L'eredità degli antenati. Il lascito ancestrale di Italici, Romani e Longobardi nel Folklore di Salerno tra religiosità popolare e sopravvivenze pagane
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L'eredità degli antenati. Il lascito ancestrale di Italici, Romani e Longobardi nel Folklore di Salerno tra religiosità popolare e sopravvivenze pagane

Francesco Maria Morese

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L'eredità degli antenati. Il lascito ancestrale di Italici, Romani e Longobardi nel Folklore di Salerno tra religiosità popolare e sopravvivenze pagane

Francesco Maria Morese

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I nostri Antenati sono ancora tra noi. Vivono in noi. Le loro credenze, i loro riti, le loro usanze, la loro religiosità, il loro linguaggio sopravvivono ancora oggi, dopo millenni, nelle nostre tradizioni popolari.
Il Folklore della città di Salerno e dei suoi territori, con il suo carattere marinaresco che si fonde con quello tipicamente delle campagne e delle montagne, è un chiaro esempio di come il lascito ancestrale dei nostri predecessori sia ancora vivo e vitale in Italia ed in generale in tutta Europa.
Le popolazioni italiche prima, i Romani poi e, successivamente il popolo germanico dei Longobardi, hanno plasmato il nostro modo di essere odierno: il loro tributo, sia a Salerno che in tutta la Penisola, è ancora fortemente tangibile e continua ad essere tramandato nonostante esso sia occultato da una coltre che questo libro si prefigge coraggiosamente di dipanare.
Le feste dell'anno, il ciclo della vita, le superstizioni, la credenza nel malocchio, nelle fatture, negli amuleti, in esseri soprannaturali come janare (streghe), diavoli, spiriti, munacielli e mazzamurelli (gnomi e folletti) costituiscono quel "Mondo Magico" delle tradizioni popolari nel quale confluiscono e si confondono elementi precristiani e religiosità popolare.
L'eredità dei nostri Antenati è ancora viva in noi: scorre nelle nostre vene. L'augurio è che questo testo possa ridestare nel lettore il nobile spirito degli antichi Italici, dei Romani e dei Longobardi che in lui ancora alberga.

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Information

IL MONDO MAGICO SALERNITANO
Magia e superstizione tra religiosità popolare e sopravvivenze pagane

L’insieme di credenze e pratiche rituali tramandate nei secoli che affondano le proprie radici nella religiosità precristiana, vengono generalmente definite “superstizioni”. Il termine “superstizione” deriva dalle parole latine super (sopra) e stitio (stare), “stare sopra”, “sopravvivere”; superstizione è quindi ciò che sopravvive, ciò che ha origini remotissime ma che, nonostante i cambiamenti ed il “progresso”, continua ancora oggi, dopo millenni, ad essere presente, il più delle volte celato ed occultato, avendo assunto una moltitudine di forme che sono mutate e che hanno subito modifiche con lo scorrere del tempo.
Il cristianesimo iniziò a diffondersi e a fare proseliti nei centri urbani: Roma, la capitale del mondo civilizzato e del paganesimo fu l’obiettivo primario della nuova religione. Lo stesso termine “pagano” fu coniato dai primi cristiani delle città: infatti deriva da pagus, villaggio, paese. Luoghi piccoli e spesso isolati dove le tradizioni e le usanze degli antenati resistevano strenuamente contro ogni “elemento” esterno in quanto considerate patrimonio irrinunciabile tramandato alla propria famiglia e alla comunità tutta attraverso il sangue. Coloro che “portavano la parola” del dio cristiano e che indefessamente cercavano di convertire i “paesani/pagani” dovettero perciò fare i conti con credenze, usanze e tradizioni fortemente radicate, cosa che non era accaduta, almeno con tale intensità, nelle città, da sempre aperte a nuove influenze, anche di tipo religioso. Ne è la dimostrazione l’introduzione di svariati culti “non autoctoni” che a Roma avevano trovato terreno fertile ben prima dell’avvento del monoteismo cristiano. Divinità di origine egizia o mediorientale presero posto di fianco agli dei italici e romani, spesso fondendosi con loro ed assumendo le caratteristiche peculiari di questi. Il cristianesimo dei primordi subì la stessa sorte di questi culti “esotici”: lo stesso Gesù Cristo assorbì le caratteristiche di divinità preesistenti o contemporanee come ad esempio quelle del Sole Invitto e del dio indo-iranico Mithra.
Col passare dei secoli la Chiesa cattolica dovette “arrendersi” al fatto che alcuni aspetti della religiosità pagana non potevano essere distrutti o eliminati con la violenza e quindi si decise, accettando un compromesso, ad assorbirli, a modificarli e ad eseguire un’ operazione di “maquillage” in chiave cristiana. La religiosità pagana dei nostri antenati è ancora oggi viva e vegeta sotto la patina più o meno spessa del cristianesimo. La dimostrazione più lampante è quella relativa alle festività popolari, dove i culti tributati ai cicli naturali (Solstizi ed Equinozi) e all’alternanza delle stagioni sono stati in sostanza conservati operando una semplice “sostituzione” delle varie divinità ad essi connesse. Il Sole è stato sostituito dal Cristo, le varie dee madri della natura e del raccolto hanno ceduto il passo alla Vergine Maria e tutte le altre divinità sono state rimpiazzate dai santi; il nuovo culto ha però anche assorbito e lasciato pressoché inalterato il valore simbolico e le caratteristiche peculiari della figure della religiosità preesistente. Per questo motivo Gesù Bambino nasce il 25 Dicembre, data in cui si celebrava la nascita del Sol Invictus, il quale, proprio nei giorni più bui dell’anno, quelli del Solstizio d’Inverno, ricomincia a ritrovare pian piano vigore e a “rinascere”; per lo stesso motivo un santo importante come San Giovanni Battista è festeggiato nel giorno del Solstizio d’Estate, quando il sole tocca il suo zenith e sconfigge le tenebre. Anche la Madonna ha mantenuto molte delle caratteristiche e degli attributi delle divinità femminili che precedevano il suo avvento: Maggio, il mese a lei dedicato, era ad esempio il mese in cui si festeggiava la dea italica Maia, madre delle messi e dei raccolti che rappresentava la primavera, la rinascita della natura. La stessa resurrezione di Cristo avviene in un periodo in cui la natura torna alla vita dopo l’oscurità, il freddo e la “morte” invernale.
Dunque le realtà rurali sono sempre state un baluardo di difesa delle tradizioni ed il cristianesimo popolare presente oggi nei nostri borghi e paesi, nelle nostre campagne, colline e montagne, conserva questo fascino genuino che fa trasparire una devozione ed una spiritualità ben più antica di 2000 anni.

