Discorso pedagogico e dimensione religiosa
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Pierluigi Malavasi

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Pierluigi Malavasi

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Nella civiltà occidentale la rilevanza educativa del religioso ha rivestito per secoli un significativo interesse, sia nell'ambito del pensiero filosofico sia in quello della teologia. Dall'Illuminismo in poi si sono moltiplicati a tal punto i sospetti nutriti verso il rapporto tra fede cristiana e modelli educativi che la tradizione culturale formatasi a tal riguardo è diventata l'oggetto di un'incessante polemica. L'obiettiva problematicità con cui si pone oggi qualsiasi discorso sul sacro, secondo un'opinione diffusa, è legata agli stessi presupposti del pensiero moderno che mettono in dubbio la possibilità di articolare l'anelito religioso con la funzione critica della ragione. Nella riflessione contemporanea, inoltre, al venire meno del consenso sulla ragionevolezza della fede si è aggiunta una serpeggiante sfiducia riguardo alla legittimità dell'esercizio della ragione. La crisi attraversata da una certa nozione di razionalità, la cui pretesa assolutezza non è estranea al carattere onnicomprensivo e totalizzante assunto dal sapere scientifico, favorisce un indubbio e per alcuni versi ambiguo interesse per il sacro nel complesso delle forme simboliche iscritte nel vivere sociale. […]
Di là dai preconcetti ideologici e dall'intolleranza fideistica, la ricerca si propone perciò di indagare le condizioni di possibilità di un'ermeneutica pedagogica che comprende tanto la consapevolezza storico-critica quanto l'intenzionalità dell'appartenenza e della convinzione. Il volume persegue un duplice compito: contribuire alla ridefinizione dello statuto epistemologico della pedagogia, ponendo in luce la specificità della dimensione religiosa in ordine al discorso dell'educazione; articolare una prospettiva di ricerca aperta ai significati educativi in vario modo suscitati dall'esperienza del sacro, dalla coscienza credente allo smarrimento della certezza della fede, dall'agnosticismo alla negazione di qualsiasi riferimento trascendente.
Lo studio cerca di mostrare il carattere dinamico ed universale dei fenomeni religiosi che interrogano il sapere pedagogico e richiedono di essere adeguatamente storicizzati, al pari di tutte quelle manifestazioni della vita che contrassegnano la civiltĂ  umana. Le radici cristiane dell'Europa, e la forte presenza del cattolicesimo nel nostro Paese, costituiscono l'orizzonte religioso a cui il volume s'ispira. Questa opzione non implica nĂŠ disconoscimento per i fenomeni riconducibili ad altre tradizioni di fede nĂŠ disinteresse verso nuovi movimenti religiosi, dei quali la ricerca per altro considera alcune peculiaritĂ . Il Cristianesimo e i suoi influssi sul riconoscimento dei diritti inalienabili della persona, sulla formazione delle istituzioni giuridico-politiche, sul complessivo sviluppo delle tradizioni culturali dell'Occidente non possono essere rappresentati in modo pregiudiziale come epifenomeni sovrastrutturali e fattori d'alienazione. Tratto dall'Introduzione dell'Autore

