Capitolo quarto
Il brevetto in crisi
1. Quanto ci costa il brevetto?
Non sempre il brevetto assolve il suo compito di stimolo dellâinnovazione e della sua diffusione nella societĂ . Talvolta, infatti, il monopolio sullâuso di unâinvenzione entra in contraddizione con uno dei fondamenti del metodo scientifico attraverso cui la scienza e la tecnologia progrediscono: la riproducibilitĂ dellâesperimento, che prevede proprio la libera possibilitĂ di accedere e utilizzare le conoscenze altrui per verificarle o correggerle. In altre occasioni, come nel caso dei farmaci resi inaccessibili dai costi delle licenze, è il mercato dei brevetti a fallire lâobiettivo di fare incontrare la domanda e lâofferta, cioè i malati e le terapie. Questo è solo uno degli esempi su cui si basano le richieste di riforma del sistema internazionale dei brevetti. Ă unâesigenza recente dettata da due fattori.
Il primo è la globalizzazione del diritto brevettuale, che oggi impone le stesse regole a tutti gli Stati e impedisce che aree con particolari esigenze ambientali, sanitarie o socioeconomiche possano adottare un regime diverso e piĂš appropriato. La possibilitĂ di produrre o importare brevetti dagli Stati in cui essi costano meno, per esempio, permette agli Stati piĂš poveri di garantire cure essenziali alla popolazione. Dopo molte battaglie da parte delle organizzazioni non governative, questo diritto è stato conquistato, anche se gli accordi commerciali internazionali limitano ancora lâaccesso ai farmaci. In questo senso, in effetti, molte critiche sono rivolte al Trips, piĂš che al brevetto in sĂŠ.
Il secondo fattore riguarda lâorganizzazione della ricerca scientifica, che sempre piĂš spesso si intreccia con lâinnovazione tecnologica. In precedenza, la ricerca priva di unâimmediata applicazione commerciale non era tenuta a rispettare i brevetti e poteva disporre delle conoscenze con la massima libertĂ . Il progressivo ritrarsi dellâinvestimento pubblico nella ricerca e la crescente integrazione tra le universitĂ e le imprese hanno reso sempre piĂš labili i confini tra ricerca disinteressata e innovazione tecnologica e la stessa ricerca di base oggi deve fare i conti con il mercato dei brevetti, oltre che con le regole della comunitĂ scientifica.
Anche unâaltra forma di proprietĂ intellettuale, il copyright, è stata messa in discussione sostanzialmente per gli stessi motivi. Il diritto dâautore sul software, sullâinformazione, sulla musica e sui film, infatti, alza i prezzi, rende quasi inaccessibile il mercato legale di questi prodotti e, contemporaneamente, ne alimenta la pirateria. Le alternative però esistono: il software libero o open source, le produzioni con licenza ÂŤCreative CommonsÂť, le edizioni open access, per fare alcuni esempi, sono distribuiti con una diversa modalitĂ : lâutente ha la libertĂ di copiarli e modificarli, ma è tenuto, in base a licenze perfettamente in regola con le leggi sul copyright, a distribuire ogni opera derivata con la stessa modalitĂ . Lâimpatto del copyleft (come viene ironicamente denominato questo insieme di alternative al copyright tradizionale) è notevole: nel campo dellâinformatica, per esempio, i prodotti open source sono spesso migliori e piĂš diffusi dei concorrenti, tanto che molte societĂ anche di grandi dimensioni si stanno convertendo a questa filosofia produttiva e distributiva.
Estendere unâanaloga filosofia anche al campo brevettuale è difficile, in quanto un inventore non ha gli stessi diritti del titolare di un copyright. Questâultimo, per esempio, non ha bisogno di un riconoscimento da parte di unâistituzione esterna, mentre unâinvenzione deve essere riconosciuta dallâUfficio brevetti per dichiararsi tale. Quindi, il copyleft, limitandosi ad applicare le regole del copyright tradizionale in modo particolarmente innovativo, ha potuto diffondersi nellâattuale contesto giuridico internazionale senza attendere riforme dallâalto, che forse non sarebbero mai arrivate. Come si vedrĂ in questo capitolo, invece, le proposte di riforma del brevetto allo scopo di rimediare alle sue distorsioni si muovono tutte sul piano del diritto internazionale.
