dio, così vuole lo spirito provvidenzialista di cui i populismi latini sono intrisi.
Unanimità di cosa? Di ciò che di volta in volta il populismo eleva a fondamento univoco della comunità, a scrigno esclusivo dell’identità e della cultura del popolo. Un tempo era unanimità di fede: ogni nazione la sua religione. Nel mondo moderno è unanimità politica, ideologica, morale. Può fondarsi sull’etnia o sulla fede, sulla classe o sulla nazione; perfino su una virtù: onestà, giustizia, misericordia. Nel caso dei “populismi gesuiti” assume le sembianze del povero, elevato a emblema di purezza spirituale, a immagine di Cristo. Quel che conta è che il popolo del populismo vanti il monopolio della morale collettiva: è la premessa affinché incarni il Bene in eterna lotta contro il Male. Lo schema manicheo importa più del suo contenuto: in esso sta l’anima religiosa del populismo, il suo spirito redentivo.
Se l’armonia cui il populismo aspira s’è spezzata, infatti, qualcuno avrà la colpa: il nemico. Il nemico sta al populismo come il demonio al Regno di Dio. Chi è? Quello dei “populismi gesuiti” è la nascita dell’individuo moderno che minò l’unanimità della comunità organica, la rivoluzione scientifica che infranse l’aura sacra del creato, la razionalità illuminista che incrinò la simbiosi tra fede e ragione, il liberalismo che sciolse la fusione tra sfera spirituale e sfera temporale, il capitalismo che incensando la prosperità esaltò l’egoismo. Tutto ciò causò disordine, conflitto, pluralità: cose che nella visione redentiva del populismo non sono la fisiologia della condizione umana, ma patologie che attentano all’organismo sano chiamato popolo.
Tutto ciò suonerà astratto, ma un po’ di pazienza: questi concetti sono gli strumenti di bordo che useremo durante il viaggio, serviranno a illuminare la strada, a orientarci nella storia.

La cristianità ispanica

Il viaggio in cerca del filo rosso del “populismo gesuita” non può che partire dalla cristianità ispanica nelle Americhe. Fu allora, nel 1540, che nacquero i gesuiti; e fu lì, per mandato pontificio e sotto l’egida dei re cattolici, che la loro fede missionaria e la loro visione del mondo forgiarono un nuovo ordine.
Parlare di populismo a quell’epoca non ha senso: la “sovranità del popolo” era di là da venire e senza di essa, insegnano gli esperti, non c’è populismo1. Ma più che del populismo, siamo per ora in cerca delle sorgenti del suo immaginario in America Latina. È possibile rintracciarle nell’ordine sociale e spirituale della monarchia cattolica spagnola? In fondo durò tre secoli e lasciò in dote lingua e fede: mica poco. Ambiva a creare un ordine cristiano, un “regime di cristianità”; la sua missione era edificare il Regno come i grandi teologi del tempo l’immaginavano. Per servire Dio e salvare le anime, doveva essere un ordine perfetto come la Chiesa che custodiva la fede. E cosa v’era di più perfetto del corpo di colui che Dio aveva creato a sua somiglianza? Ecco dunque che l’ordine cristiano s’ispirò all’organismo umano, fu un ordine organico: così era ovunque, nell’età del sacro.
Quali erano i tratti genetici di quel mondo organico basato sulla fede? Il primo lo conosciamo: era l’unanimismo. Da un lato, l’ordine cristiano fu preservato dalla corruzione esterna, da eresie ed altre fedi: suddito e fedele erano una sola cosa. E se così era nella penisola iberica, a maggior ragione in America, laboratorio della Città di Dio al riparo dello scisma protestante. Dall’altro lato, unanimista fu il principio ordinatore del Regno. Come l’organismo cui s’ispirava, non era una somma di organi, ma un insieme che li trascendeva. Ogni organo della società aveva la sua funzione e tutti insieme un solo fine: la salute del corpo, la salvezza delle anime. Era, per dirlo in una parola, un ordine olistico. Tale principio di unanimità escludeva quello di pluralità. Come concepire un organo indipendente dagli altri? Era implicito che la cellula “inferma”, l’individuo inassimilabile, fosse sacrificabile all’unità del popolo, al “bene comune”2.
Il secondo tratto era la gerarchia. L’ordine cristiano era un organismo e ogni organo svolgeva la sua funzione, ma non tutti gli organi avevano pari importanza: un dito non vale il cuore, le comunità indiane non valevano le élite commerciali. Il flusso dell’autorità e del potere fluiva dal centro alla periferia, dall’alto in basso, dai corpi sacerdotali e militari ai sudditi e fedeli. Tale era la gerarchia di ruoli e funzioni scolpita nel piano di Dio: immota, eterna.
Terzo tratto di quell’ordine era il corporativismo. Era un ordine cetuale; ognuno aveva diritti e doveri a seconda del corpo sociale cui apparteneva. L’individuo moderno, titolare di diritti universali, era ancora ignoto, lì come altrove. I corpi davano identità e protezione; in cambio esigevano lealtà e conformismo. L’individuo era subordinato al corpo e i vari corpi formavano un pueblo, parola che indicava sia il popolo sia il villaggio, entrambi intesi come comunità omogenee per usi e costumi, cultura e religione: comunità di fede, organismi naturali.
Su di esse vegliava lo Stato cristiano. Armato di spada per convertire e di croce per evangelizzare, era uno Stato etico, per quanto lo consentiva la tecnologia dell’epoca. Sua missione era catechizzare e castigare, nei templi e nei tribunali, con la predica e gli autodafé; suo fine era moralizzare il popolo, spingerlo verso le porte del paradiso agitando la paura dell’inferno.
Tale era, all’ingrosso, la cristianità ispanica d’America. Almeno in teoria, negli intenti di teologi e utopisti religiosi. In pratica, tra utopia e realtà rimase un profondo fossato: come ogni ordine terreno, fu un edificio imperfetto e caotico3. Ma poco importa, ai nostri fini: per trovare le sorgenti del “populismo gesuita” conta più il mondo come avrebbe dovuto essere che il mondo com’era, la pulsione utopica e redentiva che l’animava piuttosto che la prosaica realtà. Tale pulsione plasmò valori e istituzioni, credenze e socialità; formò un immaginario pervasivo, una cultura intrisa di religiosità, tanto più radicata quanto meno razionalizzata. Non sarebbe valsa la pena farvi cenno se nel populismo di cui cerchiamo le remote radici non spiccassero, secoli dopo, gli stessi attributi della cristianità coloniale: unanimismo, gerarchia, corporativismo, Stato etico. Un caso? O una parentela?

Le missioni gesuite

Dove più l’utopia religiosa della cristianità ispanica s’approssimò a un compiuto sistema di governo e organizzazione sociale fu, tra il XVII e il XVIII secolo, in Paraguay, nelle missioni gesuitiche presso i guaraní: uno Stato teocratico, hanno scritto in tanti, uno Stato etico-cristiano. Non è questione di valutarne pro e contro: la tradizione cattolica le esalta, quella illuminista le demolisce; questo spiega già tante cose. È semmai utile esaminarne spirito, contenuto, effetti: mai come in quel caso, infatti, troviamo isolati, come in un laboratorio, gli elementi che, uni...

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