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PRIMA PARTE

L’etimologia greca del termine filosofia, amore per la saggezza, può essere compresa adeguatamente rilevandone innanzitutto il significato generale: l’interrogarsi umano intorno alla conoscenza delle cose e del mondo non è separabile dalla ricerca dell’orienta­mento da imprimere all’esistenza. La tradizionale accezione del termine in parola accredita l’ipotesi che alle origini del pensiero filosofico siano presenti preoccupazioni di ordine gnoseologico e veritativo, etico-morale e politico. La consistenza di tale ipotesi è testimoniata del resto dall’influsso esercitato dalla filosofia sulla formazione e lo sviluppo delle culture in Occidente, rispetto agli ambiti di discorso menzionati e a molti altri ancora, quali l’estetico, il fisico, il religioso, l’educativo...
La filosofia, intesa come stupore, desiderio, investigazione e sapere, a lungo designa un’attività umana la cui concezione è così pregnante da non richiedere di essere ulteriormente specificata e contraddistinta con altri nomi. “Impresa” conoscitiva intorno alla realtà universa, la filosofia incontra naturaliter i problemi posti dalle pratiche educative[1] e si misura con le possibilità e i limiti delle teorie della formazione. All’ambito epistemico della pedagogia allude implicitamente l’etimo greco del termine filosofia. L’amore per la saggezza non può essere perseguito, come attesta l’evoluzione storica del pensiero filosofico, senza riferimento all’esperienza e ai concetti suscitati dagli eventi educativi. Allo stesso tempo l’educazione, come pratica sociale e sistema simbolico, partecipa delle idee filosofiche[2] e più in generale della cultura, delle forme politiche e religiose che contraddistinguono l’ambiente in cui si esplica.
I rapporti che si stabiliscono tra educazione e filosofia possono essere ulteriormente specificati movendo dalla forma in cui si è costituito il pensiero filosofico[3]. Ciò è avvenuto in modo storicamente situato sia attraverso la ricerca intorno alla totalità del reale, sia attraverso l’analisi di singole realtà intese come un tutto. Nella pluralità delle correnti, sorte ben presto nell’alveo del pensiero occidentale, l’indagine intorno alla realtà in quanto tale si è così precisata come scienza prima, mentre quella che si è occupata di ambiti particolari - come la natura, l’arte, la religione o il diritto - ha assunto la definizione di filosofia seconda. Da questa duplice eppure quanto mai unitaria aspirazione speculativa - l’una rivolta alla totalità, l’altra alla parte, ma pur sempre ritenuta come un tutto - trae origine la ricerca che si focalizza sull’educazione.
Ad una prima divaricazione, che si è progressivamente prodotta tra la scienza prima (di cui la metafisica aristotelica è l’emblema) e le filosofie seconde, tra cui si può annoverare la filosofia dell’educazione, se ne è aggiunta un’altra, di notevole portata: si tratta del distacco tra sapere filosofico in quanto tale e molteplicità degli ambiti di discorso particolari. In nome dell’autonomia di ricerca disciplinare, le scienze fisiche, giuridiche, politiche, umane e così via hanno dapprima rivendicato un proprio statuto epistemologico ed in seguito accettato un rapporto d’estraneità rispetto al sapere filosofico per molti versi sorprendente.
Ogni generalizzazione include invero una differenziata rassegna di tendenze. La rilevanza riconosciuta alla filosofia del diritto, per esempio, attesta che la giurisprudenza e il sapere filosofico sono ben lungi dall’aver scisso il proprio legame, mentre lo stesso non può dirsi del rapporto tra filosofia e psicologia o sociologia, correlazione pressoché interrotta pur nell’ambito dell’odierna proliferazione dei settori di ricerca.
I rapporti che intercorrono tra l’enciclopedia pedagogica e la filosofia non sfuggono alla frammentazione del sapere contemporaneo e, a ben considerare, il caso della filosofia dell’educazione[4] assume un significato particolarmente emblematico. Questa partecipa oggi delle vicende della filosofia, costretta a ripensare la sua stessa vocazione legata all’indagine della realtà nella prospettiva dell’intero. La rinuncia a pensare la totalità del reale si accompagna ai dubbi sorti intorno alla sua capacità di adempiere il compito della ricerca del fondamento della realtà delle cose e dell’umano. La filosofia sviluppatasi come quella conoscenza in grado di lumeggiare l’intero ha non solo definitivamente abbandonato lo studio delle singole realtà fisiche (intese come un tutto) ma anche ristretto il suo ambito di competenza a tal punto da dubitare della stessa possibilità gnoseologica di formulare argomentazioni sensate.
La filosofia dell’educazione oggi si dibatte in una crisi di identità non dissimile da quella che interessa il discorso filosofico nella sua generalità. È il caso di ricordare alcune delle vie da essa intraprese per contrastare il ridimensionamento del suo ambito di ricerca conseguente all’imporsi delle scienze dell’educazione, che hanno via via affinato l’analisi sulla realtà educativa, rivendicando ben presto una loro autonomia epistemica.
La specializzazione degli accostamenti e delle procedure di ricerca nell’ambito della pedagogia ha spinto la filosofia dell’educazione ad identificare a propria volta un “proprium disciplinare”, alla luce della presunta inadeguatezza e genericità della sua funzione “regolativa” tradizionale, teorizzata da J.Dewey “nell’ampiezza d’orizzonte, nella libertà e nell’invenzione costruttiva o creativa”[5]. Ad una talora imprecisata ricerca dei fondamenti si è sostituito l’impegno di stabilire l’ambito, i princìpi e il metodo della pedagogia: il problema deweyano della “teoreticità regolativa” si configura così, in tempi recenti, come il problema epistemologico della pedagogia. La riduzione della filosofia dell’educazione ad epistemologia ritengo sia uno dei principali limiti euristici che, di là dall’ambito pedagogico, contrassegna le molte regioni della filosofia contemporanea.
Un’altra via seguita dalla filosofia dell’educazione per precisare i fondamenti della sua ricerca ha a che fare con l’analisi del linguaggio, il cui sviluppo teorico è direttamente legato alla tradizione della Philosophy of education diffusasi nella pubblicistica di lingua inglese[6]. A questo riguardo dev’essere rilevato un ulteriore pericolo di riduzione. Alcune prospettive di ricerca, assai radicate nella cultura anglosassone, attribuiscono alla filosofia, e di conseguenza alla stessa filosofia dell’educazione, un compito prevalentemente “analitico”, ossia orientato ad un chiarimento costatativo delle espressioni linguistiche e dei contesti concettuali di riferimento che può distrarre la teoreticità pedagogica dall’esercizio del suo compito sintetico-progettuale. Occorre riconoscere, a proposito dei succitati indirizzi di ricerca, epistemologico ed analitico, variamente elaborati, che essi hanno per diversi aspetti contribuito allo sviluppo di una più consapevole e critica filosofia dell’educazione. Senza pretendere, ben inteso, di offrire una panoramica dei paradigmi concettuali più influenti nell’odierna ricerca in filosofia dell’educazione, è necessario rimarcare l’ampio consenso riscosso dalla cosiddetta “svolta linguistica” della filosofia...

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