2. Lâagricoltura brevettata
I paesi in via di sviluppo conoscono una lunga tradizione di sfruttamento delle proprie risorse naturali da parte dei paesi piĂš industrializzati bisognosi di materie prime. Oggi, grazie anche allâingegneria genetica, il benessere della parte ricca del mondo può beneficiare di unâaltra risorsa detenuta in gran parte dai paesi poveri: la biodiversitĂ , cioè la ricchezza di specie vegetali e animali che permette allâecosistema di adattarsi a mutamenti climatici, epidemie o altre aggressioni esterne. In queste aree dellâAfrica, dellâAsia o del Sud America, dove lâeconomia agricola è ancora molto sviluppata, le comunitĂ contadine basano la propria sussistenza sulla conoscenza di una grande varietĂ di piante coltivate con metodi tradizionali per scopi alimentari e medicinali.
Le imprese agroalimentari e farmaceutiche dei paesi ricchi, da parte loro, hanno un grande interesse ad analizzare le caratteristiche biologiche (genetiche o meno) di tali specie, in quanto dispongono della capacitĂ tecnologica di riprodurle in laboratorio e sfruttarle su scala industriale per produrre sementi, prodotti agricoli e farmaci. Ovviamente, per le società è essenziale brevettare lâuso delle varietĂ esistenti o le nuove varietĂ create per mezzo della manipolazione del Dna. In questi casi, lâazienda dovrebbe riconoscere alla popolazione locale un compenso economico o una licenza gratuita di utilizzo dellâinvenzione per premiare lâopera di ÂŤbioprospezioneÂť, cioè lâinnovazione originaria che si intende sfruttare. Ma non sempre ciò avviene, e non tutti ritengono che si tratti di unâequa ricompensa per la comunitĂ . ÂŤSe tale sapere giĂ esiste, la concessione di un brevetto su di esso è totalmente priva di giustificazioni dato che violerebbe i principi di novitĂ e di non ovvietĂ . Concedere brevetti sul sapere indigeno equivale ad affermare che il sistema dei brevetti ha a che fare piĂš con il potere e il controllo che con lâinventiva e lâinnovazioneÂť, scrive la studiosa Vandana Shiva, che da anni si batte a sostegno dei contadini indiani messi a rischio dalle multinazionali agroalimentari. Secondo Shiva e molti altri difensori dei diritti dei paesi poveri, brevettare conoscenze giĂ presenti in maniera informale e non scientifica nella tradizione indigena è un atto di biopirateria e costituisce una violazione del diritto brevettuale (Shiva, 2002: 62-63).
La questione, dal punto di vista giuridico, è intricata perchĂŠ in alcuni casi una tecnologia nota solo allâestero può comunque essere brevettata (per esempio, secondo la legge statunitense sul brevetto del 1952). In ogni caso, come abbiamo visto nel primo capitolo, consultare le fonti piĂš varie per accertare la novitĂ di unâinvenzione è un compito istituzionale degli Uffici brevetti. Le tradizioni culturali dei paesi in via di sviluppo non sono facilmente utilizzate da chi esamina le domande di brevetto (mentre gli albi della Walt Disney, come abbiamo visto, lo sono), per la scarsitĂ di tempo e di risorse a disposizione. NĂŠ la pubblicazione della domanda di brevetto, che avviene in genere diciotto mesi dopo il deposito della domanda, è accessibile alle popolazioni rurali interessate, senza le conoscenze tecniche e le infrastrutture telematiche necessarie.