Il Malocchio

Gli antichi Romani definivano Fascinum la capacità soprannaturale (consapevole o inconsapevole) che alcune persone avevano di “irradiare” negatività ed “inviare” influssi maligni attraverso il semplice sguardo. “L’occhio malvagio” o “malocchio” era considerato un influsso negativo molto potente dal quale bisognava preservarsi con amuleti, specifici gesti e rituali. Uno degli amuleti più efficaci contro le influenze malefiche del Fascinum prendeva lo stesso nome di ciò che contrastava: fascinum, per l’appunto. Come vedremo meglio nel paragrafo dedicato all’amuleto a forma di corno, il fascinum consisteva in un pendente metallico a forma di fallo, simbolo beneaugurante apportatore di fertilità e prosperità, creatore di vita e donatore di piacere, il quale avrebbe tenuto lontana la sfortuna, l’invidia ed il malocchio. Un altro amuleto protettivo contro le negatività e l’invidia molto popolare tra i nostri antenati Italici e Romani era la bulla.[1]
L’antropologo Ernesto De Martino introduce in modo efficace l’argomento, riferendosi ai suoi approfonditi studi in Basilicata: “Il tema fondamentale della bassa magia cerimoniale lucana è la fascinazione. Con questo termine si indica una condizione psichica di impedimento e di inibizione, un senso di dominazione da parte di una forza occulta, che lascia senza margine l’autonomia della persona, la sua capacità di decisione e di scelta. La fascinazione comporta un agente fascinatore e una vittima. Nel malocchio, l’influenza negativa provocata dallo sguardo invidioso è più o meno involontaria. Se chi agisce lo fa invece volontariamente, può servirsi di oggetti di vario tipo con i quali, mediante un preciso cerimoniale, elabora fatture. La più temibile delle fatture è quella a morte.”[2]
A Salerno e nelle vicine zone di campagna il malocchio aveva un doppio significato: “maluocchio” o “malocchia” erano chiamati l’uomo o la donna capaci di “scagliare” influssi malefici; “Maluocchio” significava l’essere stato vittima della negatività lanciata da queste persone. Si pensava che chiunque potesse avere questa capacità, “l’uocchjo sicc” (l’occhio secco), anche un parente o un caro amico.
Spesso il piglià a uocchio, il trasmettere il maleficio, poteva anche essere un’azione fatta in maniera involontaria da qualcuno: infatti, mentre la fattura, come vedremo, era ritenuta un maleficio volutamente procurato, il malocchio, denominato in alcune zone del salernitano anche occhiatura, il quale si manifestava con un malessere, per lo più mal di testa, poteva essere anche un accidente involontario.[3]
Il rituale popolare necessario al fine di neutralizzare il malocchio veniva definito fare l’uocchio o incarmà l’uocchio.[4] Nelle nostre zone si usavano e si usano ancora oggi svariati amuleti per proteggersi dal malocchio: dal breve o abitino, cucito addosso e sotto i vestiti, al cornetto rosso, al ferro di cavallo, alla manina che fa il gesto delle corna, al gobbetto, etc, etc. Spesso però il potere soprannaturale dei soggetti che “vuttavano l’uocchio” era talmente elevato che l’amuleto protettivo da solo risultava poco efficace.

Gesti contro il Malocchio

In caso ci si fosse resi conto del preciso momento in cui l’occhio invidioso incrociava il proprio, la prima azione che veniva eseguita al fine di scongiurarlo e di prevenirlo consisteva nel prendere in mano e stringere l’amuleto protettivo che si portava sempre con...

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