Un caso esemplare di tale strategia è rappresentato dal brevetto sullâuso dellâestratto di neem come fungicida. Il neem, nome indiano dellâAzadirachta Indica, è un albero ed è soprannominato ÂŤla farmacia del villaggioÂť o ÂŤlâalbero gratuitoÂť: secondo gli studi effettuati, infatti, il suo estratto risulta repellente contro quasi duecento specie di insetti, molti dei quali sono invece resistenti ai pesticidi chimici. Pesticidi, farmaci e cosmetici a base di neem sono comuni in tutte le case dellâIndia. Le proprietĂ curative di questa pianta sono menzionate giĂ in testi di duemila anni fa ma, finchĂŠ lâIndia è stata una colonia inglese, poca attenzione è stata rivolta ai metodi dei contadini locali. Solo nel 1981 un mercante di legname statunitense, Robert Larson, ha notato le utili proprietĂ del neem e, nel 1985, le ha brevettate. Anche imprese giapponesi e tedesche hanno ottenuto brevetti basati sullâuso dellâestratto di neem.
Uno dei brevetti piĂš importanti e contestati è stato concesso dallâUfficio europeo dei brevetti nel 1994, successivamente venduto alla societĂ W.R. Grace e infine revocato nel 2000 dopo una mobilitazione dei contadini indiani (Shiva, 2002: 57-60). Secondo la Corte dâappello dellâUfficio europeo dei brevetti, che ha confermato la decisione nel 2005, il brevetto non soddisfaceva i requisiti di novitĂ e di sufficiente attivitĂ inventiva, proprio come sostenuto dalle associazioni di difesa dei contadini. La Corte ha dunque riconosciuto che lâuso del neem come fungicida è una pratica comune secondo la cultura rurale indiana, nonostante non compaia nelle tradizionali fonti scientifiche consultate per accertare la novitĂ di unâinvenzione. Casi analoghi a quello del neem sono numerosi e riguardano altre specie vegetali indiane, come il riso basmati, ma anche di diverse altre regioni del mondo, soprattutto lâAmazzonia e lâAfrica subsahariana.
I critici dei brevetti sugli organismi geneticamente modificati (Ogm) denunciano anche lo stato di dipendenza in cui vengono poste le popolazioni rurali costrette a pagare un compenso per utilizzare sementi brevettate. I coltivatori che utilizzano questi semi devono interrompere il ciclo tradizionale dellâagricoltura basato sulla semina di una parte del raccolto degli anni precedenti: vengono obbligati a comprare nuove sementi ogni anno dal contratto con lâimpresa agroalimentare che gliele fornisce. Utilizzando le sementi brevettate senza unâesplicita autorizzazione, si commette una violazione del brevetto. Ciò può avvenire persino contro la volontĂ degli agricoltori: una specie geneticamente modificata può diffondersi e impollinare le coltivazioni tradizionali circostanti e un contadino può ritrovarsi ad utilizzare una tecnologia brevettata senza saperlo e senza averne il diritto. Sembra una situazione paradossale, ma è quella in cui si è trovato lâagricoltore canadese Percy Schmeiser, i cui campi sono stati contaminati dalla colza transgenica prodotta dalla societĂ statunitense Monsanto, il quale è divenuto una celebritĂ internazionale per lâavventura kafkiana di cui è stato protagonista: per aver coltivato a sua insaputa la colza geneticamente modificata, fu denunciato dal colosso agroalimentare, che chiedeva un risarcimento per violazione del suo brevetto. Dopo un lungo iter giudiziario, la Corte suprema canadese ha riconosciuto le ragioni di Schmeiser, che non ha dovuto corrispondere alcun pagamento alla Monsanto. La diffusione di una coltura Ogm, infine, ha un impatto letale sulla biodiversitĂ dellâecosistema e lo rende piĂš vulnerabile.
Il problema è riconosciuto a livello internazionale e regolato da diversi accordi. LâUnione internazionale per la protezione di nuove varietĂ di piante, aggiornata nel 1991, prevede un diritto di monopolio esclusivo per chi crea nuove specie vegetali. La Convenzione internazionale sulla biodiversitĂ del 1992 affida alle comunitĂ indigene il ruolo (lâobbligo, anzi) di preservare la biodiversitĂ . Infine, lo stesso Trips lascia agli Stati lâopzione di proteggere la proprietĂ intellettuale sulle varietĂ di piante e animali attraverso istituti giuridici diversi dal brevetto. La coesistenza di diversi regimi giuridici in materia, tuttavia, piĂš che tutelare dagli abusi, ha creato un clima di incertezza favorevole ad essi.
Altre iniziative tese a contrastare il fenomeno dei brevetti sulle conoscenze tradizionali si muovono su un terreno diverso da quello del diritto internazionale. Dal 1999, il Consiglio della ricerca scientifica e industriale indiano e il Dipartimento di ayurveda, yoga, naturopatia, unani, soĂŹddha e omepatia del Ministero della SanitĂ e della famiglia del governo indiano collaborano per creare una banca dati digitale dei saperi tradizionali, in cui sono riunite migliaia di descrizioni di tecniche a scopo agricolo o medicinale. Lâarchivio si chiama Traditional Knowledge Digital Library (Libreria digitale delle conoscenze tradizionali, Tkdl), è disponibile su internet allâindirizzo www.tkdl.res.in e, grazie ad accordi con gli uffici brevetti statunitense, europeo e giapponese, oggi fa parte del corpus di conoscenze esistenti con cui si devono confrontare le invenzioni da brevettare per dimostrarne lâoriginalitĂ . Lâarchivio contiene anche le descrizioni video di oltre mille asana, le posizioni degli esercizi yoga, per impedire che esse siano brevettate. Non si tratta di un timore infondato: lâUfficio brevetti e marchi degli Stati Uniti ha giĂ concesso oltre cento brevetti sullo yoga. Dallâintroduzione del Tkdl, decine di brevetti sono stati invalidati grazie alle informazioni contenute nellâarchivio.
3. Lâaccesso ai farmaci
Lâattenzione dellâopinione pubblica al tema dei brevetti deriva in massima parte dallâimpatto della proprietĂ intellettuale sul mercato farmaceutico. Il monopolio su un farmaco può aumentarne il prezzo fino a renderlo inaccessibile ai malati. Ă la situazione che fronteggiano le vittime di pandemie come lâHiv, la tubercolosi o la malaria nel sud del mondo. Il brevetto va difeso anche al costo della loro salute?
La posta in gioco, evidentemente, è grande. Da un lato, i costi del sistema dei brevetti appaiono moralmente insostenibili per chi difende i diritti dei malati; dallâaltro, secondo le societĂ farmaceutiche, quei farmaci non sarebbero esistiti affatto senza gli incentivi necessari. Ma quanto costa ÂŤinventareÂť un farmaco? In effetti, lâinnovazione in questo settore è particolarmente impegnativa e incerta. La sviluppo di un nuovo farmaco dal laboratorio di ricerca al bancone di una farmacia implica uno sforzo duraturo e costoso e non è certo un investimento sicuro. Oltre ai rischi connessi ad ogni impresa scientifica, un farmaco deve anche superare prove di sicurezza da parte di vari organismi pubblici. Inoltre, al prodotto finale non basta essere efficace, ma deve anche risultare redditizio sul piano economico, soprattutto se il produttore è unâimpresa privata. Valutare lâimportanza di ciascuno di questi fattori non è facile, anche perchĂŠ le imprese non mettono i loro dati a disposizione della comunitĂ scientifica. Di conseguenza, le stime degli investimenti delle case farmaceutiche variano notevolmente a seconda del metodo applicato dagli economisti che vi si sono cimentati. Il valore piĂš citato dalla comunitĂ scientifica è quello stimato dagli economisti Joseph A. DiMasi, Ronald W. Hansen e Henry G. Grabowski, secondo cui lâintero sviluppo di un nuovo farmaco costa circa 800 milioni di dollari (Di-Masi, 2003). Senza unâalternativa al brevetto altrettanto efficace, è difficile che unâimpresa farmaceutica sopporti volontariamente costi cosĂŹ elevati.
Il tema ha conquistato unâenorme rilevanza dopo lâentrata in vigore del Trips, che obbliga gli Stati aderenti a riconoscere i brevetti sui farmaci. In precedenza, tra i paesi in cui i farmaci non erano brevettabili esisteva un mercato parallelo che permetteva ai governi di fronteggiare le emergenze sanitarie acquistando farmaci a basso costo. Dopo lâaccordo, le societĂ farmaceutiche sono potute diventare monopoliste globali dei farmaci tanto da guadagnarsi il nomignolo collettivo, non certo benevolo, di ÂŤBig PharmaÂť: dunque, possono fissare il prezzo secondo le loro convenienze. Secondo i sostenitori del Trips, il libero mercato farĂ in modo che nei paesi poveri, pur di andare incontro alla domanda, le case farmaceutiche abbasseranno il prezzo di vendita dei farmaci o cederanno le licenze a prezzi ridotti.
Purtroppo, non è cosĂŹ semplice. Gli economisti Sean Flynn, Aidan Hollis e Mike Palmedo hanno esaminato il mercato dei farmaci in mercati a basso tenore di vita e con elevate disparitĂ : è proprio la situazione di molti paesi poveri a sud del Sahara, in America latina o nellâAsia sud-occidentale. Quando la maggior parte dei potenziali acquirenti ha un bassissimo potere dâacquisto, al produttore conviene alzare il prezzo dei farmaci: nella fascia di reddito piĂš elevata della popolazione, infatti, lâaumento dei prezzi non provocherĂ la perdita di molti ÂŤclientiÂť, cioè malati in grado di pagarsi le cure. In un sistema in cui i redditi sono elevati ma sono distribuiti in maniera piĂš equa (per esempio, in Norvegia), il produttore invece ha interesse a mantenere bassi i prezzi, alla portata della maggior parte dei potenziali acquirenti. Ciò spiegherebbe perchĂŠ alcuni farmaci abbiano un prezzo inferiore in paesi ricchi rispetto ai paesi poveri (Flynn, Hollis, Palmedo, 2009). Dâaltronde, prima del Trips in molti paesi i brevetti sui farmaci non erano ammessi proprio perchĂŠ il monopolio poteva limitare lâaccesso alle cure.
Per tali paesi, lâaccordo firmato nel 1994 prevedeva la possibilitĂ di istituire licenze obbligatorie: in altre parole, se un produttore non riesce ad ottenere una licenza ordinaria dal detentore del brevetto, in modo da soddisfare la domanda di farmaci, il governo poteva autorizzare la produzione di quel farmaco anche senza il consenso del detentore. Nonostante le apparenze, si trattava di una deroga di portata limitata: infatti, nei paesi poveri in cui il brevetto impedisce lâaccesso a farmaci, spesso non esiste nemmeno la capacitĂ industriale di produrli in proprio. Questi paesi, dunque, sono costretti a rivolgersi al mercato parallelo, comprando i farmaci da altri paesi in cui simili infrastrutture esistono. Ma se nel paese esportatore la licenza obbligatoria non è permessa, lâOmc può bloccarne il trasferimento verso altri paesi. Questo vicolo cieco, comâè evidente, rende inefficace la flessibilitĂ permessa dal Trips.
La questione è esplosa in tutta la sua evidenza quando il governo sudafricano, alla fine del 1997, ha deciso di riformare il sistema sanitario per fronteggiare lâepidemia di Hiv. Allâepoca, il 20 per cento della popolazione adulta ne era affetta e la terapia basata sui farmaci anti-retrovirali costava circa...